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Legittima la valutazione dei requisiti dell'aggiudicatario operata dal dirigente comunale in sostituzione del RUP

Paolo Felix Iurich.

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato ha affrontato la questione se, nell’ambito della normativa degli enti locali, il Dirigente comunale possa svolgere attività istruttoria e sottoscrivere atti in sostituzione del Responsabile Unico del Procedimento (c.d. RUP). 

Nel caso sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato era stato dedotta, tra gli altri motivi, l’incompetenza del Dirigente comunale per aver questi esercitato poteri spettabili al RUP procedendo, in particolare, alla verifica istruttoria sul possesso dei requisiti e alla sottoscrizione della relazione finale istruttoria.

Secondo la tesi paventata dall’appellante, il RUP risulterebbe titolare di una competenza esclusiva, soprattutto con riguardo all’istruttoria procedimentale, ricostruzione sostenuta anche da una parte della giurisprudenza di merito, secondo cui il RUP rappresenterebbe “il dominus della procedura di gara” (cfr. TAR Lecce 1373/2021).

In primo luogo, prima di analizzare la sentenza in commento, vale la pena osservare come l’incarico di RUP possa essere ricoperto non solo da soggetti con qualifica dirigenziale, ma anche da funzionari sprovvisti di tale qualifica.

Ed invero, va rilevato come spesso accada che negli enti locali di ridotte dimensioni manchino figure dirigenziali, situazione, d’altronde, prospettata dall’art. 109 comma 2 TUEL, il quale prevede che, in assenza di dirigenti, le funzioni dirigenziali siano conferite ai responsabili di servizi privi di tale qualifica.

Peraltro, secondo le Linee Guida ANAC n. 3/2017, attuative del Codice dei contratti pubblici, il RUP può essere nominato anche tra i dipendenti inquadrati con funzioni direttive.   

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha precisato che l’art. 31 del Codice dei contratti pubblici, recante la disciplina del RUP, vada applicato tenendo conto delle peculiarità dell’ordinamento degli enti locali e dei principi enucleati dalla L. 241/1990: innanzitutto, la norma de qua deve essere coordinata con il disposto di cui all’art. 107 TUEL, disposizione che, come noto, delimita le competenze della dirigenza comunale, attribuendo alla stessa tutte le funzioni di gestione amministrativa, lasciando invece agli organi politici una funzione di indirizzo politico-amministrativa e di controllo.

L’art. 107 rappresenta la norma attributiva delle competenze dei dirigenti, riconoscendo a questi l’emanazione degli atti che “impegnano l’amministrazione verso l’esterno”, nonché, tra gli altri, “la responsabilità delle procedure di appalto e di concorso” e “la stipulazione dei contratti”.

Dunque, premesso brevemente il complessivo quadro delle competenze dirigenziali nella normativa degli enti locali, emerge, invero, come la competenza nell’adozione degli atti con efficacia esterna spetti alla dirigenza: ne consegue che il RUP privo di detta qualifica non potrebbe emanare provvedimenti conclusivi del procedimento, attesa la rilevanza esterna di simili atti.

Del resto, l’art. 5 della L. 241/1990 prevede come la responsabilità del procedimento (istruttoria ed eventualmente decisoria) possa essere assegnata dal dirigente dell’unità organizzativa preposta a sé medesimo, ovvero ad altro dipendente della propria unità, fermo restando il disposto di cui all’art. 6 comma 1 lett. a) L. 241/1990, secondo cui il responsabile del procedimento adotta il provvedimento finale “ove ne abbia la competenza”.

Ed infatti, nel caso in esame, è stato affermato come il citato art. 31 del Codice vada interpretato in conformità al principio per il quale “gli atti che impegnano l’amministrazione all’esterno debbono essere adottati da organi dotati di qualifica dirigenziale” secondo quanto previsto dall’art. 107 TUEL, principio che si ricaverebbe “anche dall’art. 6 comma 1, lett. e)” della L. 241/1990, norma a carattere generale, applicabile anche alla materia dei contratti pubblici, peraltro, espressamente richiamata dallo stesso art. 31 (comma 3).

Dunque, il Consiglio di Stato ha così negato che al RUP sia riconosciuta una competenza esclusiva di definizione dell’istruttoria procedimentale, sottolineando l’insussistenza di una “rigida distinzione, all’interno del procedimento amministrativo, tra la competenza per la fase istruttoria e quella per l’adozione del provvedimento finale”, come accaduto nel caso vagliato dal giudice di appello, nel quale il RUP della procedura era sprovvisto di qualifica dirigenziale.

D’altronde, tra il responsabile e il dirigente non sussiste un vero e proprio rapporto di competenza, atteso che la definizione del procedimento è comunque attribuita al dirigente, al quale spetta l’adozione del provvedimento finale, potendo questi conferire la responsabilità istruttoria a un funzionario, nei confronti del quale mantiene comunque dei poteri di controllo. 

Qualora i predetti poteri fossero esercitati in assenza dei presupposti previsti dalla legge, l’atto del dirigente sarebbe posto in difformità rispetto agli artt. 5 e 6 L. 241/1990 e, quindi, il vizio che inficerebbe l’atto andrebbe qualificato non quale incompetenza bensì come violazione di legge.

Inoltre, nella pronuncia in commento il Consiglio di Stato ha ricordato come la “generale responsabilità del dirigente per la gestione delle procedure di appalto di cui al citato art. 107 T.u.e.l., con il corollario della responsabilità dirigenziale per i ritardi o inadempimenti” escluda “l’esistenza di una preclusione all’adozione di atti dell’istruttoria”.

Insomma, costituirebbe una contraddizione logico-giuridica l’assunto secondo cui il dirigente preposto all’unità organizzativa non possa esercitare poteri rispetto al funzionario incaricato del procedimento, considerato, peraltro, che nei confronti del primo grava anche una complessiva responsabilità di risultato di cui all’art. 21 D.lgs. 165/2001 per mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha precisato che i poteri spettanti al dirigente non possono spingersi fino ad ammettere il “totale esautoramento del RUP”, situazione che implicherebbe “la necessità di disporre la sostituzione del funzionario responsabile”.

Orbene, da quest’ultimo inciso, il Consiglio di Stato ha implicitamente ammesso la possibilità che il RUP stesso possa essere sostituito e, ovviamente, il titolare del potere sostitutivo è rappresentato dal dirigente dell’unità organizzativa ovvero, nel caso in cui il responsabile sia il dirigente medesimo, dal soggetto individuato dall’organo di governo a norma dell’art. 2 comma 9 bis L. 241/1990. Occorre, invece, indagare in che modo la sostituzione possa avvenire.

Innanzitutto, appare utile accennare brevemente al rapporto che si instaura tra il dirigente e il responsabile del procedimento subordinato al primo. Al riguardo, come già affermato in precedenza, si evince come tra i due soggetti vi sia un rapporto latamente gerarchico, visto che lo stesso dirigente può attribuire la responsabilità del procedimento ad altro funzionario.

È evidente come in quest’ultima fattispecie, nella quale il ruolo di RUP è ricoperto da un funzionario sottordinato al dirigente dell’unità organizzativa, non venga reciso il legame che intercorre tra i due soggetti.

Ed invero, occorre rilevare come tale rapporto sia qualificabile in termini di direzione e coordinamento, nel quale il soggetto sovraordinato non interferisce direttamente nei confronti del subordinato, attraverso il c.d. potere di ordine, ma, anzi, a quest’ultimo sono riconosciuti ampi spazi di autonomia.

L’operato del funzionario, tuttavia, risulta vincolato alle direttive impartite dal dirigente, alle quali deve conformarsi; in tale ottica, diversamente da quanto accade nei rapporti gerarchici “puri”, l’organo superiore non gode di un diretto potere di avocazione e di sostituzione, potendo questi attivarsi solamente al ricorrere di determinati presupposti normativamente previsti.

Nonostante ciò, vale la pena precisare che nel rapporto di direzione e coordinamento, pur in assenza di poteri repressivi diretti, si configura un potere di direttiva che vincola a conformarsi al generale indirizzo delineato dall’organo superiore, tant’è che tale rapporto è riconducibile ad un tipo di gerarchia “in senso lato”.

In breve, l’esistenza di un siffatto rapporto presuppone che al soggetto sovraordinato siano riconosciuti dei poteri di controllo, di avocazione e finanche di sostituzione in caso di inerzia riguardo il subordinato incardinato presso l’unità organizzativa, come sancito dall’art. 16 D.lgs. 165/2001, secondo cui, nei confronti dei responsabili dei procedimenti, ai dirigenti sono attribuiti “poteri sostitutivi in caso di inerzia”.

Dunque, ritornando alla fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato, il dirigente può senz’altro esercitare poteri sostitutivi, ovviamente al ricorrere dell’inerzia del RUP.

La stessa pronuncia, del resto, ricorda come la Legge sul procedimento amministrativo configuri il potere sostitutivo del dirigente, a norma dell’art. 2 comma 9 bis, quale una vera e propria guarentigia volta a “sopperire a eventuali ritardi o inadempimenti del responsabile del procedimento”, diretta anche al “fine di consentire al dirigente di sottrarsi alle responsabilità che altrimenti graverebbero su di lui”.

 

Argomento: istruttoria
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. V, 10 maggio 2022, n. 3638)

Stralcio a cura di Aniello Iervolino

 

Con il primo motivo […] l’appellante critica la sentenza per non aver accolto il dedotto vizio di incompetenza del dirigente del settore contratti, il quale ha effettuato le verifiche istruttorie sul possesso dei requisiti dichiarati dal RTP aggiudicatario e ha sottoscritto la relazione finale istruttoria in luogo del RUP nominato dalla stazione appaltante, in violazione dell’art. 31 del codice dei contratti pubblici e delle linee guida Anac che definiscono ruolo e funzioni del responsabile unico del procedimento. […] - nell’ordinamento degli enti locali - l’art. 31 del codice dei contratti pubblici, che disciplina ruolo e funzioni del r.u.p. nei procedimenti di affidamento di contratti pubblici, deve essere necessariamente coordinato, per un verso, con l’art. 107, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 (T.u.e.l.), che riserva ai dirigenti la responsabilità delle procedure d’appalto, come emerge dallo stesso testo dell’art. 31, comma 3, il quale assegna al r.u.p. «tutti i compiti relativi alle procedure di […] affidamento […] che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi e soggetti»; per altro verso, con il principio secondo cui gli atti che impegnano l’amministrazione all’esterno debbono essere adottati da organi dotati di qualifica dirigenziale (come, del resto, si ricava anche dall’art. 6, comma 1, lett. e), della legge n. 241 del 1990: il responsabile del procedimento «adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale […]»). Nel caso di specie è incontestato che il r.u.p. fosse privo di qualifica dirigenziale, per cui appare del tutto corretto che il dirigente del settore contratti pubblici abbia adottato il provvedimento di aggiudicazione definitiva. Ciò posto, lo specifico profilo sollevato con il motivo esame attiene alla configurazione dei rapporti tra responsabile del procedimento e dirigente dell’unità organizzativa, muovendo dal presupposto che una volta nominato il responsabile unico della procedura di affidamento questi goda di una «competenza esclusiva» (in particolare in ordine all’istruttoria procedimentale, per quel che rileva nel caso di specie), in conseguenza della quale il dirigente non potrebbe svolgere direttamente l’istruttoria procedimentale o singoli atti istruttori. 7.3. In questi termini, tuttavia, la tesi non può essere [continua ..]

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