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La scriminante della difesa legittima trova applicazione anche in favore di chi sta commettendo un reato se la condotta illecita non ha provocato il pericolo dal quale l´autore pretende di difendersi e la sua reazione ha una finalità esclusivamente difensiva
Federico Maria Schettino
La Corte di legittimità, con la sentenza n. 21577/2024, è tornata a pronunciarsi sulla causa di giustificazione della legittima difesa disciplinata dall’art. 52 c.p.
L’espressione “cause di giustificazione” fa riferimento a quelle facoltà o doveri derivanti da norme che autorizzano o impongono la realizzazione di un determinato fatto qualificandolo come “lecito” o “giustificato”, nel senso di conforme all’intero ordinamento. In tal modo viene esclusa l’antigiuridicità dello stesso e, quindi, la possibilità che venga applicata una sanzione da parte dell’ordinamento giuridico.
L’art. 52 c.p. prevede la non punibilità del soggetto che ha commesso un fatto che teoricamente sarebbe previsto dall’ordinamento giuridico come reato, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Occorre distinguere i due poli intorno ai quali ruota il fatto tipico commesso dal soggetto che si difende: la situazione aggressiva e la reazione difensiva. La prima è delineata come “pericolo attuale di un’offesa ingiusta”, la seconda come “necessità di difendere un diritto proprio od altrui”. L’elemento di raccordo fra le due situazioni è rappresentato dal “diritto” che rappresenta, al contempo, l’oggetto contro cui si dirige l’offesa ingiusta, ed in favore del quale si esercita la difesa[1]. Con la locuzione “diritto” si intende, a parere della dottrina prevalente, un interesse giuridicamente protetto[2]. Viene generalmente riconosciuto che, alla base della non punibilità dell’azione commessa in stato di legittima difesa, vi sia un duplice fondamento: il diritto di autotutela del singolo e le esigenze di difesa del diritto contro l’illecito. In quali termini debba essere inteso il requisito della “necessità” di difendersi, che costituisce uno dei presupposti essenziali della legittimazione ad agire, è argomento fondamentale ai fini dell’inquadramento dell’istituto in parola. L’intervento difensivo può dirsi necessitato, infatti, quando, ponendosi dal punto di vista dell’aggredito, il compimento dell’azione tipica, in base alle circostanze concrete del fatto, appaia priva di valide alternative. Ne consegue l’insussistenza di questa causa di giustificazione se all’autore si offrono soluzioni diverse dal compimento del fatto tipico per neutralizzare l’aggressione. Pertanto, l’esistenza di alternative concrete e agevolmente praticabili, in luogo dell’azione violenta o, comunque, lesiva di beni dell’aggressore, costituisce un limite tendenziale della legittima difesa. Occorre, poi, che l’aggressione sia ingiusta, configurandosi tale ipotesi quando l’ingiustizia dell’attacco si presenti come presupposto sufficiente per l’intervento degli organi di pubblica tutela, ai quali il privato eccezionalmente si sostituisce, essendo incombente la situazione di pericolo. Si richiede, infine, che la reazione sia proporzionale all’offesa. La proporzionalità premette un giudizio globale che tenga conto del valore dei beni, delle modalità di attacco, dei rapporti di forza tra aggressore e aggredito, dell’intensità dell’offesa minacciata. La sentenza della Corte di Cassazione in commento trae origine da una sentenza di condanna del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona che condannava, in esito a giudizio svolto nelle forme del rito abbreviato, il ricorrente per omicidio-detenzione e porto dell’arma da fuoco. Nel caso di specie i soggetti coinvolti nella vicenda si erano dati appuntamento per ragioni legate al traffico di stupefacenti. Tutti erano armati di pistola. Pochi minuti dopo si consumava una sparatoria che portava alla morte di uno dei partecipanti. La Corte di Assise di Appello confermava la sentenza di primo grado. Nella sentenza impugnata il giudice riteneva che non ci fosse spazio per il riconoscimento della scriminante di cui all’art. 52 c.p. Le parti accettavano l’ipotesi di un incontro che potesse degenerare in un conflitto a fuoco e, quindi, l’eventualità di una sfida o di attuazione di spedizione punitiva. Il giudice di prima istanza riteneva una volontaria e programmata partecipazione ad uno scontro armato. Il ricorrente impugnava la sentenza con tre motivi: vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità e all’esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa; violazione di legge in riferimento all’art. 52 c.p. e vizio di motivazione con il quale il giudice di prime cure riteneva l’incontro confluito con l’omicidio preordinato alla sfida e duello; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Con il primo motivo la parte deduceva illogicità e contraddittorietà nel percorso logico seguito dal giudice. Lamentava la mancata valutazione della consulenza tecnica, nonché delle testimonianze (ritenute inattendibili dal giudice di prima istanza) a sostegno della tesi secondo cui l’incontro in argomento era privo di intenti aggressivi da parte dei ricorrenti. Con il secondo motivo di gravame la parte deduceva l’erroneo mancato riconoscimento della causa di giustificazione in argomento per equiparazione dell’incontro oggetto della vicenda con l’ipotesi della preordinata accettazione della sfida e del duello. A parere di parte ricorrente anche il responsabile della condotta illecita che dà luogo all’aggressione può invocare la scriminante quando la sua reazione è correlata all’esigenza di difendere la sua incolumità. Con il terzo motivo di impugnazione la parte denunciava erronea valutazione della Corte distrettuale delle circostanze del fatto, ostative alla concessione delle attenuanti generiche. La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta il ricorso. Per ragioni logiche comincia ad esaminare il secondo motivo di impugnazione. La Corte ritiene che per configurarsi la causa di giustificazione della legittima difesa, è necessario che l’aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa così concreta e imminente da sfociare, se non neutralizzata nell’immediato, in una lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge. E’ necessario che il pericolo sia inevitabile, e non neutralizzabile con modalità alternative al fatto tipico. Non è possibile invocare la scriminante se il soggetto attivo attua comportamenti difensivi preventivi o anticipati ovvero se lo stesso accetti di partecipare a una situazione potenzialmente aggressiva o pericolosa. Non si può dire che ha agito per legittima difesa chi ha consapevolmente e deliberatamente creato o accettato la condizione conflittuale alla quale si è esposto. Si tende a non applicare la disciplina di cui all’art. 52 c.p. in caso di rissa. Nel caso di specie, infatti, la Corte ravvisa assenza di necessità di difesa. Il ricorrente è animato, come gli altri partecipanti all’incontro, da intensi aggressivi che pertanto non possono trovare tutela da parte dell’ordinamento giuridico. La parte ha scelto volontariamente di partecipare a un incontro “chiarificatore” munito di pistola, proprio perché prevedeva azioni violente da contrastare con l’uso dell’arma. La Corte di legittimità ha ritenuto, altresì, che la Corte distrettuale non abbia mancato di valutare le prove offerte da parte ricorrente, ma che le circostanze dedotte non siano state accertate. In sostanza, la tesi secondo cui il ricorrente è stato vittima di un’imboscata non trova alcun sostegno. Il ricorrente, sulla base di quanto emerso, era perfettamente consapevole della rischiosità dell’incontro e della probabilità che lo stesso potesse degenerare in un’azione violenta. Si era munito di arma da fuoco che aveva posto nella sua autovettura in una posizione tale da poterla individuare e usare prontamente fin dall’avvistamento delle controparti. Infine, la Corte di Cassazione, con riferimento al terzo motivo di gravame, ha ritenuto che le circostanze attenuanti generiche non fossero applicabili tenendo conto del comportamento della parte (che aveva addirittura tentato la fuga in Grecia).
Pertanto, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
[1] PADOVANI, voce Legittima difesa, in digesto delle discipline penalistiche, III, Torino, 1989, pp. 131 e ss.
[2] GROSSO, voce Legittima difesa, Diritto penale, in Enc. Dir., XXIV, Milano, 1974, p. 36; Diritto Penale. Parte Generale. Zanichelli editore. Ottava edizione, p. 252 e ss.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. I, 30 maggio 2024, n. 21577)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
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