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L´uso improprio del c.d. “bonus carta del docente” integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter cod. pen.)

Alessia Brunetti

 

Con la sentenza sopra richiamata, la Corte di Cassazione si è espressa sulla configurabilità del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, in caso di uso improprio del bonus noto come “Carta del docente” (nel prosieguo, Carta).

Per meglio contestualizzare quanto si dirà, è opportuno premettere brevemente che la Carta viene istituita su iniziativa del Ministero dell’istruzione con la legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona scuola) in favore dei docenti delle istituzioni scolastiche. La Carta, dall’importo nominale annuo di euro cinquecento, è finalizzata all’acquisto di una serie di beni – quali, ad esempio, riviste, hardware e software, corsi di laurea, di aggiornamento e qualificazione, titoli di accesso per rappresentazioni teatrali o a musei, mostre ed eventi culturali eccetera - utili alla formazione ed all’aggiornamento dei beneficiari.

La pronuncia della Suprema Corte muove dal caso di un soggetto indagato per il reato di cui all’articolo 316-ter cod. pen. per aver, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante di una società, in tempi diversi e mediante la presentazione di fatture e documentazione falsificata relativa all’acquisto di beni diversi da quelli consentiti, conseguito indebitamente erogazioni statali, consistite nel rimborso delle somme riconosciute dal Ministero dell’istruzione.

Così ricostruito il fatto nei suoi tratti essenziali, la sentenza è di particolare interesse perché consente di soffermarsi su due questioni interpretative. In primis, sull’analisi degli elementi distintivi delle fattispecie di cui agli artt. 316-ter e 640–bis cod. pen. Con riferimento a quest’ultimo reato, potrebbe infatti legittimamente sorgere il dubbio che, richiedendosi un preventivo riscontro del contenuto delle fatture emesse dall’esercente che beneficia del bonus da parte dell’amministrazione pubblica che liquida la somma, questa potrebbe essere tratta in inganno da una condotta decettiva del privato, configurando l’illecito cui all’articolo 640-bis del codice penale.

In seconda battuta, sul concetto del locus commissi delicti del reato contestato, e conseguentemente sull’individuazione del giudice competente a pronunciarsi.

Anzitutto, dalla collocazione sistematica della disposizione, inserita nel Titolo II del Libro II del codice penale, inerente ai delitti contro la pubblica amministrazione, si evince che la fattispecie delittuosa di indebita percezione di erogazioni pubbliche è posta a tutela del corretto funzionamento della pubblica amministrazione. Nello specifico, con l’art. 316-ter il legislatore ha inteso presidiare il regolare andamento della pubblica amministrazione, offrendo protezione alla genuina formazione della volontà dell’ente pubblico, in merito ai versamenti di distribuzione ed erogazione di risorse economiche, con la finalità di reprimere l’attribuzione non dovuta e di conseguenza l’indebito conseguimento, censurando il mancato obbligo di verità posto in capo al soggetto che richiede il finanziamento.

Per vero, in relazione alla prima delle tematiche esaminate, i giudici di legittimità hanno, nel tempo, avuto modo di pronunciarsi ripetutamente[1], puntualizzando quali sono gli elementi che permettono di distinguere l’ambito di applicazione delle fattispecie di cui agli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen.

Segnatamente, il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata in quanto non include tra i suoi elementi costitutivi quello dell’induzione in errore dell’ente erogatore. Quest’ultimo, infatti, si limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, riservata ad una fase meramente eventuale e successiva.

La norma, infatti, è stata introdotta con la finalità di censurare quei comportamenti che, non integrando gli estremi di cui all’art. 640-bis cod. pen., siano caratterizzati dal mero silenzio antidoveroso o dall’induzione in errore. Sicché, la condotta tipica si configura mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute. Pertanto, il comportamento delittuoso si compone sia di condotte attive che di condotte omissive con riferimento ad informazioni dovute all’ente che rilascia il finanziamento.

A fortiori, può osservarsi che laddove si inquadrasse la fattispecie di cui all’art. 316-ter cod. pen. tra le ipotesi speciali di truffa, si finirebbe per vanificare l’intento del legislatore che, con la sua introduzione, aveva inteso espandere la responsabilità per le condotte decettive ai danni dello Stato, o dell’Unione europea, non incluse nel reato di truffa.

Il richiamo al diritto unionale è necessario in quanto l’articolo in discorso è stato introdotto dal legislatore con la legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha ratificato e dato esecuzione ad una pluralità di atti sovranazionali tra cui rientra, prima fra tutti, la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995.

Dunque, il rapporto tra le due fattispecie delittuose si configura in termini di sussidiarietà, e non di specialità, dell’art. 316-ter rispetto all’art. 640-bis, dovendo il primo trovare applicazione allorquando difettino gli estremi del secondo[2].

Alla luce di ciò, in concreto l’ambito di applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. si riduce a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale. Infatti, non sono molti i casi in cui il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni presupponga l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo: perlopiù l’erogatore ammette che il riconoscimento e la determinazione del contributo siano fondati sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservandosi a una fase successiva, ed eventuale, di effettuare le opportune verifiche.

Tanto osservato ed applicando i criteri appena descritti al caso di specie, correttamente la vicenda va inquadrata nell’alveo applicativo dell’art. 316-ter cod. pen., attese le modalità di funzionamento della Carta, che prevedono che ciascun docente, previa registrazione e utilizzazione di una apposita piattaforma informatica, può acquistare il bene o il servizio prescelto di persona oppure online presso un esercente o un ente di formazione aderente all’iniziativa: il docente genera attraverso il sistema un buono informatico, che consegna all’esercente, come fosse un titolo di credito; l’esercente emette, dunque, una fattura a carico del Ministero dell’istruzione e ottiene così l’erogazione del relativo importo. Le uniche condizioni richieste per l’esercente sono quelle di essersi previamente iscritto in un apposito elenco e di impiegare il sistema di fatturazione elettronica della pubblica amministrazione per ottenere l’erogazione dell’importo pari al credito maturato, mediante l’utilizzo di una apposita piattaforma informatica del Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici). Dal canto suo, Consap si limita ad effettuare un riscontro puramente formale delle fatture inserite, consistente nella verifica di conformità della fattura ai requisiti fissati dalla normativa in materia di fatture elettroniche, e null’altro.

Venendo, poi, alla seconda delle questioni prospettate, costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità[3] il principio per cui il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. si intende consumato nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati, determinando la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi né in quello in cui ha sede la società o il soggetto ammesso al contributo.

Ne consegue che, essendo il Ministero dell’istruzione a liquidare gli incentivi, la competenza a decidere si radica ove esso ha sede, ossia a Roma, e non nel luogo ove è avvenuta la vendita di beni ai docenti ed è stata redatta la documentazione propedeutica alla richiesta di erogazione del contributo statale.

 

[1] Cfr., ex multis, Cass., Sez. Un. n. 16568 del 19.4.2007, Sez. Un. n. 7537 del 16.12.2010, Sez. F. n. 44878 del 6.8.2019, Sez. 6 n. 51962 del 2.10.2018, Sez. 2 n. 40260 del 14.7.2017.

[2] Cfr. Cass., Sez. Un. n. 16568/2007.

[3] Cfr., ex multis, Cass. Sez. 6, n. 2125 del 24.11.2021 e Sez. 6, n. 12625 del 19.2.2013.

Argomento: Dei Delitti Contro la Pubblica Amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 14 luglio 2023, n. 30770)

stralcio a cura di Annapia Biondi 

“(…) Questa Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire quali sono gli elementi che permettono di distinguere l’ambito di applicazione delle norme incriminatrici dettate rispettivamente dagli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen., puntualizzando che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell’ente erogatore, il quale si limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva.” “(…) L’ambito di applicabilità dell’art. 316-ter cod. pen. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale. In molti casi, invero, il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo. Ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche.”  “(…) Applicando tali criteri di interpretazione alla vicenda oggetto del ricorso portato all'odierna attenzione di questa Corte, deve ritenersi che sia stata corretta la scelta tanto del Giudice per le indagini preliminari quanto del Tribunale del riesame di Cosenza di qualificare i fatti di causa ai sensi dell'art. 316-ter c.p.. Il "bonus carta del docente" è stato istituito dalla L. 13 luglio 2015, n. 107, art. 1, comma 121, che prevede che "Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita (...) la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per [continua ..]

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