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Stalking: lo stato di ansia è dimostrabile sulla base delle sole dichiarazioni della vittima e al delitto non può applicarsi l´aggravante della presenza del minore alle condotte persecutorie (art. 61, co. 1, n. 11 quinquies c.p.), ma soltanto quella per condotte persecutorie a danno del minore (art. 612 bis, co. 3 c.p.)
Giuseppe Piccardo
La sentenza in commento trae origine dal ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma, che ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di un soggetto, per il reato di atti persecutori ai danni dell'ex compagna, aggravato ai sensi del secondo comma dell'articolo 612 c.p. Inoltre, veniva contestata l’applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, n. 11 quinquies, c.p., avendo ritenuto che l’imputato avesse agito in presenza del figlio minore, il quale, all'epoca dei fatti minorenne. Il ricorso per Cassazione veniva articolato sulla base di tre motivi, e precisamente: a) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all'articolo 192 c.p.p., per avere la Corte territoriale ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa, senza procedere al più penetrante vaglio, trascurando, in particolare, le contraddizioni di cui erano disseminate quelle dichiarazioni; b) assenza di riscontri a sostegno delle dichiarazioni di parte civile, in relazione a pedinamenti e appostamenti; c) violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto contestato, per assenza dell’elemento oggettivo del reato e della prova dell'evento, avendo la Corte d'Appello operato un riferimento alla crisi depressiva - non accertata da alcun riscontro medico- in cui era precipitata la persona offesa, al cambio di abitudini di vita, da parte della stessa, e alla perdita dell'attività lavorativa; d) erronea applicazione, al caso di specie, della circostanza aggravante dell'aver agito in presenza del figlio, minorenne, all’epoca dei fatti. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, la Corte di Cassazione evidenziava la correttezza della decisione di secondo grado, la quale aveva dato valore alle dichiarazioni della persona offesa, e confrontato le stesse, dettagliate e coerenti, con altre dichiarazioni. Inoltre, la Suprema Corte riteneva che le valutazioni dei giudici di secondo grado fossero conformi all’orientamento costante della giurisprudenza, secondo la quale la prova dell’evento del delitto in questione, dovrebbe essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente. In tale prospettiva, non risulta necessaria la prova di detto stato emotivo, mediante prove documentali, quali attestazioni, esami o certificazioni mediche, essendo sufficiente che gli elementi esplicativi del grave turbamento psicologico siano ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dai suoi comportamenti e dalla stessa condotta dell’autore del reato. In particolare, la Corte di Cassazione, sul punto, ha evidenziato, testualmente, l’allineamento della decisione di secondo grado, a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo le quali “Risultano correttamente applicati al caso di specie i principi posti dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di applicabilità delle regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. alle dichiarazioni della persona offesa (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 - 01: "le dichiarazioni della persona possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone"; in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi). Con riferimento all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1 n. 11 - quinquies c.p., al delitto di atti persecutori, sulla base di una interpretazione letterale e sistematica della norma in questione, la Corte di Cassazione ha evidenziato che quella del legislatore in merito alla non estensione, al minore vittima di atti persecutori “assistiti” , dell’aggravante in oggetto, applicabile qualora assista ad altri delitti, in particolare quelli contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà personale, sia una scelta legislativa, considerato che né il dato letterale né il dato sistematico portano a concludere che il reato di atti persecutori si collochi tra i delitti contro la libertà morale e non tra quelli contro la persona o contro la libertà individuale. Peraltro, a sostegno di detta argomentazione, il ricorrente aveva fatto riferimento all’orientamento più restrittivo della Corte di Cassazione, secondo il quale (Cass. Sez. V, 14 aprile 2021, n. 5, Rv. 281208 – 01) l'aggravante del fatto commesso in presenza di un minore o di persona in stato di gravidanza, di cui all'articolo 61, comma primo, n. 11-quinquies c.p.., non è applicabile al reato di atti persecutori, essendo prevista solo per i delitti non colposi contro la vita e l'incolumità personale e contro la libertà personale, tra i quali non rientra il reato di cui all'articolo 612 - bisc.p. Detto reato, invece è fattispecie delittuosa contro la libertà morale. La decisione può destare perplessità, qualora non si condivida l’orientamento restrittivo della Sprema Corte, la quale, consapevole di ciò, ha precisato che “la libertà morale altro non sia che un aspetto della libertà personale (sempre più orientata, quest'ultima, verso il concetto di libertà di autodeterminazione e, quindi, anche di libertà morale): sia sufficiente, in tal senso, il riferimento all'art. 13 Cost., dedicato alla libertà personale, il cui quarto comma fa divieto di ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà, così accomunando, sotto il medesimo cono d'ombra della protezione accordata alla libertà dell'individuo, i due concetti di libertà personale e libertà morale”. Peraltro, se a quanto sopra si aggiunge che è possibile che la violenza assistita possa riguardare anche un reato, quale quello di atti persecutori, se commesso in presenza di minori, sembra probabile che l’orientamento di di legittimità potrà mutare in senso meno restrittivo, per tutelare in modo effettivo i minori, da una forma di violenza grave e sempre più diffusa, alla quale assistono, quando non la subiscono direttamente.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. V, 31 ottobre 2024, n. 40301)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
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