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Autoriciclaggio sempre punibile se le condotte di “godimento personale” compromettono l´economia legale

Maria Chiara Mastrantonio

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha inteso nuovamente precisare il perimetro applicativo della clausola di non punibilità prevista al comma quinto dell’art. 648 ter 1 c.p.

Il caso portato all’attenzione degli Ermellini riguardava una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano a carico di tre soggetti condannati in ordine a più fattispecie di reato, tra cui quella di autoriciclaggio.

Nelle impugnazioni proposte, con specifico riferimento a quest’ultima imputazione, si censurava l’erronea applicazione della legge penale nonché l’illogicità e la manifesta contraddittorietà della sentenza nella parte in cui non si riconosceva l’operatività della predetta clausola.

L’esimente in esame, che a seguito della modifica legislativa operata del D. Lgs. n. 195 del 2021 è stata spostata dal quarto al quinto comma, esclude – come noto - l’assoggettamento a pena per coloro che, fuori dai casi di cui ai commi precedenti dell’art. 648 ter 1, destinino il denaro, i beni o le altre utilità derivanti dal reato presupposto alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La Seconda Sezione, dopo aver ripercorso il dibattito politico precedente all’introduzione della fattispecie di autoriciclaggio - attenzionando particolarmente il ruolo in esso svolto dal c.d. beneficio dell’autoriciclatore -, ha evidenziato come, per evitare la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, il legislatore pur incriminando la condotta di sostituzione o trasformazione attuata dall'autore del delitto presupposto l'ha limitata escludendo la punizione della stessa sia sotto il profilo oggettivo e cioè per difetto di offensività rispetto al bene giuridico protetto (ordine pubblico economico) prevedendo che la condotta deve essere tale da "ostacolare concretamente l' identificazione della provenienza delittuosa" sia sotto il profilo soggettivo con l' introduzione della clausola di non punibilità del comma 4 [rectius comma V] secondo la quale non è punibile la condotta mirata alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

Proprio sulla scorta di quanto appena rammentato, il Giudice di legittimità ha rappresentato come la direttrice da seguire al fine di comprendere l’effettivo ambito operativo dell’esimente de qua debba essere proprio quella della possibile aggressione del bene giuridico protetto dalla fattispecie autoriciclativa, ovverosia l’ordine pubblico economico.

Di fondamentale importanza, allora, appare il dibattito esegetico sorto con riferimento al significato da attribuire alla locuzione “fuori dai casi di cui ai commi precedenti”, incipit della clausola di non punibilità in esame.

Secondo una prima tesi, infatti, la norma va interpretata secondo il senso fatto palese dal significato proprio delle parole e, cioè, che la suddetta clausola non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Sostenendo, dunque, che la norma abbia una sua autonomia e si ponga all'esterno dei commi che la precedono, viene ad essa assegnata una mera funzione interpretativa o di semplice puntualizzazione del comma primo.

Una seconda tesi, invece, evidenziando come se si accedesse all'esegesi appena richiamata il comma in questione diverrebbe superfluo, ha invocato una rilettura del medesimo quale limite alla condotta descritta e sanzionata nel primo comma. Ed invero, secondo tale orientamento, sarebbe più corretto escludere la punibilità delle condotte che, pur rientranti in quelle indicate nei commi precedenti – e, dunque, di per sé punibili - siano finalizzate all’utilizzazione o al godimento personale dei proventi del delitto presupposto.

L’adesione all’una o all’altra interpretazione, come ovvio, determina opposti risvolti applicati.

Integrati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatoria, infatti: se si accogliesse la tesi restrittiva, il comportamento dell’agente risulterebbe penalmente sanzionabile indipendentemente dal mero utilizzo o godimento personalmente dei proventi del reato presupposto; se si desse credito alla testi estensiva, al contrario, a parità di condizioni, l’agente andrebbe esente da responsabilità penale.

Ed allora, avallando la validità delle argomentazioni già di recente spese nella pronuncia n. 30399 del 2018 a sostegno del primo orientamento, il Giudice di legittimità ha richiamato il principio di diritto statuito in quella occasione, secondo cui “fuori dei casi di cui ai commi precedenti (...)" va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l'agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa”.

“Così ragionando”, continua la Suprema Corte, “si circoscrive l'operatività dell'esimente alle sole situazioni in cui il denaro o gli altri beni che derivano da un delitto non colposo presupposto non siano dallo stesso autore in qualche modo impiegati "in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative", ma vengano da questo direttamente utilizzati, senza il compimento di un'attività concretamente di ostacolo dell’identificazione della loro provenienza delittuosa. Di talché, ogni attività dotata di capacità decettiva, finalizzata a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, esclude in radice la possibilità di invocare la non punibilità ai sensi del comma 4 [rectius comma V], anche laddove consista in un utilizzo o godimento personale degli stessi”.

La locuzione “mera utilizzazione o al godimento personale”, allora, come già evidenziato in più occasioni (tra tutte la già citata Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30399), sottende due presupposti imprescindibili:

  1. l’uso diretto dei beni provento del delitto presupposto da parte del solo agente. Elemento, questo, facilmente deducibile dall'aggettivazione ("mera": rectius: semplice; "personale") dei due sostantivi ("utilizzazione"; "godimento") che non lascia spazio ad alternative;
  2. l'assenza di qualsiasi attività concretamente ostacolante l’identificazione della provenienza delittuosa del bene e, dunque, di comportamenti decettivi diretti a rendere non tracciabili i proventi del reato.

Al fine di corroborare la predetta tesi viene altresì rilevato come tale conclusione si ponga in piena continuità anche con un’altra statuizione (meno recente) della medesima Sezione nella quale si affermava l’irrilevanza penale del mero versamento del profitto delittuoso sul conto corrente intestato all’autore del reato presupposto, fin quando egli non ne facesse uso, proprio in virtù della mancata capacità decettiva dell’azione posta in essere (Cfr. Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074).

Evidenzia, tuttavia, il Giudice di legittimità come la vicenda portata alla sua attenzione sembra essere ben diversa da quella appena richiamata.

Nel caso in esame, invero, gli imputati non solo avevano spostato parte delle somme provento del traffico di stupefacenti in plurimi conti correnti accesi presso paesi esteri bensì avevano utilizzato quel denaro per estinguere finanziamenti o acquistare di immobili, compagini societarie, autovetture e motoveicoli di ingente valore economico.

Ed è proprio quest’ultimo profilo che appare essere dirimente.

“Lo spostamento ovvero l'impiego in qualunque forma di rilevanti somme di denaro di provenienza illecita”, avverte la Suprema Corte, “non può beneficiare della non punibilità di cui al comma 4 [rectius comma V] dell'art. 648 ter l c.p., anche laddove tali condotte fossero finalizzate a meglio godere del denaro stesso o a far fronte a spese personali dell'autore del reato presupposto, perchè si tratta di situazioni che naturalmente incidono in maniera decisiva sull'economia legale, compromettendola, sì da risolversi in una delle condotte sanzionate dal comma 1. La non punibilità per godimento personale va pertanto limitata all'utilizzo del profitto illecito per ragioni strettamente contingenti ed esclusa quando per la pluralità degli acquisti effettuati e dei trasferimenti verso altri conti correnti si manifesti una evidente attività di trasformazione del denaro in altri impieghi e beni con chiaro intento speculativo ed effetto decettivo”.

Sebbene il mero godimento personale possa facilmente individuarsi in situazioni che coinvolgono beni primari (si pensi al soggetto che dopo aver commesso il furto di un genere alimentare lo consumi), lo stesso, a parere del Giudice di legittimità, non può dirsi per il denaro, res di per sé capace di inquinare le attività economico-finanziarie in cui è riadoperato e, dunque, di aggredire l’ordine pubblico economico protetto dalla fattispecie autoriciclativa.

La Seconda Sezione, dunque, ha rappresentato come “la molteplicità delle operazioni effettuate […] costituiscono tutti elementi per ritenere sia che l'attività svolta abbia assunto natura finanziaria e speculativa sia che la stessa essendo priva della finalità dell'utilizzo contingente del profitto illecito, risulti punibile quale complessa attività di autoriciclaggio alla quale non può applicarsi la clausola di non punibilità prevista dal comma 4 [rectius comma V] dell'art. 648 ter l c.p.”.

Ritenendo infondate le doglianze avanzate dai ricorrenti, quindi, la Suprema Corte ha validato l’operato del Giudice di Merito in relazione al mancato riconoscimento della clausola di punibilità prevista all’art. 648 ter 1, comma V, c.p., affermando, in conclusione, il principio di diritto in base al quale “la clausola di non punibilità di cui al comma 4 [rectius comma V] dell'art. 648 ter l c.p. non opera a favore dell'autore di varie fattispecie di delitto presupposto che percepiti profitti illeciti in denaro effettui sia operazioni di movimentazione bancaria sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche allo stesso intestati”.

Argomento: Dei delitti contro il patrimonio mediante frode
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. II, 3 febbraio 2023, n. 4855)

Stralcio a cura di Fabio Coppola

“(…) Deve poi essere ricordato come all'indomani dell'introduzione della nuova figura delittuosa, si è sviluppato un dibattito circa l'esegesi da attribuire al comma in esame, con specifico riguardo alla locuzione "fuori dei casi di cui ai commi precedenti". Secondo una prima tesi, incentrata sul significato proprio delle parole, il quarto comma descriverebbe una fattispecie autonoma e diversa da quelle descritte nei commi precedenti. In questo modo si attribuisce alla norma una funzione di mera interpretazione a contrario del primo comma: infatti, sanzionando il primo comma l'impiego, la sostituzione, il trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, si sarebbe potuto ugualmente giungere a ritenere non punibili "le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale", proprio perché si tratta di condotte estranee all'area della condotta tipica, e, quindi, non punibili in ossequio al principio di legalità. Una seconda tesi più estensiva, invece, evidenziando come, se si accedesse all'esegesi ora richiamata, il comma in questione diverrebbe superfluo, ha invocato una rilettura della clausola di apertura quale limite alla condotta descritta e sanzionata nel primo comma (come se l'intento del legislatore fosse stato quello di scrivere "nei casi di cui ai commi precedenti"), sottolineando come sarebbe più corretto escludere la punibilità per le condotte che, pur rientranti tra quelle indicate nel primo comma, e dunque di per sé punibili, siano finalizzate alla utilizzazione o godimento personale del provento del delitto presupposto. Questa Suprema Corte ha già ampiamente spiegato le ragioni per cui quest'ultima tesi non possa trovare accoglimento, assumendo a sostegno dell'interpretazione più restrittiva, argomenti di natura letterale e sistematica (v. Sez. 2, n. 30399 del 7/06/2018, non mass.), e sconfessando le obiezioni che concepivano l'inutilità del comma in esame se si fosse percorsa la prima tesi, affermava il principio di diritto secondo cui: «la clausola di non punibilità prevista nel comma quarto dell'art. 648 ter 1 cod. pen. a norma della quale "Fuori dei casi di cui ai commi precedenti [....]" va intesa ed interpretata nel senso [continua ..]

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