home / Archivio / Diritto Penale raccolta del 2025 / Il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha ..
Il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli.
Martina Carosi
L’imputato proponeva tempestivo ricorso per Cassazione nei confronti della Sentenza emessa in secondo grado nel settembre 2023, con cui la Corte d’Appello di Roma confermava il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma con il quale era stato ritenuto penalmente responsabile dei reati di cui agli artt. 572 co.1 c.p, 609-bis co.1 c.p., 609-ter c.p. e 609-quater c.p.
Con il primo motivo di doglianza, deduceva la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata relativamente alla conoscenza, da parte dell’imputato, del dissenso della moglie.
Nello specifico, si è ribadito che l’elemento essenziale affinché possa parlarsi di violenza sessuale è che vi sia la prova di un costringimento psico-fisico, a nulla importando se sia esistente o meno un rapporto coniugale, paraconiugale o, addirittura, se la donna non si sia palesemente opposta ai rapporti sessuali laddove risulti provato che l’agente abbia la consapevolezza di un rifiuto anche implicito da parte di quest’ultima.
Con il secondo motivo di ricorso, invece, veniva dedotta la nullità della sentenza ex art.606 co.1, lett. e) c.p.p. per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in quanto il giudice di secondo grado non avrebbe rispettato l’obbligo di cui all’art.125 co.3 c.p.p., laddove non abbia ritenuto di dover osservare alcunché circa la richiesta di riduzione della pena.
Il ricorso veniva ritenuto inammissibile dal Procuratore Generale sia perché l’impugnazione difettava dell’indicazione del profilo mancante nella motivazione, delle parti in cui è stata ritenuta contraddittoria e in quali illogica, ma anche perché le doglianze ivi esposte erano più pertinenti ad un giudizio di merito che di legittimità.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha ribadito come il ricorso ex art. 606 c.p.p., sia un’impugnazione a critica vincolata ed un giudizio di legittimità, pertanto, non si è potuto procedere ad una nuova valutazione delle risultanze addotte dal ricorrente, asserendo che “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali”.
Nel caso di specie, inoltre, gli Ermellini hanno ravvisato una totale carenza di vizi di motivazione nella sentenza del giudice di secondo grado che, ha riesaminato lo stesso compendio probatorio analizzato in precedenza dal Tribunale, giungendo comunque alle medesime conclusioni.
Si è, a tal proposito, ritenuto che entrambe le sentenze di merito hanno adeguatamente esaminato le fonti dimostrative a disposizione che hanno, dipoi, coinciso con le propalazioni della persona offesa, sottoposta anche al vaglia dei giudici di merito relativamente alla sua attendibilità.
Nel giudizio di secondo grado, si legge in sentenza che, l’imputato aveva chiesto l’assoluzione poiché non a conoscenza del dissenso della moglie al compimento dell’atto sessuale e che, relativamente al reato di maltrattamenti, non sussisteva l’abitualità della condotta facendo, infatti, ampio riferimento ad episodi isolati, di lieve entità e quantità, in seguito ai quali la donna non aveva riportato alcune conseguenze.
La Corte d’Appello di Roma, ha evidenziato, tuttavia, con grande chiarezza il clima di sopraffazione e violenza psicologica che caratterizzava l’ambiente familiare, nonché la totale assenza di sentimenti, manifestazioni di affetto, rispetto e affiatamento, ma soprattutto la totale incapacità del marito di ascoltare i bisogni della moglie, tra cui primeggiava il proprio desiderio di emancipazione e di separazione che, naturalmente, si è posto in modo contrastante con ogni forma di consenso al compimento di atti sessuali.
A sostegno delle proprie motivazioni, la Corte di Cassazione ha anche ribadito il decisum della Sez.III, n. 17676 del 14/12/2018 secondo cui “In tema di violenza sessuale, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali”.
Tale passaggio, infatti, è stato ritenuto dagli Ermellini, perfettamente consono al caso sottoposto alla sua attenzione, in quanto i giudici della Corte d’Appello di Roma hanno condiviso le deduzioni del Tribunale romano, fondate sulle dichiarazioni della donna e tenendo conto del fatto che la stessa non aveva dissentito esplicitamente al compimento dell’atto, poiché ritenuto un atto dovuto in relazione alla propria condizione di moglie alla luce, naturalmente, del fattore culturale del paese di origine.
Per tutti tali motivi, anche le censure sollevate sono state ritenute infondate e lo stesso ricorso rigettato, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. III, 3 dicembre 2024, n. 44037)
Stralcio a cura di Roberto Zambrano