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Irregolarità sanabile di un ricorso privo di firma digitale e decorrenza dei termini per il deposito

Nota di Alessandra Coppola.

 

Con ordinanza del 25 ottobre 2021, n. 7138, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza Plenaria “la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere”, alla luce di “un contrasto di giurisprudenza nell’interpretazione e nell’applicazione del suddetto principio limitatamente, […] alla questione della necessità (o meno) che la “duplicazione dei gravami (mediante rinnovazione o ripetizione della notifica) sia motivata in senso assoluto dall’esigenza di riparare a vizi di nullità dell’atto che inevitabilmente conducono alla declaratoria di irricevibilità o improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio trova applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione rimedia ad inerzie processuali della parte ovvero si fonda su strategie difensive della parte medesima, anche non palesate da tutti”. 

La controversia traeva origine dal ricorso proposto al TAR, col quale veniva impugnata l’ordinanza emessa, ex art. 823 c.c., dall’Agenzia del demanio per il rilascio, in via amministrativa, di un immobile demaniale di proprietà della medesima Agenzia. L’impugnativa veniva estesa anche al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze con cui il bene era stato attribuito all’Agenzia del Demanio. 

Valutate positivamente le censure del ricorrente, il giudice di prime cure accoglieva il ricorso. 

Avverso tale decisione interponevano appello le due amministrazioni resistenti, nonché, in via incidentale, il privato che eccepiva, preliminarmente, l’improcedibilità dell’appello, essendo stato il ricorso depositato nella Segreteria del Consiglio di Stato oltre il termine di decadenza ex art. 94 c.p.a. A tal riguardo, il privato deduceva che nessun rilievo poteva attribuirsi alla circostanza che il medesimo atto di appello, inizialmente notificato senza l’apposizione della firma digitale, fosse stato successivamente regolarizzato dalla parte appellante mediante una rituale sottoscrizione e quindi rinotificato all’appellato prima della scadenza del termine per proporre appello, in quanto il rinnovo della notifica, sia pure alla stessa parte, non avrebbe comunque consentito di eludere l’onere di rispetto del termine di trenta giorni per il deposito decorrente dalla prima notificazione. 

La Sezione remittente, nel deferire la questione al Consiglio di Stato nella sua più autorevole composizione, rilevava l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale nell’interpretazione e nell’applicazione del principio della consumazione del potere di impugnazione. 

A tal proposito, precisava che il principio de quo non è codificato espressamente nel sistema processuale civile e neppure in quello amministrativo; sicché il suo ambito di applicazione effettivo è rimesso all’esegesi dell’interprete alla stregua di quanto previsto dagli artt. 358 e 387 c.p.c. che dispongono, in particolare, che il ricorso o l’appello dichiarati inammissibili o improcedibili non possono essere riproposti, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge.  

Sul punto, si sono registrati diversi orientamenti. 

Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità, affinché possa parlarsi di consumazione del potere di impugnazione sarebbe necessario che la seconda impugnazione sia della stessa specie della prima (Cass. Civ., 17 maggio 2013, n. 121135). 

Una diversa impostazione sostiene che la seconda impugnazione possa invece basarsi anche su motivi diversi dalla prima (Cass. Civ., 12 luglio 2006, n. 15873). 

Ancora, altro orientamento afferma che la riproponibilità della seconda impugnazione debba essere limitata ai soli casi in cui la medesima verta sugli stessi motivi della prima, con esclusione della possibilità di dedurre nuovi motivi (Cass. Civ. 18 marzo 2005, n. 5953). 

Secondo una diversa impostazione l’ammissibilità della seconda impugnazione è subordinata all’esistenza di un vizio formale o sostanziale della prima, idoneo a decretarne la irricevibilità ovvero la improcedibilità, che dunque potrebbe essere emendato (Cass. Civ., 7 novembre 2013, n. 25047). 

Da ultimo, diverso orientamento ha affermato il principio secondo cui, malgrado la sentenza non sia stata oggetto di notificazione, la possibilità di riproporre l’impugnazione è ancorata al termine breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, idonea a determinare la conoscenza legale del provvedimento medesimo. 

Tenuto conto del contrasto ermeneutico pocanzi illustrato, l’Adunanza Plenaria precisa anzitutto che in tanto può parlarsi di “consumazione” del potere di impugnazione, in quanto alla proposizione del (primo) gravame la medesima parte processuale ne abbia fatti seguire altri in tutto o in parte dissimili da questo. Diversamente, si potrebbe al più parlare di rinnovazione degli incombenti processuali relativi al medesimo atto, idonei non certo a modificare l’oggetto del giudizio ma a sanare eventuali vizi di carattere formale/processuale degli stessi. 

Soggiunge poi che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Civ., Sez. III, 16 novembre 2005, n. 23220) “deve ritenersi che fino a quando non sia intervenuta una declaratoria di improcedibilità o di inammissibilità del gravame, può sempre essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti”. 

Al riguardo, anche la giurisprudenza amministrativa (si veda Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5523) ha a più riprese rilevato che “costituisce principio giurisprudenziale pacifico che ai sensi dell’art. 358 c.p.c. (disposizione applicabile anche al processo amministrativo) la consumazione del potere di impugnazione presuppone necessariamente l’intervenuta declaratoria di inammissibilità del primo gravame, essendo l’impugnazione riproponibile nel rispetto dei termini in mancanza di detta declaratoria; ne deriva che il mancato rispetto del termine di deposito del ricorso comporta la irritualità dell’appello, ma non ne impedisce la reiterazione nel rispetto del termine di legge nelle more della declaratoria di irritualità. […]”. Di conseguenza, se “il secondo appello è stato pacificamente proposto e depositato nei termini di legge, e per altro verso il primo atto di impugnazione – ancorché notificato- non è mai stato depositato […] giammai avrebbe potuto esserne dichiarata l’inammissibilità” applicandosi, pertanto a fortiori i principi appena richiamati. 

Il Supremo Consesso di Giustizia amministrativa nella sentenza in commento ribadisce, poi, l’orientamento che qualifica il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un’ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, co. 2 c.p.a.  

Di talché, sebbene la regolarizzazione dovrebbe essere ordinata dal giudice ed eseguita, poi, dalla parte nel termine assegnato, alla stregua dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa e di ragionevole durata del processo, non può non essere attribuita una certa valenza alla ripetizione spontaneamente eseguita. 

Del resto, quanto all’interpretazione dell’art. 94, co. 1 c.p.c., l’Adunanza precisa che non sarebbe condivisibile la tesi per cui, “nel caso di plurime notifiche dell’atto volte ad emendare i vizi dello stesso, della sua notificazione o del suo deposito, il dies a quo per il deposito dell’atto di appello decorrerebbe comunque dalla prima notifica, dovendosi intendere la formula degli artt. 94, comma primo e 45 Cod. proc. amm. (a mente dei quali, rispettivamente, “il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito a pena di decadenza, entro trenta giorni dall’ultima notificazione ai sensi dell’art. 45 […]” e “Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario”) come idonea a legittimare ulteriori notificazioni del medesimo atto, purché sia ancora pendente il termine per impugnare”. In tale ipotesi, in ordine alla “ultima notificazione dell’atto che si è perfezionata anche per il destinatario” il termine per il deposito andrà fatto decorrere dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato. 

In risposta ai quesiti interpretativi avanzati dalla Sezione remittente, ricomponendo il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza ha sancito i seguenti principi di diritto: 

“1) vi è mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, co. 2, Cod. proc. amm., nel caso di un ricorso notificato privo di firma digitale; 

2) in tal caso il ricorrente ben può, in applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 Cod. proc. amm.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2 Cod. proc. amm.), provvedere direttamente a rinotificare l’atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica; 

3) in ordine infine al termine per il deposito del ricorso, di cui al combinato disposto degli artt. 94, comma primo e 45 Cod. proc. amm., lo stesso andrà fatto decorrere dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato”. 

Argomento: processo
Sezione: Adunanza Plenaria

(Cons. St., Ad. Pl., 21 aprile 2022, n. 6)

Stralcio a cura di Aniello Iervolino

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"Viene in particolare deferita all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato “la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere”, alla luce di “un contrasto di giurisprudenza nell’interpretazione e nell’applicazione del suddetto principio limitatamente, […] alla questione della necessità (o meno) che la ‘duplicazione’ dei gravami (mediante rinnovazione o ripetizione della notifica) sia motivata in senso assoluto dall’esigenza di riparare a vizi di nullità dell’atto che inevitabilmente conducono alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio trova applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione rimedia ad inerzie processuali della parte ovvero si fonda su strategie difensive della parte medesima, anche non palesate in atti”. All’uopo, è doveroso premettere cosa si intenda per “consumazione del potere di impugnazione”, stante l’esiguità delle fonti normative in materia. Ai sensi dell’art. 358 Cod. proc. civ., in particolare, “L'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge”: detta consumazione, dunque, ai sensi del chiaro tenore della legge consegue solamente alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'appello e presuppone che l'impugnazione sia stata rivolta contro un provvedimento idoneo a costituire giudicato in senso formale. In termini più ampi, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2021, n. 4266 rileva che ove l’atto invalido sia oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione – come nel caso di specie – è consentito alla parte di proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, seppur a due condizioni: la prima è che i termini per l’appello non siano già decorsi e la seconda è che non sia stata già emessa una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o dell’improcedibilità della prima impugnazione proposta. Il principio in esame trova un presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni (ex multis, Cons. Stato, IV, n. 4266 del 2021, cit) ed è affermato [continua ..]

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