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Reddito di Cittadinanza: non è innocua la falsa dichiarazione relativa alla composizione familiare pur in presenza delle condizioni personali per ottenere il sussidio

nota di Raffaele Vitolo

Con la Sentenza n. 5440 del 8 febbraio 2023 la terza Sezione della Suprema Corte in tema di delitti contro la fede pubblica afferma che il reato di cui all’art. 7 comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 si configura anche nel caso in cui le false indicazioni o le omissioni di informazioni dovute consentano di conseguire un beneficio di importo maggiore di quello spettante. Nel caso in oggetto, l’agente per ottenere “indebitamente” il beneficio in misura maggiore a quanto spettante, dichiarava di convivere con la moglie (Dichiarazione Sostitutiva Unica del 3 luglio 2020). La sentenza impugnata, richiamando la decisione di primo grado, precisa che l’indicazione della situazione di convivenza con la moglie era stata funzionale a far percepire all’imputato un rateo di importo maggiore rispetto a quello spettante, data la separazione del 15 maggio 2019 ed il divorzio datato il 10 ottobre 2020.

Il ricorso per cassazione censura la sentenza della Corte d’appello articolando due motivi. In prima istanza si deduce che illegittimamente è stato configurabile il reato di false dichiarazioni al fine della percezione del reddito di cittadinanza poiché non si è valutato che si è trattato di un falso innocuo. Questa argomentazione trova spunto secondo la giurisprudenza che mira a sanzionare la percezione del sussidio in difetto delle condizioni sostanziali per ottenere il beneficio. In aggiunta, con il secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione riguardo la ritenuta sussistenza del reato di false dichiarazioni al fine del beneficio del sussidio.

La cassazione in esame elabora una sola risposta ai due motivi perché ritiene una connessione delle questioni ed in particolare ritiene infondato il ricorso perimetrando l’ambito di applicazione della fattispecie di cui all’art. 7, comma 1, d.l. n.4 del 2019. Infatti, questa disposizione “ deve ritenersi riferita non solo ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissioni di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza, quando questo non spetterebbe in alcuna misura, ma anche ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante.”

L’art. 7 del d.l. n. 4/2019 configura due diverse fattispecie delittuose: Il primo comma punisce con la reclusione da due a sei anni, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio…, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”. Il secondo comma punisce, invece, con la reclusione da uno a tre anni, “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio…”.

 

Pare necessaria una premessa circa i contrasti giurisprudenziali in tema di natura e qualificazione dell’art.7 d.l. n. 4 del 2019.

Secondo un primo filone ermeneutico, affermatosi all’indomani della novella del 2019, la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 dovrebbe ritenersi integrata a prescindere dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, e dunque anche nel caso in cui il mendacio non incida sul diritto a ottenere il Rdc (ovvero sull’ammontare di quest’ultimo), diritto effettivamente sussistente in capo al richiedente.

Da siffatti approdi interpretativi hanno consapevolmente preso le distanze due più recenti pronunce di legittimità (la sentenza “Gulino” del 2021 e la successiva sentenza “Pollara” del 2022), le quali hanno contestato la ricostruzione dell’art. 7, primo comma, in termini di reato di pericolo astratto, ritenendo invece la fattispecie ascrivibile al paradigma del pericolo concreto, così da comportare la rilevanza penale delle sole condotte finalizzate all’ottenimento di un beneficio non dovuto. In questa prospettiva veniva valorizzato il dolo specifico costituito dal «fine di ottenere indebitamente» il Rdc, elemento non contemplato dall’ipotesi di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 e dal quale si dovrebbe ricavare la necessaria idoneità della condotta a perseguire l’obiettivo di ottenere un sussidio espressamente qualificato come “indebito”, e dunque per forza di cose non dovuto.

Detto ciò, proprio sulla differenza tra il primo ed il secondo comma della norma, la Corte afferma che sembra irrazionale e poco logico che le falsità e le omissioni funzionali ad ottenere un importo maggiore di quello spettante siano penalmente indifferenti, mentre le omesse comunicazioni e variazioni reddituali o patrimoniali (comma 2), volte ad ottenere un beneficio non spettante, siano assoggettate a sanzione penale. E, dunque conclude che una falsità dei dati rilevanti ai fini della determinazione della rata da erogare, quale quella relativa al nucleo familiare, non può certo qualificarsi come innocua.

La problematica è che nella prassi si possono verificare tre distinte ipotesi: a) il mendacio nella richiesta per l’ottenimento del RDC per totale assenza dei requisiti; b) il mendacio per ottenere un beneficio maggiore rispetto al dovuto in assenza della falsa dichiarazione; c) il mendacio che non incide sul diritto ad ottenere il sussidio né sull'ammontare del beneficio.

La fattispecie in commento sembra rientrare nella lettera b in modo inequivocabile. Infatti, il ricorrente in sede di dichiarazione aveva i requisiti per accedere ad un importo inferiore diverso rispetto a quello ricevuto.

Prospettiva diversa, invece, a questo punto, è la disciplina del comma 6 dell’art.7 il quale prevede la decadenza dal beneficio. Infatti, essa è disposta nel caso in cui il nucleo familiare abbia percepito il beneficio economico del Rdc in misura maggiore rispetto a quanto gli sarebbe spettato, per effetto di dichiarazione mendace in sede di DSU o di altra dichiarazione nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio, ovvero per effetto dell'omessa presentazione delle prescritte comunicazioni, ivi comprese le comunicazioni di cui all'articolo 3, comma 10, fermo restando il recupero di quanto versato in eccesso. Quindi, per il Legislatore la variazione delle condizioni in corso di erogazione, e non in sede di presentazione della domanda, vanno comunicate a pena di decadenza e restituzione del sussidio. Quest’ultima questione è totalmente diversa rispetto al caso in esame, ma degna di riflessione.

 

Per concludere in modo esaustivo è necessario un passaggio sul dibattito in corso in tema di abrogazione del reddito di cittadinanza e della relativa norma incriminatrice poiché la prospettiva interpretativa sul punto potrebbe “spazzare via” tutta la giurisprudenza di legittimità in oggetto.

Con la legge di Bilancio 2023 (art. 1, co. 318 l. 29 dicembre 2022, n. 197) è stata disposta, a decorrere dal 2024, l’abolizione del reddito di cittadinanza. Si è stabilito che “a decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati”.

L’abrogazione dell’intera disciplina del reddito di cittadinanza, comprese le norme penali, è stata disposta “a decorrere dal 1° gennaio 2024”, così dando spazio ad una riflessione sul principio di retroattività della norma più favorevole. Si tratta di un’abrogazione realizzata da una norma della legge di bilancio entrata in vigore il 1° gennaio 2023, con effetto differito al 1° gennaio 2024. In altri termini, la norma è entrata in vigore nel 2023, ma l’abrogazione, anche delle norme penali, si realizza dal 2024. Sotto il profilo del diritto intertemporale penale, comporta il differimento della produzione degli effetti retroattivi di una lex mitior, che abroga due norme incriminatrici e una norma che configura effetti penali della condanna conseguenti a reati non interessati dall’intervento di modifica normativa.

Il problema che si pone è stabilire se l’abrogazione delle norme incriminatrici di cui all’art. 7, co 1 e 2 d.l. n. 4/2019 dà luogo a una successione di leggi penali, disciplinata dall’art. 2 c.p. e se comporta, in particolare, una abolitio criminis.

 

Argomento: false dichiarazioni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. III, 08 febbraio 2023, n. 5440) 

Stralcio a cura di Fabio Coppola

  “(…) Si deduce che illegittimamente è stato ritenuto configurabile il reato di false dichiarazioni al fine della percezione del reddito di cittadinanza, di cui all'art. 7, comma 1, D.L. n. 4 del 2019, poichè non si è valutato che si è trattato di un falso innocuo. Si evidenzia, a tale proposito, che l'imputato versava comunque in condizioni personali tali da avere diritto a percepire il sussidio, indipendentemente dall'inclusione della moglie nel nucleo familiare, e che, secondo la giurisprudenza, la norma penale mira a sanzionare la percezione del sussidio in difetto delle condizioni sostanziali per ottenere il beneficio (si cita Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021). (…) Le censure relative all'innocuità del falso sono infondate. 34.1. Per una risposta sul punto, risulta necessario definire l'ambito di applicazione della fattispecie di cui all'art. 7, comma 1, D.L. n. 4 del 2019.  L'art. 7, comma 1, D.L. cit. prevede: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni".  Questa disposizione deve ritenersi riferita non solo ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza, quando questo non spetterebbe in alcuna misura, ma anche ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante, come nel caso in esame.  Innanzitutto, infatti, beneficio "indebitamente" ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante.  Inoltre, la soluzione ermeneutica secondo cui beneficio "indebitamente" ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante è in linea anche con esigenze di coerenza normativa.  Invero, l'art. 7, comma 2, D.L. n. 4 del 2019, sottopone a sanzione penale "(I)'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai [continua ..]

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