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Maltrattamenti: se il reato abituale si perfeziona sotto la vigenza di una legge più favorevole e si reitera “un segmento insignificante di abitualità” dopo l´entrata in vigore della modifica peggiorativa della fattispecie, si applica la pregressa norma più favorevole

Giulio Baffa 

Con la sentenza che qui si annota, la Corte di Cassazione è tornata a confrontarsi con questioni relative alla successione di leggi penali nel tempo e ai reati cc.dd. di durata e, in particolare, questa volta, ai reati cc.dd. abituali. Più nel dettaglio, nel caso di specie, il ricorrente invocava la violazione di legge penale in quanto i giudici di merito applicavano il regime sanzionatorio (più sfavorevole) dell’art. 572 c.p. così come modificato dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172 in ragione circostanza per cui l’arco temporale di commissione del fatto veniva stabilito nel periodo dal 2009 fino al mese di luglio 2013.

La novella legislativa richiamata, in effetti, ha inciso, inter alia, sulla cornice edittale dell’art. 572 c.p., ampliando la pena-base originaria (reclusione da uno a cinque anni) alla pena della reclusione da due a sei anni[1].

Il tema attiene dell’individuazione del tempus commissi delicti nei reati abituali (o reati cc.dd. a condotta reiterata), come appunto quello di Maltrattamenti in famiglia, reato (necessariamente) abituale proprio[2], in cui la reiterazione delle condotte (insita nello stesso concetto di “maltrattamenti” [3]) rappresenta un requisito oggettivo essenziale del delitto ex art. 572 c.p.

Proprio la natura di illecito di durata suggerisce infatti che il momento di “realizzazione” del fatto di reato non coincide con il momento della “consumazione”: il requisito della reiterazione sarà integrato sul piano oggettivo se (e nel momento in cui), verificatisi tutti gli altri elementi di fattispecie, si realizzi l’offesa all’interesse tutelato dalla norma; all’opposto, il carattere abituale verrà meno quando non sia più possibile ricondurre un eventuale ed ulteriore episodio all’interno del medesimo contesto criminoso. Ed ancora, nulla esclude che, nonostante la realizzazione dell’offesa tipica, nuove azioni od omissioni vengano successivamente commesse, con la conseguenza per cui la consumazione del reato si verifichi in un momento successivo, allorquando cioè siano terminati gli atti integrativi della condotta.

Muovendo da queste premesse di carattere teorico, la Corte affronta il problema del tempus commissi delictinelle ipotesi nelle quali, pur perfezionatosi il reato nei requisiti oggettivi e soggettivi, la sua consumazione si protragga sotto la vigenza della legge successiva, ossia dopo l’entrata in vigore delle legge n. 172 del 2012, che, come già anticipato, ha modificato in senso peggiorativo la fattispecie incriminatrice de qua, verificando, di conseguenza, se la stessa possa o meno “regolare” l’intero fatto criminoso.

Secondo un primo orientamento, occorrerebbe fare riferimento al momento in cui la condotta si esaurisce, cioè all’ultimo atto che protrae la situazione antigiuridica. Ne deriva l’applicabilità della disposizione vigente alla data della consumazione del reato (nel caso di specie, luglio 2013), in ragione dell’unitarietà e inscindibilità della struttura del reato abituale, sicché non vi sarebbe ragione di evocare l’art. 2 c.p., comma 4, c.p., dovendosi rifare al tempo in cui è stato commesso il reato. Oltretutto, si aggiunge, nei reati di durata, il soggetto agente ben potrebbe determinarsi nel senso di interrompere la condotta a fronte dell’intervento di una legge penale più sfavorevole[4].

Secondo un diverso orientamento, invece, il tempus commissi delicti è quello in cui la condotta assume i caratteri di tipicità, ossia appena inizia la permanenza o l’abitualità del reato, con la conseguenza per cui la legge sopravvenuta più sfavorevole regolerebbe soltanto il nuovo “segmento di condotta” commesso successivamente all’entrata in vigore della modifica legislativa, sempre che sotto la vigenza della legge più sfavorevole si siano nuovamente realizzati tutti gli elementi del fatto tipico. Diversamente, si dovrebbe ritenere applicabile la legge sopravvenuta anche nel caso in cui sotto la vigenza della nuova norma si sia compiuto un solo fatto maltrattante.

Il tema è stato affrontato ex professo dalla Sezioni Unite penali con la sentenza 19 luglio 2018, n. 40986 – pure largamente richiamata dalla pronuncia che qui si commenta –, la quale si è soffermata sulla questione di diritto concerne l’individuazione della legge penale applicabile a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole (reato c.d. ad evento differito), relativamente alle modifiche legislative che hanno interessato la fattispecie di omicidio stradale, ritenendo di fare riferimento al momento di commissione della condotta (c.d. teoria della condotta) al fine di non veicolare fenomeni di retroattività occulta della norma sfavorevole.

In quell’occasione, i Giudici di legittimità, muovendo dall’assunto per cui nei reati di durata la determinazione del tempus commissi delict non sia questione esterna al fenomeno successorio ex art. 2, quarto comma, c.p., hanno precisato, da una parte, che la ratio di garanzia del principio di irretroattività della norma più sfavorevole ai sensi degli artt. 25 Cost. e 7 Cedu è da intendere come valutabilità da parte dell’agente dell’opportunità della propria condotta illecita, ossia come “calcolabilità” delle conseguenze giuridico-penali del proprio agire; dall’altra parte, che l’individuazione del tempus commissi delicti deve necessariamente essere ancorata alle funzioni costituzionali della pena di cui all’art. 27, primo e terzo comma, Cost., segnatamente quella general-preventiva e quella rieducativa, che possono esplicarsi soltanto al momento in cui il soggetto agisce o omette di compiere l’azione doverosa.

Tornando alla questione qui affrontata dalla Corte di Cassazione, nei reati cc.dd. abituali in cui sotto la nuova legge si sia realizzato un segmento insignificante di “abitualità”, penalmente neutro, gli artt. 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. impongono di far prevalere il “diritto” dei soggetti agenti all’applicazione del trattamento giuridico più favorevole già conseguito al momento di realizzazione dell’offesa tipica, il quale non può essere soppiantato da una legge posteriore. Si tratta, detto altrimenti, di ipotesi in cui la condotta risulta pienamente sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 572 c.p., e dunque alla norma penale più favorevole, ma che, tuttavia, rischia di essere sanzionata dalla norma penale sfavorevole sopravvenuta, in ragione del fatto che un solo atto maltrattante, anche se penalmente irrilevante, sia stato commesso sotto la vigenza della nuova legge sfavorevole, che in tal modo finisce di fatto per operare retroattivamente

In definitiva, secondo la Corte, se l’effetto per il reo è già sorto, la rivalutazione in peius è da considerarsi vietata. Alcun rilievo, invece, assume il caso in cui il soggetto compia segmenti di condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma modificativa sfavorevole sopravvenuta, atteso che in tale situazione proprio l’unitarietà del reato condurrà all’applicazione solo della norma sotto la cui vigenza il reato si sia consumato, i.e. quella più sfavorevole sopravvenuta.

 

[1] Per completezza espositiva, si segnala come il delitto di Maltrattamenti in famiglia sia stato oggetto di numerosi interventi legislativi, fattispecie che ha visto progressivamente ampliare la propria sfera di operatività. Oltre alla l. n. 172 del 2012 che ha provveduto ad una sostanziale riscrittura della disposizione dell’art. 572 c.p. – già a partire dal concetto stesso di “famiglia” e, quindi, dell’oggetto giuridico del reato, gli interventi legislativi in materia di violenza domestica e/o di genere, approdati di recente nel c.d. codice rosso (l. n. 69 del 2019) hanno modificato ulteriormente l’ambito applicativo della fattispecie.

[2] Sulla distinzione tra reato necessariamente abituale ed eventualmente abituale v. T. Padovani, Diritto penale, ed. IX, Giuffrè, 2008, 111. Sulla distinzione e tra reato abituale proprio ed improprio v. G. Fornasari, voce Reato abituale, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVI, 1991, 1 ss.

[3] Sul punto v. A. Sereni, Maltrattamenti ed atti persecutori nel diritto penale del XXI secolo, in Studi in onore di Franco Coppi, Giappichelli, 2011, 606.

[4] Ex multis, v. Cass. Pen., Sez. VI, 6 aprile 2022, n. 19832.

Argomento: Tempus commissi delicti
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 28 giugno 2023, n. 28218)

stralcio a cura di Fabio Coppola 

(…) “Dalla sentenza impugnata emerge che i fatti per cui si procede sono stati commessi dal 2009 fino al luglio del 2013. Dunque, una condotta che si è protratta anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 172 del 1 ottobre 2012, che, come è noto, ha modificato in senso peggiorativo la fattispecie incriminatrice [maltrattamenti in famiglia]. Il tema attiene alla individuazione del tempus commissi delicti nei reati abituali, come appunto quello di maltrattamenti in famiglia, al fine di determinare la legge applicabile nel caso di successione di leggi modificative. Non è in contestazione, con specifico riguardo al reato necessariamente abituale (proprio), che questo può dirsi perfezionato quando si assista al compimento di quell'atto che, unendosi ai precedenti, sia in grado di superare una determinata soglia di intensità di disvalore di azione e di evento, integrando quel minimum essenziale ai fini della realizzazione dell'offesa all'interesse giuridicamente protetto. Nel reato abituale, il tempo di commissione del delitto è individuato nel momento in cui si pone in essere l'atto che, insieme al precedente, attribuisce agli episodi la soglia di rilevanza; rispetto a tale dato, tuttavia, assume rilievo il caso in cui la consumazione del reato si protragga nel tempo. Ci si riferisce ai casi in cui, nonostante si sia già realizzato il minimo rilevante livello di offesa dell'interesse tutelato, nuove azioni od omissioni vengano successivamente commesse; in tal caso, si afferma, il reato si consuma in via definitiva in un momento successivo, quando cioè gli atti integrativi della condotta sono terminati. La questione, dunque, attiene alle ipotesi in cui succeda una legge creatrice, abrogatrice o meramente modificativa, rispettivamente di un nuovo reato abituale, di un reato abituale preesistente e di un reato abituale persistente (cosi, lucidamente, in dottrina). Ove si tratti di una legge creatrice di un nuovo reato abituale, le condotte compiute prima della introduzione della nuova fattispecie non possono essere considerate cumulativamente con le successive, cioè quelle poste in essere nella vigenza della fattispecie incriminatrice di ultima introduzione, le quali, pertanto, nel rispetto del principio di irretroattività, saranno punibili soltanto qualora da sole risultino sufficienti a costituire la serie minima richiesta dal nuovo reato. Non diversamente, in [continua ..]

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