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Il riconoscimento della recidiva reiterata non implica (necessariamente) la previa dichiarazione di recidiva semplice in una precedente sentenza di condanna

Valeria Ferro

Quella affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza in commento rappresenta una delle questioni di più evidente complessità interpretativa concernenti l’istituto della recidiva, vale a dire il rapporto tra la recidiva reiterata e il pregresso accertamento di altra ipotesi di recidiva. La vicenda concreta da cui trae origine la questione concerneva due soggetti condannati in primo e in secondo grado per il reato di furto aggravato dall’aver usato violenza sulle cose, dall’aver commesso il fatto in più persone e dalla recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. Nel proporre impugnazione avverso la sentenza di appello la difesa di uno dei due ricorrenti deduceva la violazione dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., sostenendo che la Corte territoriale avesse erroneamente applicato l’aggravante anzidetta nonostante l’assenza di una pregressa e formale dichiarazione giudiziale di recidiva semplice. La Quinta Sezione della Cassazione, investita del ricorso, rimetteva la questione alle Sezioni Unite, riscontrando sul punto una potenziale incompatibilità tra l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario (cui si era conformata la sentenza impugnata) e i più recenti principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di recidiva. Alle argomentazioni formulate dalla Sezione rimettente aderiva, con una memoria presentata in udienza, il Procuratore Generale. Prima di pronunciarsi sul presunto contrasto prospettato nell’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite procedono a una lunga e articolata disamina dell’evoluzione registratasi, nel corso degli ultimi anni, in relazione all’art. 99 cod. pen. La profonda rivisitazione dell’istituto ha interessato principalmente i tre momenti nevralgici della sua applicazione: la contestazione della circostanza, la verifica dei suoi presupposti e la produzione degli effetti giuridici. Per comprendere i principi formulati con riguardo al primo e al terzo dei suindicati momenti occorre soffermarsi, seppur brevemente, sulla natura giuridica della recidiva. Quest’ultima costituisce – per univoca indicazione legislativa (art. 70 cod. pen.) – una circostanza aggravante soggettiva e, nello specifico, una circostanza «inerente alla persona del colpevole». Dall’identificazione della natura circostanziale della recidiva deriva l’assoggettamento della stessa alle regole previste per tale specifica categoria di elementi. Alla stregua di qualsiasi altra circostanza la recidiva deve, anzitutto, essere contestata dal pubblico ministero all’imputato, garantendo in tal modo la formazione del contraddittorio sul punto. Per poter poi produrre tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa connesse, la recidiva, oltre che ritualmente contestata, deve essere riconosciuta e applicata, tanto ove risulti l’unica circostanza nel caso di specie quanto nell’ipotesi in cui confluisca in un giudizio di comparazione con circostanze eterogenee. A tal proposito, la giurisprudenza è oramai orientata nel ritenere riconosciuta e applicata la recidiva, con logica produzione di tutti gli effetti diretti e indiretti tipici, anche quando il giudizio di bilanciamento si concluda con una dichiarazione di equivalenza della aggravante rispetto alle altre circostanze contestate. Di converso, e salvo eccezioni, la produzione degli effetti della recidiva, siano essi principali o secondari, deve ritenersi esclusa allorquando la stessa venga considerata dal giudice subvalente rispetto alle contestate attenuanti. Un’importanza centrale riveste, nel proseguo, l’analisi dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha interessato la verifica dei presupposti applicativi della recidiva. Nella originaria versione del Codice Rocco del 1930 l’aggravamento di pena tipico della circostanza in questione conseguiva automaticamente al rilevamento del requisito formale di cui all’art. 99, primo comma, cod. pen., ovverosia la sussistenza, al momento della commissione del nuovo reato, di una precedente sentenza di condanna definitiva per altro delitto non colposo. Sotto il profilo strutturale e processuale la recidiva era, in buona sostanza, espressione di uno status soggettivo del reo determinato dai suoi precedenti penali e che il giudice si limitava a «dichiarare». A seguito e per effetto di varie riforme legislative (quali quelle dell’anno 1974 e dell’anno 2005) e di pronunce giurisprudenziali (ex aliis, Corte Cost., 23 luglio 2015, n. 185), la circostanza aggravante ha perduto l’originario connotato di «obbligatorietà» e il suo accertamento è divenuto «facoltativo», nel senso che è consentito al giudice escluderla laddove non la ritenga in concreto espressione di una maggior colpevolezza o pericolosità sociale dell’agente. Il novero dei presupposti di configurabilità della fattispecie è stato, allora, progressivamente arricchito di elementi di carattere sostanziale, ulteriori rispetto a quelli sanciti dal dettato normativo, talché ad oggi per ritenere un soggetto «recidivo» non è più sufficiente accertare l’esistenza di una precedente condanna, ma occorre valutare se il nuovo reato sia effettivamente sintomatico di una maggiore rimproverabilità, di un atteggiamento di indifferenza verso la legge, dell’assenza di un ripensamento critico del soggetto agente. In definitiva, da un punto di vista sistematico, la recidiva opera oggigiorno quale circostanza pertinente al reato (e non quale status soggettivo), fungendo, coerentemente con la sua natura giuridica, da criterio di adeguamento della risposta sanzionatoria alla gravità del nuovo delitto. Venendo adesso al caso di specie, proprio la crescente valorizzazione del carattere «facoltativo» della circostanza ha stimolato nella Sezione rimettente l’opportunità di un ripensamento dei rapporti tra le varie tipologie di recidiva indicate dall’art. 99 cod. pen., le quali – è bene ribadirlo – «non costituiscono autonome tipologie svincolate dagli elementi normativi e costitutivi della recidiva semplice, bensì mere specificazioni di essa, dalla quale si diversificano, espressamente richiamandola, per le differenti conseguenze sanzionatorie che comportano» (Cass., Sez. Un., 27.5.2010, n. 35738, ric. Calibè). Stando all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, pressoché costante e risalente, il riconoscimento della recidiva reiterata non presuppone una precedente dichiarazione di recidiva semplice, essendo a tal fine sufficiente che, al momento della commissione dell’ultimo delitto, il reo risulti gravato da più condanne definitive per reati che, valutati unitamente a quest’ultimo, manifestino la sua maggiore attitudine criminosa. Il fondamento interpretativo della suesposta tesi è costituito da un argomento di tenore letterale e cioè dall’assenza, nella formulazione dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., di alcun riferimento a una pregressa condanna per fatti aggravati dalla recidiva. Secondo una tesi opposta, la necessità di un preventivo riconoscimento, anche se non espressa, è comunque deducibile dall’espressione «recidivo», intendendo come tale il soggetto nei cui confronti è stata già pronunciata una sentenza di condanna attestante un atteggiamento criminoso recidivante. Le Sezioni Unite intervengono in soluzione di continuità rispetto alla posizione interpretativa dominante, ribadendo, invece, che la formula lessicale è stata usata dal legislatore per ragioni di mera semplificazione semantica, per non riproporre per esteso e testualmente i presupposti formali (e sostanziali) che ad oggi fondano l’applicazione di qualsiasi tipologia di recidiva. La ragionevolezza di tale ricostruzione viene confermata da diverse altre ipotesi in cui, in modo analogo, l’applicazione dell’istituto prescinde da un’apposita dichiarazione giudiziale. Vengono citati in tal senso la formulazione letterale dell’art. 105 cod. pen., in tema di dichiarazione di delinquenza professionale, nonché le costanti interpretazioni giurisprudenziali in materia di ammissione del recidivo reiterato all’oblazione speciale (art. 162-bis, terzo comma, cod. pen.) e al c.d. patteggiamento allargato (art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen.). A fronte dei profondi cambiamenti che hanno interessato la fisionomia e il giudizio di applicazione della recidiva, la sentenza in commento si sofferma, in conclusione, a valutare la sostenibilità di un mutamento interpretativo (così come auspicato dalla Sezione rimettente e dal Procuratore Generale). La proposta ermeneutica alternativa, quella di un preventivo e necessario riconoscimento giudiziale, seppur condivisibile in un approccio sistematico, non risulta, secondo le Sezioni Unite, egualmente persuasiva con riguardo ai rapporti tra la recidiva semplice e quella reiterata. Sul piano dei rapporti tra i due «livelli» di recidiva, la proposta finirebbe, difatti, per risolversi in una diversa e non meno rigida limitazione della discrezionalità dell’accertamento, soprattutto ove si considerino le molteplici e occasionali ragioni per cui tale valutazione potrebbe non avere luogo. Nondimeno, un precedente accertamento dei presupposti applicativi non sarebbe in ogni caso esaustivo ai fini dell’applicabilità, essendo comunque necessario – come più volte ribadito dalle stesse Sezioni Unite – che il giudizio sulla recidiva abbia ad oggetto la totalità dei reati compresi nella sequenza recidivante. La notevole evoluzione dell’istituto, pur se non tale da creare il potenziale contrasto denunciato, non viene minimizzata ma piuttosto valorizzata in altra sede processuale: quella della motivazione. La facoltatività del riconoscimento della recidiva impone, difatti, al giudice un onere motivazionale particolarmente pregnante. Sulla scorta di ciò, spetterà all’organo giudicante, segnatamente nelle ipotesi in cui non sussista una precedente dichiarazione di recidiva, indicare e argomentare in modo preciso e rigoroso gli elementi fattuali e i criteri valutativi utilizzati per affermare ovvero escludere l’applicazione della circostanza.

Argomento: Del reo e della persona offesa dal reato
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS. UU., 25 luglio 2023, n. 32318)

stralcio a cura di Giulio Baffa

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“(…) La questione rimessa alle Sezioni (…) è formulata nei seguenti termini: “Se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale”. (…) Venendo in primo luogo al momento processuale della contestazione, dall’operatività della recidiva quale circostanza aggravante è stata tratta (…) la conseguenza della possibilità di ritenere la stessa in sede giudiziale solamente in quanto specificamente contestata all’imputato, a garanzia della formazione del contraddittorio sul punto (…). In presenza di una pluralità di imputazioni, (…), si è individuata una di tali implicazioni nella necessità che la circostanza sia oggetto di contestazione con puntuale riferimento a ciascuno dei reati (…). In ordine invece al rapporto fra le modalità della contestazione e le diverse ipotesi di recidiva previste dall’art. 99 c.p., si è ritenuta necessaria la specificazione nell’imputazione di quale di dette ipotesi sia addebitata (…), rilevandosi consequenzialmente che la mera qualificazione della recidiva contestata come “ex art. 99 c.p. “, proprio in quanto priva di ulteriori precisazioni, non possa intendersi che riferita alla recidiva semplice (…). Sul piano strutturale e descrittivo (…) la [recidiva] non può essere considerata unicamente come espressione di uno status soggettivo del reo, delineato dai suoi precedenti penali. La necessità del presupposto sostanziale di maggiore colpevolezza e pericolosità, del quale il nuovo delitto sia sintomatico, collega invece la recidiva anche ad un dato fattuale, ossia tale nuovo delitto nelle sue oggettive caratteristiche. Sotto il profilo funzionale, infine, coerentemente con la sua natura circostanziale, la recidiva opera in questa prospettiva come adeguamento della risposta sanzionatoria alla effettiva gravità del nuovo delitto. La peculiarità di questa funzione è nella necessità che tale gravità sia valutata nella sua relazione con i precedenti reati commessi, [continua ..]

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