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Se la rapina impropria (art. 628, co. 2, c.p.) si caratterizza per la sottrazione di beni di modico valore, frasi scarsamente intimidatorie, o altri aspetti che lascino intendere che il fatto sia di lieve entità, deve essere punita con una pena attenuata fino a 1/3. Diversamente, l´asprezza del minimo edittale ordinario determinerebbe l´irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e, di conseguenza, non idonea alla rieducazione.
Elsa Perruso
Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede la possibilità di diminuire la pena in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanza dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
In via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul fondamento della Corte costituzionale), dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena comminata è diminuita in misura non eccedete un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanza dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
La questione nasce da un’ordinanza del Tribunale di Cuneo che ha sollevato la legittimità costituzionale, dell’articolo 628 c.p. nella parte in cui in premessa, in forza della quale espone di dover giudicare sull’imputazione di rapina impropria, aggravata dalla commissione ad opera di più persone riunite.
Nel caso di specie, costoro dopo aver prelevato la merce dagli scaffali di un supermercato e alcuni generi d’uso (per un modico valore di circa € 6,00), si sono assicurati il possesso degli stessi e l’impunità con minacce e uno spintone in danno dell’addetto alla sicurezza e del responsabile dell’esercizio commerciale.
Il caso da cui prende le mosse la sentenza in esame è peculiare in quanto la decisione della Consulta ha disposto un mutamento significativo nella giurisprudenza penale.
L’arresto giurisprudenziale della Corte Costituzionale, volge a limitare l’eccedenza di pena, laddove per il reato contestato, il limite edittale di pena detentiva applicabile per la fattispecie in esame, risulta ictu oculi sproporzionato rispetto ad un fatto di “scarsa offensività” sia sotto il profilo del valore della merce sia sotto quello della modalità esecutiva della rapina.
La norma penale, all’art. 628 c.p. prima della pronuncia additiva, prevedeva l’irrogazione della pena, automatica e astratta, da un minimo edittale di cinque anni a un massimo dieci anni di reclusione e con la multa da € 927 a € 2.500, di fatto escludendo la previsione di un giudizio di adeguatezza e di graduazione della pena per i casi di lieve entità.
Si evince dagli elementi descrittivi della rapina impropria al secondo comma del predetto articolo che, “chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”, stabilisce per essa la stessa pena prevista dal primo comma per la rapina propria di “chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene”.
Nel percorso argomentativo svolto dalla Corte sono stati esaminati tre parametri costituzionali effettivamente violati.
In primo luogo, la censura prende in considerazione la violazione del principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., in forza della quale la stessa pena minima irrogabile per la rapina non trova corrispondenza con altri reati analoghi (es. delitto di estorsione) nei quali è prevista l’attenuante per lieve entità, la cui struttura del trattamento sanzionatorio è identico.
Pertanto, si determina un vulnus nel trattamento irragionevolmente più severo rispetto al reato contestato, in quanto non risultano ragioni sufficienti per trattare diversamente la possibilità della lieve entità.
In secondo luogo, la censura incide sul piano del principio della proporzionalità della pena e della finalità rieducativa, di cui all’art. 27, primo e terzo comma della Costituzione, poiché la comminata pena minima per la rapina, senza “valvola di sicurezza” può condurre all’irrogazione di una sanzione concretamente sproporzionata.
Emblematico appare il caso della sentenza in esame, nel quale la sottrazione è stata relativa a pochi generi di consumo, di modico valore e per la violenza perpetrata consistita in minacce scarsamente intimidatorie e in una spinta data per divincolarsi. Come affermato nella stessa pronuncia, sia per la rapina sia per l’estorsione, il minimo edittale di notevole asprezza, introdotto per contenere fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccede lo scopo, determinando l’irrogazione di una pena irragionevolmente sproporzionata e quindi inidonea alla rieducazione del condannato.
Inoltre, segna uno squilibrio nell’applicazione della sanzione, tanto da rendere di fatto inaccessibile il ricorso all’istituto della sospensione condizionale pella pena.
In terzo luogo, la censura investe il principio di proporzionalità e individualizzazione della pena, in forza dei quali la pena deve riflettere la concreta gravità del fatto, non solo l’astratta previsione legale.
Alla luce dei principi enucleati dalla giurisprudenza, la Corte riconosce la possibilità di colmare tale vulnus in via additiva.
Pertanto, il Tribunale di Cuneo ha sollecitato una pronuncia della Consulta al fine di introdurre anche per la rapina impropria una diminuente per i casi di lieve entità, atteso che essa è riconosciuta persino per titoli di reato ben più gravi come per la violenza sessuale, il sequestro di persona a scopo di estorsione e il sequestro a scopo di coazione.
Il principio condensato nella sentenza della Consulta trova conforto nella giurisprudenza costituzionale.
Infatti, l’appesantimento del trattamento sanzionatorio per la rapina è analogo a quello che ha interessato l’estorsione - reato descritto dall’ art. 629 c.p. – in forza del quale “chi, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualcosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da € 1000 a € 4000”.
Nello specifico, la Corte con la pronuncia costituzionale del 24 maggio 2023, n. 120, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p. “nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, il fatto risulti di lieve entità”.
Per costante giurisprudenza, la rapina si differenzia dall’estorsione in virtù del fatto che in essa il reo sottrae la cosa esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia diretta e ineludibile, mentre nell’estorsione la coartazione non determina il totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi. (Conf. Cass, II sez. 15 febbraio, 17 maggio 2023, e 15 settembre- 28 ottobre 2021, n.3830; Cass. 8 aprile 2021, n. 15564).
Tuttavia, le due sentenze della Corte costituzionale nn. 120/2023 e 86/2024, nonostante gli elementi descrittivi differenti della condotta, compongono un “trittico” di giurisprudenza costituzionale sulla proporzionalità delle pene e segnano il passaggio da una logica astratta e automatica ad una logica individualizzata e costituzionalmente orientata.
Sul piano pratico impongono una nuova prassi valutativa del giudice penale, chiamato a motivare sempre sulla lieve entità nei reati patrimoniali con violenza o minaccia.
L’importanza della pronuncia additiva è quella di inserirsi in un solco di penetrante controllo sulla proporzionalità della pena che segna un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali del condannato, introducendo una graduazione della pena anche per i reati a cornice rigida.
Incide sull’accoglimento della questione di legittimità costituzionale anche quanto affermato dal giudice di prime cure, in ordine alla disparità di trattamento sul piano sanzionatorio.
La ratio decidendi della sentenza restituisce, in definitiva, coerenza al sistema penale, rafforzando il controllo di costituzionalità sulla proporzionalità delle pene segnando un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali del condannato.
La Corte sulla base delle esposte motivazioni, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 628 c.p. nei termini di cui in premessa.
Sezione: Corte Costituzionale
(C. Cost., 13 maggio 2024, n. 86)
Stralcio a cura di Roberto Zambrano
Keywords: rapina impropria - fatto di lieve entità

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