home / Archivio / Diritto Penale raccolta del 2024 / In materia di sicurezza sul lavoro, il giudice nazionale penale può disapplicare le pronunce ..
indietro stampa contenuto leggi libro
In materia di sicurezza sul lavoro, il giudice nazionale penale può disapplicare le pronunce della Corte costituzionale incompatibili con la normativa comunitaria nel caso in cui l´interpretazione fornita dalla Corte non consenta agli aventi causa del lavoratore vittima di tale evento di essere ascoltati in nessun procedimento in cui si statuisca sull´esistenza di siffatto infortunio sul lavoro
Andrea Castaldo
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella causa C-792/22, ha stabilito che i giudici nazionali non sono tenuti ad applicare una decisione della Corte costituzionale (in tal caso della Romania) se questa viola il diritto dell’Unione europea (di seguito diritto UE). La sentenza, emessa il 26 settembre 2024, riguarda il principio del primato del diritto unionale e il diritto dei giudici nazionali di disapplicare norme nazionali e, in particolare l’interpretazione fornita dalla propria Corte costituzionale su una norma procedurale di diritto interno, in contrasto con il diritto UE, senza per questo incorrere in procedimenti disciplinari.
La pronuncia è di fondamentale rilievo in quanto la Corte di Giustizia ribadisce un principio forse molto spesso dimenticato, ma sancito già nel famoso caso “Costa c. Enel”, sentenza 15 luglio 1964, causa C-6/64, che per la prima volta, affermò il principio del primato del diritto comunitario (oggi diremmo unionale) sul diritto nazionale in caso di conflitto, di contraddizione o di incompatibilità tra le norme dei due diversi ordinamenti.
Si riconferma il ruolo dei giudici nazionali come alfieri e ‘prima linea di difesa’ dell’ordinamento sovranazionale, posizione sancita anche nelle storiche sentenze “Van Gend & Loos” (C-26/62) e “Simmenthal” (C-106/77), oltre che la summenzionata “Costa”.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Curtea de Apel Brasov / Corte d’appello di Brasov (Romania), nel corso di un procedimento penale a carico di un soggetto, all’epoca dei fatti responsabile dell’organizzazione del lavoro, accusato dell’inosservanza delle misure di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e per omicidio colposo.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte nello specifico sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché dell’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva 89/391/CEE[1], riguardante l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, e dell’articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[2] (in seguito CDFUE). Si noti come il paragrafo 1 suddetto si basa proprio sulla Direttiva 89/391, vi è quindi uno stretto collegamento tra l’atto normativo e il diritto fondamentale sancito, così da rafforzare la necessità della sicurezza e della salute dei lavoratori durante l’orario di lavoro.
Altresì, la direttiva fa riferimento a principi generali relativi alla prevenzione dei rischi professionali e alla protezione della sicurezza e della salute, all’eliminazione dei fattori di rischio e di incidente, all’informazione, alla consultazione, alla partecipazione equilibrata conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
Altresì, si evidenzia come il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Punto focale della questione, a livello nazionale e che poi si riverbera sul rinvio pregiudiziale, è la nozione di “infortunio sul lavoro”, che l’articolo 5 della Legge n. 319/2006 sulla sicurezza e la salute sul lavoro – legge rumena che recepisce la Direttiva 89/391 – così definisce: “g) infortunio sul lavoro: una lesione violenta del fisico nonché un’intossicazione professionale acuta che si verifichino nello svolgimento del lavoro o nell’adempimento delle funzioni di servizio e che provochino un’incapacità di lavorare temporanea per almeno 3 giorni di calendario, l’invalidità o il decesso”.
Conformemente poi all’articolo 29, paragrafo 1, della medesima legge, la Romania prevede anche un intervento degli ispettorati territoriali del lavoro, i quali devono procedere ad un’indagine in caso di eventi che abbiano comportato un infortunio sul lavoro, tra cui, come nel caso di specie, il decesso della vittima.
A seguito appunto del decesso di un lavoratore sono stati avviati due procedimenti riguardanti l’evento; da un lato, un procedimento di indagine amministrativa condotto dall’Ispettorato del lavoro rumeno nei confronti della società datrice di lavoro e, dall’altro, un procedimento penale a carico del responsabile dell’organizzazione del lavoro per inosservanza delle misure di legge in materia di sicurezza sul lavoro e omicidio colposo.
Ciò che rileva, in primis, è il qualificare o meno l’evento che ha causato la morte dell’operaio come infortunio sul lavoro. Mentre dapprima l’Ispettorato del Lavoro nella sua attività di indagine e a conclusione del suo procedimento amministrativo ha configurato effettivamente la fattispecie come rientrante nella nozione di infortunio sul lavoro così come previsto dal diritto rumeno; il Tribunale superiore di Sibiu (Romania), a seguito di un ricorso contenzioso-amministrativo volto all’annullamento di tale verbale-accertamento, con sentenza del 10 febbraio 2021, tale giudice ha parzialmente annullato detto verbale, considerando, contrariamente alla qualificazione accolta dall’Ispettorato del Lavoro, che l’evento accaduto non costituisse un infortunio sul lavoro. Rileva un particolare di non poco conto e cioè che in tale procedimento amministrativo nessuno degli aventi causa del lavoratore è stato sentito e ha potuto intervenire in contraddittorio al fine di contribuire a chiarire se il fatto rientrasse o meno nel concetto di “infortunio sul lavoro”.
Nell’altro procedimento, quello penale, in cui gli aventi causa del defunto lavoratore si erano costituiti parte civile, nel secondo grado di giudizio, innanzi alla Corte d’appello di Brașov – giudice del rinvio, si fa rilevare che, conformemente al diritto rumeno, come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, la decisione del giudice amministrativo si impone al giudice penale a causa dell’autorità di cosa giudicata di cui essa è dotata.
Quindi, la decisione del Tribunale superiore di Sibiu nei confronti dell’Ispettorato del Lavoro, che chiarisce se l’evento all’origine del decesso della vittima costituisca un “infortunio sul lavoro”, ai sensi della legge sulla sicurezza e la salute sul lavoro, è una questione preliminare, secondo l’articolo 52 del codice di procedura penale rumeno, e ha effetto di cosa giudicata. A tal riguardo, la Corte costituzionale ha riconosciuto carattere assoluto all’autorità di cosa giudicata delle sentenze civili e amministrative che dirimono siffatte questioni preliminari, come nel caso di specie.
Il giudice del rinvio osserva che, di conseguenza, è vincolato dalle conclusioni del giudice amministrativo, il quale ha rifiutato di qualificare l’evento del procedimento principale come infortunio sul lavoro ai sensi del diritto rumeno. Altresì, in virtù di sentenza con autorità di cosa giudicata che esclude che la fattispecie sia un infortunio sul lavoro, il giudice non può pronunciarsi sulla responsabilità penale o civile delle parti sottoposte a procedimento penale, dal momento che detta qualificazione è un elemento costitutivo del reato sul quale esso è chiamato a statuire.
La Corte d’appello di Brașov, come detto nel caso di specie giudice del rinvio, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
nella prima questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 1, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva 89/391, in combinato disposto con l’articolo 31 della Carta e con il principio di effettività, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, come interpretata dalla Corte costituzionale di tale Stato membro, in forza della quale la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come «infortunio sul lavoro» riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale, nel caso in cui tale normativa non consente agli aventi causa del lavoratore vittima di tale evento di essere ascoltati in nessun procedimento in cui si statuisca sull’esistenza di siffatto infortunio sul lavoro.
Nella seconda questione, il giudice, posta una risposta affermativa alla prima questione, si chiede se il principio del primato del diritto dell’UE debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in base alla quale gli organi giurisdizionali nazionali di diritto comune non possono, a pena di procedimenti disciplinari a carico dei loro membri, disapplicare d’ufficio decisioni della Corte costituzionale di tale Stato membro, sebbene ritengano, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte, che tali decisioni violino i diritti che i singoli traggono dalla Direttiva 89/391.
Riguardo alla soluzione alla prima questione, la Corte di Giustizia afferma che la normativa europea osta ad una normativa nazionale, come interpretata dalla Corte costituzionale di tale Stato membro, in cui la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come “infortunio sul lavoro” riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità civile in forza dei fatti addebitati all’imputato, soprattutto nel caso in cui tale normativa non consenta agli aventi causa della vittima di essere ascoltati in nessun procedimento in cui si statuisca sull’esistenza di siffatto infortunio sul lavoro.
Si richiama altresì l’articolo 47 CDFUE, poiché nel diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, vi rientra anche il diritto ad essere ascoltato.
In merito, poi, alla seconda questione, la Corte di Giustizia conferma e ribadisce che il giudice nazionale può e deve discostarsi dalle valutazioni di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore (in tal caso la Corte costituzionale rumena) qualora esso ritenga che quanto affermato da tale organo superiore si ponga in contrasto e non sia quindi conforme al diritto dell’UE, così procedendo alla disapplicazione della norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di tale organo giurisdizionale di grado superiore.
La Corte ha riconosciuto quindi la capacità della Direttiva 89/391 di attribuire diritti ai singoli anche in virtù dell’effetto diretto.
In altre parole, la necessità e l’esigenza di un’interpretazione conforme al diritto dell’UE comporta in particolare l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare e/o disapplicare anche la giurisprudenza consolidata di un organo giurisdizionale superiore se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con un atto normativo dell’UE. Il giudice nazionale può disapplicare una decisione della Corte costituzionale che secondo lui si pone in contrasto con il diritto dell’UE, erodendo così il principio di intangibilità della res judicata, senza dimenticare i principi della certezza di diritto e del legittimo affidamento. Ovviamente, ne consegue che al giudice nazionale che procede in tal senso non gli può essere contestato un illecito disciplinare.
Dunque, nel caso di specie, il giudice nazionale, al fine di applicare correttamente la direttiva UE in materia di sicurezza sul lavoro, può non considerare la giurisprudenza costituzionale che riconosce autorità di cosa giudicata alla decisione amministrativa e che comporta altresì effetti nel procedimento penale, così evitando di essere sottoposto a procedimento disciplinare per inosservanza delle decisioni della propria Corte costituzionale.
[1] Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, in GU L 183 del 29.6.1989, p. 1-8.
[2] Rubricato “Condizioni di lavoro giuste ed eque”, che sancisce al par. 1 come “Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”.
(CGUE, sent. 26 settembre 2024, causa C-792/22, ECLI:EU:C:2024:788)
Stralcio a cura di Roberto Zambrano