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L´amministratore della società fallita che preleva dalle casse sociali il suo compenso in assenza di delibera assembleare commette bancarotta preferenziale (e non fraudolenta per distrazione) se la somma riscossa risulti dovuta e congrua rispetto all´attività svolta

Ernesto Di Tommaso

 

“2.5 A tal riguardo va qui richiamato e condiviso l’orientamento sostenuto – oltre che da autorevole dottrina, che richiama il dato della effettività del credito e della congruità delle somme percepite, perché sia integrata la bancarotta preferenziale – anche da Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964 – 01, che ha ritenuto che l’amministratore risponda di bancarotta preferenziale p. p. dall’art. 216 comma 3 L.F: e non di bancarotta fraudolenta per distrazione p.p.dall’art. 216 comma 1 L.F: allorché, pur senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro.

(Massima)

 

La Suprema Corte con la sentenza in oggetto ha affrontato il discrimen normativo tra il delitto di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione e il delitto di bancarotta preferenziale.

La prima fattispecie punisce colui il quale conferisce ai beni una destinazione giuridica diversa da quella imposta dalla norma giuridica ovvero sottrae alla disponibilità degli organi della liquidazione giudiziale i beni dell’imprenditore insolvente.

Trattasi, quindi di reato di pericolo a dolo generico che si perfeziona con la realizzazione di un atto distrattivo, nel caso di specie da parte di un soggetto diverso dall’imprenditore, pertanto definita bancarotta fraudolenta impropria.

Il delitto di bancarotta preferenziale, invece, si caratterizza per la realizzazione di pagamenti preferenziali ovvero mediante la simulazione di titoli di prelazione.

A differenza della bancarotta fraudolenta per distrazione, la bancarotta preferenziale è un reato a dolo specifico che consiste nel favorire, a danno dei creditori, taluno di essi.

Venendo all’eidos, è possibile evincere che vi è stata doppia conforme da parte della Corte di Appello di Firenze, che ha ritenuto l’abusivo prelevamento dalla casse sociali di una s.r.l. da parte dell’amministratore unico, in assenza di delibere assembleari o di previsioni statutarie autorizzative, condotta rilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione.

Due sono i motivi di gravame.

Il primo, in ragione del combinato disposto degli art. 51 e 59 c.p., l’amministratore unico avrebbe prelevato: “i compensi a lui spettanti in assenza di determinazioni societarie autorizzative – nell’atto costitutivo o a mezzo di delibere assembleari- in quanto essendo l’unico amministratore, oltre che titolare del 99% delle quote societarie, risultando per l’altro 1% attribuito alla compagna del ricorrente, si era ritenuto legittimato di fatto a operare i prelievi”.

Il secondo motivo di ricorso contesta la qualificazione giuridica di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in ragione del fatto che l’amministratore ha realizzato il prelievo per necessità economiche e  in ragione dell’effettivo espletamento della carica di amministratore, pertanto l’alveo normativo di riferimento sarebbe quello della bancarotta preferenziale.

 

Il primo motivo è stato prontamente censurato dalla Suprema Corte, richiamando il tenore letterale dell’art.2389 c.c. che sancisce: “qualora il compenso non sia stabilito nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare per determinarne la misura”, per tale ragione l’errore posto in essere dall’imputato non è un errore sul fatto, bensì un errore di diritto, che non esclude la sussistenza del dolo; la Suprema Corte chiarisce che : “l’autore del fatto illecito  abbia erroneamente inteso la normativa applicabile in ordine ad una situazione di fatto rispondente alla realtà, si tratta di un mero errore di diritto, che non vale ad escludere la punibilità perché concettualmente non può sotto alcun profilo essere configurato come errore di fatto. Esso si risolve in un errore sulla liceità del comportamento, dovuto ad una inesatta conoscenza degli obblighi giuridici derivanti dall’ordinamento.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha dato riscontro positivo alla tesi difensiva nei termini che seguono.

La Corte ha ritenuto che la condotta posta in essere dall’amministratore ricada nell’alveo normativo della bancarotta preferenziale, non già nella fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Richiamando l’orientamento dell’effettività del credito e della congruità delle somme percepite, la Corte ha osservato come il diritto dell’amministratore ad un equo compenso non possa venire meno per l’assenza di una delibera assembleare che ne determini preventivamente l’ammontare, perché il credito matura quando sia stata offerta la prestazione professionale, trattandosi di amministratore ritualmente nominato alla carica ricoperta.

 La mancanza di approvazione dell’ammontare del compenso da parte dell’organo assembleare rileva, però, come indice di irregolarità dell’operazione.

Quindi, la Cassazione, con la sentenza in esame, regola i confini applicativi delle due fattispecie normative, chiarendo che ricorre il delitto di bancarotta fraudolenta quando la somma prelevata dalle casse sociali da parte dell’amministratore non sia congrua rispetto al lavoro prestato; congruità che deve essere valutata e stabilita dal giudice e non dagli organi societari.

È la corrispondenza tra la somma appresa e l’attività effettivamente svolta per la società l’indice per il quale si esclude la sussistenza della condotta distrattiva richiesta dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta.

Non di meno, però, l’irregolarità del prelevamento, effettivamente spettante, costituisce condotta rilevante ai fini delle configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale, atteso che la condotta ha determinato una lesione del principio della par condicio creditorum. Infatti, il prelevamento abusivo, sebbene sia dovuto nell’ “an” ed effettivamente congruo, ha realizzato il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori, in ragione del fatto che la società era sottoposta a procedura fallimentare.

Pertanto la Corte, compiendo una lettura in termini di offensività e tutela dei beni giuridici costituzionalmente tutelati, ritiene che la condotta posta in essere dall’amministratore unico che effettui prelevamenti abusivi, in assenza di un precipuo provvedimento autorizzativo, realizzi la fattispecie di bancarotta preferenziale e non già quella di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione.

Argomento: Reati Fallimentari
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. V, 31 agosto 2023, n. 36416)

stralcio a cura di Annapia Biondi 

“(…) E' certamente noto a questa Corte che, come osserva la Procura generale, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, come ritenuto dalle sentenze di merito in doppia conforme, sia integrato dalla condotta dell'amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'"an", non è determinato anche nel "quantum" (Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Pellegrini, Rv. 273767 01, mass. conf. N. 11405 del 2015 Rv. 263056 - 01, N. 50836 del 2016 Rv. 268433 - 01).” “(…) 2.3 A ben vedere la previsione di cui all'art. 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, debba essere determinata con delibera assembleare.” “(…) 2.4 Non di meno, però, sempre il primo motivo rappresenta comunque che l'imputato, amministratore unico della società a responsabilità limitata titolare del 99% delle quote, residuando come evidenziato solo la titolarità dell'1% in capo alla compagna del predetto, avrebbe ben potuto deliberare senza alcuna difficoltà il proprio compenso.” “(…) Questa Corte rileva come l'orientamento al quale si sono rifatti i Collegi di merito risulti certamente solido: ma tale orientamento va calato nella concretezza della vita societaria e non può non confrontarsi con altro orientamento, che questa Corte ritiene di richiamare e condividere nel caso in esame, che sollecita una verifica su quale sia la causale del prelievo. Difatti, il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l'amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell'"an" e essere congruo, se non addirittura necessitato da esigenze di sopravvivenza, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, per così dire di necessità, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio [continua ..]

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