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Le Sezioni Unite in merito al reato di furto: il fine di profitto può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale

Andrea Tigrino

IN DIRITTO:

 

Con ordinanza del 18 novembre 2022, la Sezione V penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, rilevando un persistente contrasto tra orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di “profitto” recata dalla fattispecie incriminatrice. 

Le Sezioni Unite procedevano così a un confronto tra due orientamenti di legittimità: 1) in accordo col primo, risalente a pronunce redatte più di quarant'anni fa, il concetto di “profitto” risulterebbe svincolato «dalla natura economica del fine dell'agente: il profitto avuto di mira può, quindi, consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, e soddisfare un bisogno di tipo psichico, rispondendo alle più svariate finalità (di dispetto, ritorsione, vendetta, rappresaglia, emulazione)». La particolare ampiezza di una simile lettura consentirebbe così di apprezzare «qualsiasi utilità o vantaggio […] realizzabile con l'impossessamento della cosa mobile altrui, commesso con coscienza e volontà in danno della persona offesa», a nulla rilevando la destinazione successivamente data alla stessa. 2) Al contrario, aderendo a un orientamento più recente e maggiormente restrittivo, occorrerebbe «attribuire rilievo unicamente al perseguimento di una utilità di tipo patrimoniale».

1) Il primo orientamento, ritenuto maggioritario, ammette che il fine possa «ben consistere nell'appropriarsi per un periodo apprezzabile di tempo della cosa mobile altrui, anche se solo a scopo emulativo», giacché «la limitazione della punibilità […] alle sole ipotesi di sottrazione dettata da finalità economiche priverebbe di tutela penale il possesso delle cose mobili in caso di lesioni dettate da motivazioni non economiche». L'eccessivo restringimento della tutela penale conseguente all'adesione ad altre interpretazioni veniva posto in risalto mediante il richiamo a ipotesi esemplificative, reputate egualmente riconducibili al delitto di furto: a) la sottrazione di un bene per poi successivamente distruggerlo (giacché il danneggiamento conseguente all'amotio della res sarebbe altrimenti non punibile); b) il furto nell'interesse della vittima (ritenuto non punibile per carenza di dolo specifico ma da risolvere, invece, verificando l'eventuale operatività di una causa di giustificazione); c) il furto determinato da motivazioni emulative o affettive; d) la sottrazione di beni non commerciabili.

Oltre a ciò, lo stesso orientamento troverebbe fondamento nel fatto che «il reato di furto è reato contro il patrimonio, e non a vantaggio del patrimonio dell'agente, onde non possono non soggiacere alla previsione di cui all'art. 624 cod. pen. illegittime aggressioni al patrimonio altrui, sol perché queste, per autonoma decisione del soggetto attivo, non si risolvono in un corrispondente arricchimento del patrimonio dell'agente».

2) Quanto al secondo orientamento, esso ritiene anzitutto che l'interpretazione precedentemente considerata «trascurerebbe il dato letterale e sistematico dell'inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che costituisce il bene/interesse tutelato dalla norma». Come conseguenza della prima lettura, lo scopo di lucro previsto dalla fattispecie astratta finirebbe per coincidere «con la generica volontà di tenere per sé la cosa», tradendo la funzione selettiva e garantista della tipicità penale fino al punto da cancellare il requisito del dolo specifico (con conseguente ampliamento della sfera del furto a discapito di quella di altre fattispecie o estensione della stessa a fatti non meritevoli di sanzione penale). Solo l'adesione a un paradigma strettamente economico, quindi, garantirebbe al fine di profitto di assolvere «ad una funzione di limite dei fatti punibili a titolo di furto», individuando al contempo «una linea di confine tra il furto ed altre figure di reato, non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte dell'agente».

 

Le Sezioni Unite ritengono di aderire al primo orientamento.

In primo luogo, si osserva come «la scelta di circoscrivere la nozione di profitto all'ambito strettamente patrimoniale non può trovare fondamento in un significato univoco della parola “profitto” nel linguaggio comune; quest'ultima ricorre infatti in espressioni prive di qualunque correlazione con la sfera del lucro economico, finendo per identificarsi, come attestato nei dizionari di lingua italiana, in un giovamento o vantaggio, sia fisico che intellettuale o morale o pratico». D'altronde, «l'assenza, nella ricostruzione dei tratti caratteristici dei delitti contro il patrimonio, di profili semantici univocamente riconducibili ad utilità suscettibili di diretto apprezzamento economico, spiega per quale ragione il legislatore, nel costruire le fattispecie incriminatrici, avverta talora l'esigenza di ribadire con formule sovrabbondanti la finalità perseguita per non lasciare, in un cono d'ombra d'incertezza interpretativa, talune condotte che intende sanzionare» (è il caso dell'art. 416-bis, comma 3 c.p., che accomuna nella prospettiva incriminatrice i profitti e i vantaggi ingiusti).

Ciò premesso, l'adesione a una nozione onnicomprensiva di “profitto” non si tradurrebbe in un'interpretatio abrogans del dolo specifico esatto dalla fattispecie delittuosa, trovando al contrario una giustificazione ben precisa: «posto che l'interpretazione del significato del dolo specifico deve necessariamente essere condotta, in assenza di indici letterali univoci, nel quadro del sistema dei delitti contro il patrimonio, appare evidente che la nozione di profitto non può che essere calibrata sul vantaggio che l'autore intende trarre dall'impossessamento. In altri termini, il profitto rilevante […] è quello che, indipendentemente dalla sua idoneità ad essere apprezzato in termini monetari, viene tratto immediatamente dalla costituzione dell'autonoma signoria sulla res e non quello che può derivare attraverso ulteriori passaggi dall'illecito». Quale ulteriore precisazione, il profitto si ritiene discendere dall'impossessamento «quando si correli alla conservazione, all'uso [si consideri l'ipotesi definita dall'art. 626, comma 1, n. 1 c.p., n.d.r.], al godimento o al compimento di un qualunque atto dispositivo».

Peraltro, posto che il “patrimonio” può per il titolare del bene aggredito comprendere anche rapporti aventi a oggetto cose prive di un valore puramente economico, «non si riesce a intendere per quale ragione – e specularmente – la nozione di patrimonio de[bba] essere circoscritta, quando venga in rilievo l'incremento perseguito dall'autore della condotta, ai soli vantaggi che quest'ultimo pretenda di trarre dallo scambio del bene sottratto per un controvalore economico». Inoltre, «l'utilizzazione autonoma del bene, per qualunque fine, da parte dell'autore dello spossessamento, cui si accompagna l'impossibilità per il “detentore” di farne uso, vale a concretare un tipico atto espressivo di un diritto esclusivo, personale o reale, di godimento, la cui pertinenza al patrimonio dell'autore della condotta è incontestabile».

In sintesi, «il profitto rilevante è quello che deriva dal possesso penalisticamente inteso, ossia dalla conservazione e dal godimento del bene». Nonostante la funzione delimitatrice del dolo specifico risulti in tal modo ridotta, la presente lettura si rivela ad avviso dei giudici pienamente coerente con la volontà del legislatore, nonché con un'interpretazione sistematica della giurisprudenza di legittimità in materia di delitti contro il patrimonio: nel caso della rapina, infatti, il profitto può ben concretarsi in «ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione».

 

Nell'applicare i principi finora sintetizzati al caso in esame e, così, rigettare il ricorso, la Suprema Corte ritiene che, una volta accertato il fine dell'imputato di ottenere la disponibilità esclusiva del cellulare, con conseguente ampliamento della propria sfera di potenzialità giuridica e menomazione di quella della vittima, «il carattere non direttamente lucrativo dell'obiettivo avuto di mira non vale ad escludere il fine di profitto richiesto dalla fattispecie incriminatrice».

 

 

COMMENTO:

 

Chiamate a esercitare la propria funzione nomofilattica, le Sezioni Unite hanno offerto una risposta perentoria a una vexata quaestio di diritto penale sostanziale, ritenendo che il fine di profitto nel delitto di furto debba essere ravvisato in «qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dell'autore».

Nell’impossibilità di procedere a una disamina organica del dibattito dottrinale in materia e stanti le critiche egualmente riguardanti entrambi gli orientamenti, opportuno pare anzitutto tenere in considerazione la voluntas legislatoris. Posta la molteplicità di delitti che contemplano il profitto come evento (si pensi alla truffa e all’estorsione) o come contenuto essenziale del dolo specifico (furto, rapina, circonvenzione di persone incapaci, appropriazione indebita, ricettazione, ecc…), il riferimento ai Lavori Preparatori del Codice Rocco non si rivela tuttavia dirimente: il legislatore, nel chiarire i caratteri differenziali tra la sostituzione di persona e la truffa, afferma che «l'ingiusto profitto con altrui danno, nella truffa, delitto contro il patrimonio, ha un contenuto patrimoniale o almeno incide sul patrimonio altrui; nella sostituzione di persona invece, «vantaggio» indica una qualsiasi utilità, anche non economica»[1]; nondimeno, affrontando successivamente la species del furto d’uso, la stessa Relazione segnala che «“trarre profitto”, si insegna, è procurarsi un vantaggio»[2], assimilando de facto i concetti precedentemente distinti o comunque non contribuendo a tracciare una linea di demarcazione fra i due lemmi.

In assenza di chiarimenti etimologici e volendo così procedere al riscontro dei maggiori limiti connessi all’adesione all’una o all’altra lettura, la tesi secondo la quale il profitto coinciderebbe esclusivamente con un vantaggio di natura economica dà effettivamente luogo a vuoti di tutela, come d’altronde rilevato già nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. Se, infatti, le ipotesi di sottrazione del bene altrui attuate mediante violenza o minaccia potrebbero essere ricondotte alla diversa fattispecie di violenza privata (come sostenuto dalla difesa dell’imputato nel caso oggetto di commento), quelle realizzate attraverso modalità differenti (dall’inganno alla semplice destrezza, approfittando della disattenzione altrui) e non animate da finalità locupletative rischierebbero altrimenti di non assumere rilevanza penale, integrando al più illeciti civili: si pensi al caso di un biglietto aereo sottratto al fine di impedire la partenza di una persona odiata, così come al furto di un bene al solo scopo di ostentarlo, di un manufatto con l’intenzione di studiarlo o di un capo d’intimo femminile per appagare un desiderio sessuale.

Pertanto, il diverso paradigma – richiamato anche in relazione ai delitti di rapina e ricettazione – per cui il profitto, lungi dall’essere circoscritto al vantaggio economico, ricomprenderebbe più ampiamente ogni utilità, piacere o soddisfazione che l’agente possa procurarsi mediante il compimento dell’azione criminosa si presenta non tanto come la soluzione “corretta”, bensì come l’unica percorribile per scongiurare aree di impunità in seno alla fattispecie in esame. A sostegno di una simile interpretazione e pur con la consapevolezza di possibili scostamenti fra l’accezione gergale e il diverso significato tecnico-giuridico attribuito a un vocabolo, va infine segnalato come vi sia concordanza fra i dizionari della lingua italiana nel ritenere che il concetto di profitto non possa essere vincolato a un fine puramente economico, ricomprendendo esso al contrario scopi di natura pratica, morale, intellettuale, fisica, ecc…

 

[1] Ministero della giustizia e degli affari di culto (a cura di), Lavori preparatori del Codice penale e del Codice di Procedura penale, Volume V, Parte IIa, Roma, 1929, p. 271.

[2] Ibidem, p. 446.

Argomento: Reati contro il patrimonio
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS. UU., 12 ottobre 2023, n. 41570)

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo

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“1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è stata formulata nei seguenti termini: «Se il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, sia circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene una utilità di natura esclusivamente patrimoniale, ovvero possa consistere anche in un fine di natura non patrimoniale». 1.1. Secondo il primo, maggioritario orientamento, la nozione di profitto non si identifica necessariamente con un'utilità patrimoniale alla quale tenda l'agente: in altri termini, in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non richiede la volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta (…). Nel quadro di tale cornice si è ritenuto che il fine di trarre profitto dal bene della vita illecitamente acquisito si identifica nell'intenzione di conseguire una qualsiasi utilità, anche di natura esclusivamente personale e non economica. Il fine può ben consistere nell'appropriarsi per un periodo apprezzabile di tempo della cosa mobile altrui, anche se solo a scopo emulativo. (…) 1.2. Come è stato già sottolineato, l'orientamento espresso da alcune pronunce della Corte in epoca più recente è favorevole invece a circoscrivere la nozione di profitto. Si è osservato che il fine di profitto integrante il dolo specifico del reato deve essere interpretato in senso restrittivo, ossia come possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell'utilità intesa in senso economico - patrimoniale, laddove il contrario orientamento si presta alla critica di «trascurare il dato letterale e sistematico dell'inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che costituisce il bene/interesse tutelato dalla norma» e di determinare «un'eccessiva espansione della nozione di profitto estesa fino a raggiungere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, arrivando ad identificare lo scopo di lucro previsto nella fattispecie astratta con la generica volontà di tenere per sé la cosa», il che «può comportare, in definitiva, l'annullamento della previsione [continua ..]

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