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In tema di reati fallimentari, il Sindaco non risponde di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata dal Comune per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell´ente pubblico, in quanto, nel caso non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale concorrente “extraneus”, ove sia dimostrato lo specifico contributo fornito al legale rappresentante della società.
Rosaria Mariagrazia Fiorentino
La sezione V Penale della Suprema Corte di Cassazione si è occupata dei reati fallimentari e nello specifico della figura delittuosa più significativa e rilevante del diritto penale fallimentare e cioè del reato di bancarotta fraudolenta impropria.
La questione sottoposta all'analisi della Suprema Corte è se il Sindaco, nella qualità di legale rappresentante del Comune titolare dell'intero capitale sociale di una società multiservizi dichiarata poi fallita per il compimento di operazioni dolose che ne hanno aggravato il dissesto, sia responsabile.
Con la sentenza numero 7723 del 2024 la succitata Sezione penale ha tracciato una linea di demarcazione fra la responsabilità di un sindaco e la vita della partecipata dell'ente ritenendo che “la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società”.
Si è ribadita la posizione dell'ente pubblico che è unicamente “quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici, né detta natura privatistica della società è incisa dall'eventualità del cd. "controllo analogo", mediante il quale l'azionista pubblico svolge un'influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra Pubblica Amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante”.
Pertanto, i due enti, pubblico-privato, restano distinti sul piano giuridico- formale relativamente a centri di imputazione di rapporti e a posizioni giuridiche ed inoltre per le società in house così come per quelle miste non sussiste “apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica” e la posizione del comune è sostanzialmente quella di socio sulla base del capitale conferito e può influire sul funzionamento della società “avvalendosi non dei poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitarsi a mezzo dei membri presenti negli organi della società”.
Nel caso in specie secondo la Corte di legittimità “il Sindaco, quale legale rappresentante del Comune socio unico, era in rapporto di alterità rispetto al Consiglio di Amministrazione della società partecipata: nella sua veste di legale rappresentante del Comune socio, non era titolare di poteri impeditivi dell’evento dedotto in imputazione”.
La Sezione conclude, pertanto, che per aversi responsabilità penale in capo al Sindaco per bancarotta fraudolenta impropria non è sufficiente il fatto che lo stesso sia legale rappresentante dell’Ente locale partecipante-socio unico ma è necessario un quid pluris e vale a dire uno specifico contributo fornito. E' confermata. Quindi. la sentenza della Corte di Appello sul fallimento della multiservizi ed è dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale che chiedeva la condanna del sindaco in quanto lo stesso non poteva impedire che gli amministratori adottassero quelle condotte pregiudizievoli per la salute della società che l'hanno condotta al fallimento.
Il punto di diritto è che“non è ravvisabile una responsabilità penale del sindaco sulla base della mera qualifica rivestita e della coincidenza di legale rappresentante del Comune socio unico della società in house e di rappresentante dell’ente locale: se non vi è la prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale extraneus concorrente nel reato a condizione che sia dimostrato in concreto il contributo specifico dallo stesso fornito al legale rappresentante della società”.
Sezione: Sezione Semplice
Cass. Pen., Sez. V, 22 febbraio 2024, n. 7723
Stralcio a cura di Lorenzo Litterio