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Il mandato d'arresto europeo (M.A.E.): quale compatibilità col diritto alla salute e alla non discriminazione tra cittadini UE e paesi terzi?
Vittorio Silvestro
Sommario: 1. Fatti di causa. – 2. Inquadramento del mandato d’arresto europeo (M.A.E.): definizione e superamento dell’istituto dell’estradizione. – 3. Le sentenze 177/2023 e 178/2023 ed il dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. – 4. Considerazioni conclusive.
- Fatti di causa
In data 28 luglio 2023 sono state depositate due sentenze di assoluto rilievo della Corte Costituzionale – le sentenze nn. 177 e 178 (redattore Francesco Viganò) – che affrontano profili diversi della disciplina del mandato d’arresto europeo (M.A.E.), attinenti alla possibilità di rifiutare la consegna della persona interessata in presenza di un soggetto affetto da patologie croniche incompatibili con la custodia in carcere, la prima, e di un cittadino di uno Stato terzo, extra UE, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, la seconda.
Con la sentenza 28 luglio 2023, n. 177 la Corte costituzionale ha suggellato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale relative agli art. 18 e 18-bis della L. 22 aprile 2005, n. 69, sollevate dalla Corte d’appello di Milano sezione quinta penale, nel procedimento penale a carico di E. D.L.[1], con ordinanza del 17 settembre 2020 con riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 111 della Costituzione[2] nella parte in cui non prevedono quale motivo di rifiuto della consegna, nell’ambito delle procedure di mandato d’arresto europeo, «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta».
D’altra parte, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178/2023, esprimendosi sulle questioni di legittimità relative all’art. 18-bis, comma 1, lettera c), e comma 2, della L. 22 aprile 2005, n. 69, sollevate dalla Corte d’appello di Bologna, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di O. G.[3], con ordinanza del 27 ottobre 2020 con riferimento agli artt. 11 e 117 della Costituzione, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale; più nel dettaglio, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del suddetto articolo al comma 1, lettera c) «nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia» e – in via consequenziale – del comma 2 «nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.»
- Inquadramento del mandato d’arresto europeo (M.A.E.): definizione e superamento dell’istituto dell’estradizione.
L’introduzione del M.A.E., avvenuta con la decisione quadro 2002/584/GAI, adottata dal Consiglio dell’Unione europea il 13 giugno 2002, ha rappresentato una rivoluzione nel campo dell’estradizione nel panorama europeo. L’istituto risulta essere uno dei primi passi, così come individuato negli obiettivi programmatici della Conferenza di Tampere[4], per raggiungere la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea che, col Trattato di Lisbona del 2007, è divenuto uno dei principi cardine dell’Unione consolidandosi all’art. 3, par. 2, TUE. Dato che l’obiettivo primo della decisione quadro è quello di avvicinare le disposizioni ordinamentali degli Stati membri per il perseguimento della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – pur, com’è noto, non avendo efficacia diretta – è stato compito del legislatore italiano positivizzare, all’interno dell’ordinamento italiano, gli obiettivi della decisione quadro 2002/584/GAI: ciò è avvenuto con la Legge del 22/04/2005 n. 69.
A chiarire la definizione dello strumento in esame è la stessa decisione quadro che così si apre all’art. 1: “Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.”[5]
Invero, a costituire la caratteristica più innovativa del M.A.E. vi è sicuramente la “giudiziarizzazione” del processo di consegna che viene sottratto alla discrezionalità degli esecutivi degli Stati membri, che spesso ha rappresentato la realizzazione di rifugi politici e ha creato attriti tra gli stati[6], per essere affidato completamente alle autorità giudiziarie. Quest’ultime non operano in maniera del tutto automatica, difatti, la decisione quadro contiene un’elencazione tassativa di motivi obbligatori e discrezionali per la mancata esecuzione del M.A.E., rispettivamente all’art. 3 e agli artt. 4 e 4 bis (artt. 18 e 18-bis della L. 69/2005) e positivizza le garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari, all’art. 5 (art. 19 della L. 69/2005). A tal proposito, l’assenza del riferimento ai reati politici tra i motivi di non esecuzione rappresenta un progresso rispetto alla Convenzione europea di estradizione del 1957 ed alla Convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 1996 in quanto, precedentemente, era rimessa in capo agli Stati l’identificazione delle condotte criminose rientranti nel novero dei reati politici.
Ulteriore punto di cesura con gli articolati precedenti è la non inclusione della nazionalità quale motivo di non esecuzione del M.A.E. In precedenza, com’è noto, molti Stati si vedevano preclusa la possibilità di estradare i propri cittadini da parte di disposizioni costituzionali, ma la disciplina introdotta dalla decisione quadro 2002/584/GAI prevede solo la possibilità, all’art. 5, par. 3, che il soggetto incriminato, dopo essere stato ascoltato, venga rimpatriato nello Stato membro di esecuzione del M.A.E. per scontarvi la pena pronunciata dall’autorità dello Stato emittente.
Oltre a ciò, non si può non segnalare l’eccezione che la decisione quadro crea al requisito della doppia punibilità. Invero, se in precedenza vi era la possibilità di non procedere all’estradizione lì dove veniva posta in essere una condotta non ritenuta criminosa dalle leggi dello Stato d’esecuzione, questa barriera è stata parzialmente superata dalla presenza di un’elencazione di 32 reati (o meglio categorie di reato), contenuta all’art. 2, par. 2, – a tale disposizione fa espresso riferimento anche l’art. 8 della L. 69/2005[7] – per i quali si applica la consegna «indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato» purché nello Stato emittente siano punibili con una pena non inferiore a tre anni.
- Le sentenze 177/2023 e 178/2023 ed il dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Precedentemente alla pronuncia delle sentenze nn. 177 e 178 della Corte Costituzionale, si assiste ad un rilevante dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di giungere ad un’interpretazione conforme delle disposizioni contenute nella decisione quadro 2002/584/GAI, così come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, e dunque della nostra L. 68/2005, che – soprattutto – a seguito dell’intervento del D. Lgs 2 febbraio 2021, n. 10, risulta essere estremamente coerente al dettato della decisione quadro.
Con riferimento alla sentenza 28 luglio 2023, n. 177, la Consulta, con l’ordinanza n. 216 del 2021, ha disposto di sottoporre alla CGUE, tramite rinvio pregiudiziale, la corretta interpretazione dell’art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI, lì dove prevede «l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea»[8]. A tale quesito la CGUE ha risposto con la Sentenza sulla causa C-699/21 del 18 aprile 2023 nella quale è stabilito che i principii di fiducia reciproca e mutuo riconoscimento costituiscono il fondamento della cooperazione giudiziaria europea in materia penale e che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può sospendere temporaneamente l’esecuzione del M.A.E., solo in via eccezionale, lì dove vi siano elementi oggettivi che facciano temere un rischio per la salute della persona interessata e quindi «sollecitare l’autorità giudiziaria emittente a trasmettere qualsiasi informazione relativa alle condizioni nelle quali si prevede di perseguire o di detenere detta persona, nonché alle possibilità di adeguare tali condizioni allo stato di salute della persona stessa al fine di prevenire il concretizzarsi di tale rischio». Inoltre, la Curia sancisce la possibilità di rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo nel caso in cui, dalle informazioni ottenute dallo Stato emittente, non si possa escludere un serio pregiudizio per il soggetto interessato entro un tempo ragionevole[9].
Per quanto riguarda la sentenza 28 luglio 2023, n. 178 – anche in questo caso – la pronuncia è arrivata successivamente ad un dialogo tra la Corte Costituzionale e la CGUE, alla quale sono state sottoposte due questioni pregiudiziali: «se l’art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI (…), relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell’art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo» e – in caso di risposta affermativa – «sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna».
A questi interrogativi, la CGUE, con la Sentenza sulla causa C-700/21 del 6 giugno 2023, risponde che l’art. 4, punto 6 della decisione quadro 2002/584/GAI, letto in combinato disposto con l’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (che cristallizza il principio di uguaglianza davanti alla legge), va interpretato nel senso che la normativa europea osta con quella di uno Stato membro che escluda in maniera assoluta e automatica la non esecuzione facoltativa del M.A.E. nei confronti di un cittadino di un paese terzo, che dimori o risieda nel territorio di tale stato. Sempre la medesima sentenza, con riferimento alla seconda questione pregiudiziale, chiarisce l’interpretazione dell’art. 4, punto 6, ai fini della valutazione degli elementi caratterizzanti la situazione del cittadino in grado di rappresentare un legame tra esso e lo Stato membro di esecuzione: «Tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro»[10].
- Considerazioni conclusive
In definitiva, a parere di chi scrive, le sentenze in commento svolgono un apprezzabile ruolo nella tutela dei diritti coinvolti nell’esecuzione del mandato d’arresto europeo in Italia. Le finalità della disciplina europea in esame, così come delineate dalle sentenze della CGUE sulle cause C-699/21 e C-700/21, sono il raggiungimento del principio di mutuo riconoscimento e di parità di trattamento e grazie all’attività interlocutoria tra le due Corti si giunge ad un concreto ravvicinamento dell’ordinamento italiano a quello europeo; difatti, nella scenario europeo attuale questi i due principii sono connaturato obbligatorio della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea.
Invero, se da un lato la sentenza n.177/2023 della Corte Costituzionale assume una natura chiaroscurale dichiarando «non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69» non si può non considerare che la stessa Corte «ha, anzitutto, condiviso la valutazione del rimettente [la Corte d’appello di Milano sezione quinta penale, n.d.r.] circa l’inidoneità del rimedio di cui all’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005, rispetto alla necessità di tutela del diritto alla salute della persona ricercata. Si è in proposito sottolineato che nella disciplina della decisione quadro, alla luce della quale la disposizione italiana deve essere interpretata, il differimento «a titolo eccezionale» della consegna sembra previsto in relazione a situazioni di carattere meramente “temporaneo” e appare un rimedio incongruo in relazione a patologie croniche e di durata indeterminabile» e che «Dare seguito al mandato di arresto in tali circostanze comporterebbe – come la stessa Corte di giustizia sottolinea – una violazione dell’art. 4 CDFUE, esponendo l’interessato al rischio di un trattamento inumano e degradante; e determinerebbe in ogni caso, dal punto di vista del diritto costituzionale, una lesione del diritto inviolabile alla salute della persona ricercata, tutelato dagli artt. 2 e 32 Cost.» Inoltre, si può comprendere come i giudici della Consulta rinvengano all’interno della L. 69/2005 la possibilità di rifiutare la consegna del soggetto interessato in quanto la stessa legge, con gli artt. 1 e 2, ha dato attuazione all’art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI che condiziona l’esecuzione del M.A.E. al rispetto dei diritti fondamentali della persona richiesta tra i quali – chiaramente – il diritto alla salute.
Da quanto detto e commentato si evince come la dichiarazione di infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale tragga le sue radici nella possibilità di «ovviare alla mancata previsione, nelle disposizioni censurate, di un motivo di rifiuto fondato sul grave rischio per la salute dell’interessato attraverso un’interpretazione sistematica della legge n. 69 del 2005 alla luce della sentenza E. D.L.» nondimeno considerando che, in ossequio ai principii di fiducia reciproca e mutuo riconoscimento che regnano nel diritto europeo, lo Stato italiano debba operare una presunzione di compatibilità di trattamento – processuale ed assistenziale – tra il proprio e quello degli altri Stati membri.
Allo stesso modo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del 28 luglio 2023 dà pieno riconoscimento al principio di uguaglianza davanti alla legge che – com’è noto – pone sullo stesso piano cittadini degli Stati membri e no. Infatti, la Consulta ritiene le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 18-bis, comma 1, lettera c), e comma 2, della L. 22 aprile 2005, n. 69 «fondate in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, in relazione all’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, nonché all’art. 27, terzo comma, Cost.». Il contributo della CGUE, con la Sentenza sulla causa C-700/21, è stato determinante nell’individuare il campo di applicazione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI poiché grazie all’interpretazione conforme al diritto dell’unione (in questo caso alla luce dell’art. 20 CDFUE) ne deriva che la tutela del cittadino di uno Stato terzo debba essere quantomeno equiparata a quella del cittadino di uno Stato membro (comportando una lesione del suddetto articolo un trattamento maggiormente favorevole).
Nonostante la dichiarazione di illegittimità costituzionale testé riportata va segnalato che il legislatore italiano è intervenuto, precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale, per sopperire a tale vulnus del principio di uguaglianza davanti alla legge modificando, con il D. Lgs. 13 giugno 2023, n. 69, il disposto dell’art. 18-bis, comma 1, lettera c)[11], e comma 2[12]: adesso il riformato art. 18-bis, comma 2, non limita più il suo campo di applicazione per il rifiuto della consegna alla «persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea» bensì al «cittadino italiano o [alla, n.d.r.] persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano».
[1] Un cittadino italiano affetto da gravi disturbi psichici la cui consegna era stata richiesta, attraverso lo strumento del M.A.E., dal Tribunale municipale di Zara (Croazia) per poterlo processare.
[2] Nell’ordinanza originariamente emanata dalla Corte d’Appello di Milano si fa riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 110 Cost., ma con successiva ordinanza di correzione di errore materiale la Corte ha chiarito che ad essere leso è l’art. 111 in luogo del 110 Cost.
[3] Un cittadino moldavo la cui consegna era stata richiesta, attraverso lo strumento del M.A.E., dal Tribunale di primo grado di Brașov (Romania) per poterlo processare.
[4] 15 e 16 ottobre 1999, a Tampere (Finlandia), il Consiglio europeo ha tenuto una riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea.
[5] L’art. 1, c. 2, della L. 69/2005 statuisce quanto segue: «Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, di seguito denominato “Stato membro di emissione”, in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di seguito denominato “Stato membro di esecuzione”, di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale».
[6] Ne fu un esempio la decisione del governo britannico di rifiutare, nel marzo 2000, l’estradizione dell’ormai Senatore Pinochet in Spagna per motivi avulsi alla Convenzione europea di estradizione del 1957.
[7] Non ci si può esimere dal segnalare che l’articolo in questione sia stato profondamente modificato dal D. Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10. Difatti, il vecchio disposto trasformava, all’art. 1, l’elencazione dei 32 reati contenuta all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI in vere e proprie fattispecie criminose che il giudice italiano era tenuto ad individuare nella condotta posta in essere dal soggetto per il quale il M.A.E. veniva emesso, ex art. 2 (oggi abrogato).
[8] Il quesito sottoposto alla CGUE dalla Corte Costituzionale è il seguente: «se l’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, letto alla luce degli artt. 3, 4 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFUE), debba essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria di esecuzione, ove ritenga che la consegna di una persona afflitta da gravi patologie di carattere cronico e potenzialmente irreversibili possa esporla al pericolo di subire un grave pregiudizio alla sua salute, debba richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che consentano di escludere la sussistenza di questo rischio, e sia tenuta a rifiutare la consegna allorché non ottenga assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole».
[9] Vd. Sentenza del 18 aprile 2023, E. D.L., C-699/21, EU:C:2023:295
[10] Vd. Sentenza del 6 giugno 2023, O. G., C-700/21, EU:C:2023:444
[11] Come introdotto dall’art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117
[12] Nella formulazione introdotta dall’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10
Sezione: Corte Costituzionale
(C. Cost., 28 luglio 2023, n. 177) e (Cost., 28 luglio 2023, sentenza n. 178)
Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo
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