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Se l´autoriciclaggio coincide con la sola condotta distrattiva della bancarotta fraudolenta sarà punibile solo il reato fallimentare presupposto
Rocco Neri
La vicenda riguarda la detrazione di fondi di una società inizialmente in fase di liquidazione che in seguito viene dichiarata fallita.
Il GIP di Roma emette ordinanza di rigetto del sequestro per equivalente, (a seguito della relativa richiesta dal PM), di somme costituenti il profitto per l’autoriciclaggio. Il PM ricorre al Tribunale del Riesame che conferma l’ordinanza del GIP. Il Procuratore di Roma ricorre successivamente in Corte di Cassazione denunciando la violazione di legge in relazione all’individuazione del profitto di reato di autoriciclaggio identificabile dalle somme ripulite attraverso investimenti effettuati nelle società diverse da quella fallita[1]. Secondo il ricorso del Procuratore il profitto di reato di autoriciclaggio andrebbe individuato nel denaro ripulito attraverso le condotte tipiche previste dalla norma e dalle utilità derivatene[2]. La Corte di Cassazione annulla con rinvio al Tribunale del Riesame perché nel caso di specie il capo di imputazione relativo al delitto di autoriciclaggio fa riferimento non solo allo svuotamento delle casse sociali della società fallita, ma anche al compimento di azioni successive e diverse.
Dalla lettura delle motivazioni della sentenza del Supremo Consesso sono rilevanti le seguenti questioni:
1) il rapporto tra bancarotta distrattiva e l’art. 648-ter co.1 c.p. secondo cui il reato di autoriciclaggio è autonomo e successivo rispetto alla realizzazione del delitto presupposto, sicché solo la consumazione di quest’ultimo (condotta distrattiva di bancarotta), non integra di per sé anche l’illecito di cui all’art 648-ter co.1 c.p. che richiede il perfezionamento di condotte successive all’atto di trasferimento[3]. Nella motivazione infatti la Corte specifica che “la capacità dissimulatoria debba essere individuata in condotte non ricollegabili al puro e semplice trasferimento di somme ed altresì come il fatto di autoriciclaggio abbia natura autonoma e successiva rispetto alla consumazione del delitto presupposto così che le due fattispecie non possano essere ravvisate a fronte di un'unica contestuale azione. (...)”
2) il reato presupposto dell’autoriciclaggio implica oltre alla preventiva realizzazione del reato, anche la condotta di chi avendo commesso o concorso a commettere il reato, poi impieghi, sostituisca o trasferisca denaro, beni o altre utilità che sono stati ricavati in attività economiche, finanziarie e speculative e che siano in grado di ostacolare concretamente l’individuazione dell’origine criminosa degli stessi. Ne consegue che il profitto di reato comprende anche altre utilità suscettibili di essere riciclate tra cui il risparmio di spesa che l’agente attiene evitando il pagamento delle imposte dovute[4]. Da queste considerazioni emerge che i reati fallimentari costituiscono presupposto di condotte di riciclaggio e autoriciclaggio nel quale si genera il reimpiego di utilità reimpiegabili[5]. Infatti: “(...) secondo l'orientamento di questa Corte di cassazione in tema di autoriciclaggio, è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profittoillecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento. (...)”. Ebbene il reato presupposto deve precedere il momento consumativo dell’autoriciclaggio e anche che l’oggetto materiale sia un qualsiasi cespite mobiliare o immobiliare di consistenza economica-patrimoniale[6].
La dichiarazione di insolvenza è mera condizione di punibilità sicché il fatto che essa intervenga alle successive condotte di cui all’art 648-ter co.1 c.p. non incide sulla consumazione del reato[7]. Secondo le motivazioni del Supremo Consesso: ” La sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell'autoriciclaggio e quindi l'atto distrattivo non può integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio". Deve pertanto essere escluso che possano configurarsi ipotesi di concorso formale tra autoriciclaggio e reato presupposto e ciò perché al proposito la dizione normativa è assolutamente chiara nel voler impedire categoricamente la violazione del principio del divieto di ne bis in idem sostanziale (...)” ma sottolinea che “(...) ove l'agente, con la distrazione di somme, abbia aggredito e leso solo la par condicio creditorum la condotta sarà punibile soltanto in forza delle norme dettate dalla legge fallimentare, ove invece alla condotta distrattiva sia seguita una successiva ed autonoma attività di reimpiego dei capitali in altre società comunque operanti nel settore economico e commerciale, l'aggressione e lesione del bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 648ter1 c.p. costituito dall'ordine economico, determinerà il concorso punibile tra bancarotta per distrazione ed autoriciclaggio.” Tali motivazioni possano dar luogo ad un contrasto giurisprudenziale sancito da Cass. pen. Sez II sent. n. 23052/15 secondo cui: “(...) la bancarotta pre-fallimentare si consuma proprio nel momento in cui interviene la pronuncia con cui si apre la procedura concorsuale” (coincidente con il momento consumativo del reato). Tale contrasto però non inficia sull’esclusione della configurazione delle condotte rilevanti di cui all’art. 648-ter c.1 c.p. qualora il fatto storico di per sé sia rilevante. Infatti la Corte nella sentenza in commento chiarifica come segue: “(...)
Il carattere distintivo del concorso tra bancarotta ed autoriciclaggio va pertanto risolto anche alla luce dell'analisi dei beni giuridici tutelati e dell'effetto della condotta posta in essere sugli stessi. E ciò perché, evidentemente, la condotta distrattiva non si è limitata alla sottrazione delle somme dalla società fallita, allo svuotamento del suo patrimonio costituente la garanzia dei creditori, bensì ha determinato, successivamente ed autonomamente, l'operatività di attività economiche societarie. attraverso il reimpiego dei profitti illeciti e quindi proprio quell'inquinamento delle attività legali che l'autoriciclaggio mira a colpire (...). Sulla base di tali postulati deve procedersi alla soluzione del caso in esame affermando che ove l'autoriciclaggio sia stato contestato in relazione alla sola condotta di distrazione delle somme dalla (Omissis) ad altre società vi è effettiva coincidenza delle due condotte con violazione del principio di doppia incriminazione; e cioè la omessa identificazione di condotte dissimulatorie successive la distrazione fornirebbe sostegno alla tesi sostenuta dai giudici di merito circa l'impossibilità di configurare l'ipotesi di cui all' art. 648 ter co. 1 c.p. Ove però tale coincidenza non sussista poiché oggetto della contestazione ex art. 648 ter co. 1 c.p. non è la sola attività distrattiva di somme dalla società fallita bensì, anche, le attività successivamente poste in essere con il denaro distratto dalle società beneficiarie dei pagamenti per cassa, il presupposto della coincidenza delle condotte affermato dai giudici di merito non appare sussistere sussistendo proprio un'ipotesi punibile di autoriciclaggio.”;
3) la sussistenza tra il reato di autoriciclaggio e il sequestro di somme si sintetizza nell’ampiezza da riconoscere all’idoneità del fatto tipico a occultare concretamente l’origine delittuosa delle utilità impiegate, sostituite o trasferite. Con l’avverbio concretamente si rende possibile l’efficace linea di demarcazione del comportamento prevalentemente rilevante, espungendo le condotte prive di capacità di intralcio[8]. Secondo la sentenza in commento il trasferimento di somme di denaro, beni, o altra utilità al quale consegua un mutamento soggettivo della titolarità, è idoneo a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, anche in presenza di operazioni perfettamente tracciabili. Dunque secondo il Supremo Consesso la reimmissione nel circuito legale dei beni di provenienza delittuosa (ostacolando la tracciabilità) è la ratio dell’incriminazione del reato presupposto. Tale orientamento però desta perplessità perché la Corte sembra affermare che ogni qualvolta vi sia un passaggio di titolarità di un bene sarebbe integrata una presunzione iuris et de iure di idoneità ad occultare la provenienza criminosa del bene. In tal caso risulta preferibile l’orientamento secondo cui il prodotto, il profitto o il prezzo dell’autoriciclaggio non coincide con denaro beni o altre utilità provenienti dal reato presupposto, ma va limitato ai proventi conseguiti dall’impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative[9].
[1] cfr Cass. pen Sez.2 sent. n. 29853/16; sulla tematica più in generale del profitto da reato, cfr M. Bianchi Sei distinzioni sul profitto nel furto in Sistema Penale, 28.2.2023;
[2] cfr Cass. pen. Sez II sent. n. 7503/21; Cass. pen. Sez fer. sent. n. 37120/19; Cass. pen. Sez. II sent. n. 34218/20;
[3] cfr Cass. pen. Sez 2 sent. n. 16059/2019;
[4] cfr Cass. pen. Sez.1 sent. n. 52179/14 ; Cass. pen. Sez. 2 sent. n. 1061/12;
[5] cfr Cass. pen. Sez. 2 sent. n.331/20 e Cass. pen. Sez. 2 sent. n. 23052/15;
[6] cfr R. Bricchetti, Riciclaggio e autoriciclaggio, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2014, 2;
[7] cfr Cass. pen. Sez. V sent. n. 22143/22; cfr M. Bianchi Oltre la perfezione: saggio sulla consumazione finale del reato, Dike Giuridica, Roma, 2023;
[8] cfr Cass. Sez. II sent. n. 10364/20;
[9] cfr Cass. pen. Sez V, sent. n. 38919/15
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. II, 30 marzo 2023, n. 13352)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
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