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Vincolo indiretto e tutela della “cornice ambientale

Riccardo D'Ercole.

 Nella sentenza in commento, i giudici di Palazzo Spada prendono posizione in relazione alla tematica connessa all’apposizione di prescrizioni e vincoli necessari a garantire l’integrità dei beni culturali immobili di cui all’art. 45 d.lgs. n. 42/2004 – c.d. Codice dei beni culturali.  

La norma suindicata attribuisce all'amministrazione la funzione di creare le condizioni affinché il valore culturale insito nel bene possa compiutamente esprimersi, senza alcuna delimitazione spaziale e oggettiva che non quella attinente alla sua causa tipica, che è di "prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro", secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. (così Cons. Stato, n. 2839/2018). 

La norma ha da sempre posto una serie di questioni problematiche: in particolare, sono apparse complesse la definizione dei contenuti e la perimetrazione dei confini di tali prescrizioni di tutela indiretta. Nello specifico, la difficoltà di ottenere una delimitazione più o meno certa – o quantomeno prevedibile – dell’ambito di operatività della norma sopra ricordata, è rappresentata dall’ampiezza e dalla varietà del contenuto delle prescrizioni fondate, a loro volta, su concetti giuridicamente non “misurabili” (si pensi al decoro, all’esigenze di luce, prospettiva, ecc..) e pertanto sono inevitabilmente rimessi ad una valutazione discrezionale e comparativa del sacrificio imposto al privato rispetto all’interesse pubblico perseguito da parte dell’amministrazione procedente. 

Come è stato efficacemente ricordato in dottrina (T. ALIBRANDI – P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali, Giuffrè, 2001, 397) è connaturale alle cose immobili l’avere una propria collocazione spaziale che contribuisce a conferire loro un particolare significato; esse non possono essere considerate come avulse dalla realtà che le circonda giacché questa influisce sul loro aspetto esteriore e sulla capacità di conservare un valore artistico o storico e che anzi contribuisce spesso ad esaltare tale valore. I beni immobili, pertanto, hanno una loro radice storica e culturale nel luogo in cui, nelle epoche passate, furono progettati e costruiti; il loro insediamento aveva una ragione funzionale e non solo ornamentale. 

Difatti, la giurisprudenza ha riconosciuto che gli effetti giuridici dei provvedimenti e delle prescrizioni individuate dall’art. 45 Codice dei beni culturali, pur riferendosi formalmente a beni diversi da quelli che investono quelli di pregio artistico e storico, sono funzionalmente connessi al vincolo che grava su questi ultimi e ne costituiscono beni strumentali (così, da ultimo, Cons. Stato, n. 54/2022).   

Da qui la necessità che la salvaguardia di tali beni vada ben oltre la loro dimensione strettamente fisica per allargarsi fino a comprendere un’area più vasta in cui si tenga conto dei profili prospettici, architettonici e anche sociali con il territorio in cui sono stati collocati o che attorno ad essi si è sviluppato nel corso del tempo. 

Per tale ragione, l’integrità del valore del bene culturale potrebbe dipendere anche dai luoghi nel quale esso si inserisce, tanto da richiedere che pure questi ultimi siano sottoposti a tutela. 

A questi temi ha fatto riferimento proprio la sentenza in commento che ha ad oggetto i vincoli di tutela indiretta relativi a una importante opera monumentale veneta: il Castello del Catajo. La struttura, come bene monumentale, è in sé oggetto di tutela diretta e a completamento di tale vincolo, le competenti autorità amministrative hanno avviato un procedimento ai sensi dell’art. 45 del Codice del Beni Culturali, concluso con un provvedimento con cui è stato apposto un vincolo indiretto anche su una vasta area circostante l’edificio.  

È pacifico che il vincolo indiretto comprenda anche la c.d. cornice ambientale del bene culturale intesa come l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale. È su tale cornice che si attesta l’ambito applicativo del vincolo stesso: ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l'esercizio di tale funzione deve essere ricercato nell'equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l'integrità del bene culturale e, dall'altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica (Cons. Stato, n. 3669/2015). 

Così ricostruito, il concetto di vincolo indiretto potrebbe apparire improprio e sproporzionato, tanto in ragione della sua ampiezza quanto dell’effettiva insussistenza dell’integrità del bene.  

È così che entra in gioco il tema della discrezionalità amministrativa, che funge da filtro selettivo e comparativo del sacrificio imposto al privato rispetto all’interesse pubblico perseguito. In particolare, la giurisprudenza valorizza i canoni della congruenza, della proporzionalità e della ragionevolezza della decisione che è frutto dell’esercizio di un potere discrezionale atteso che l’apposizione del vincolo indiretto è preceduta da una valutazione dell’amministrazione competente avente natura eminentemente tecnica (così Cons. Stato, n. 1332/2009; da ultimo TAR Venezia, n. 581/2022). 

In definitiva, quando l’amministrazione esercita il potere di apposizione dei vincoli indiretti richiamati dall’art. 45 Codice dei beni culturali, sta esercitando discrezionalità tecnica, ovvero sta facendo ricorso a quel tipo di valutazione che viene posta in essere quando l’esame di fatti o situazioni deve essere effettuato mediante ricorso a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico (sul punto si veda, per tutti, Cons. Stato n. 601/1999). 

Pertanto, l’esercizio di tal potere sarà legittimo se, nel ricostruire il modus operandi dell’amministrazione, il giudice rintracci ragionevolezza, logicità e proporzionalità nella scelta fatta dall’autorità procedente (TAR Brescia n. 89/2022), senza chiaramente poter sostituire un sistema valutativo differente da lui stesso individuato poiché altrimenti scenderebbe nel c.d. merito amministrativo, da sempre ritenuto insindacabile e diverso rispetto alla c.d. opinabilità del risultato. 

Ciò significa che per fare in modo che la scelta sia razionale, l’amministrazione deve agire in conformità a criteri di logicità in modo che la sua azione sia coerente con le ragioni fattuali e istruttorie emerse nel corso del procedimento. 

Allo stesso modo l’azione potrà dirsi proporzionata se la scelta e l’esercizio del potere discrezionale confluito nel provvedimento amministrativo sia idoneo – quindi adeguato all’interesse pubblico da perseguire – e necessario – nel senso che nessun altro strumento sarebbe adatto a comportare il minor sacrifico per il privato.  

A queste condizioni, attraverso, quindi, la valorizzazione dei principi di logicità, razionalità e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità tecnica in ordine al valore culturale del bene da sottoporre a tutela, l’apposizione di un vincolo indiretto può essere ritenuto legittimo e giustificato, benché gli stessi concetti di vincoli indiretti e cornici ambientali siano, per loro stessa natura, metagiuridici. È, piuttosto, il corretto esercizio del potere discrezionale che permette di controbilanciare questo deficit nominativo. 

Argomento: beni culturali
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923)

Stralcio a cura di Davide Gambetta

"In base all’art. 45 del Codice dei beni culturali “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”. La norma demanda all’amministrazione di delimitare con intensità variabile, non predeterminata, le misure più idonee a preservare il valore ed il significato che il bene colturale rappresenta nel territorio nel quale è collocato. La giurisprudenza ha precisato che il vincolo indiretto concerne la c.d. cornice ambientale di un bene culturale (cfr. Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1969, n. 722; VI, 18 aprile 2011, n. 2354). Ne deriva che non è il solo bene in sé […] a costituire oggetto della tutela, ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale, che può richiedere una conservazione particolare. In questo senso il canone di verifica del corretto esercizio del potere deve avvenire secondo un criterio di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. La giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2012 n. 3893) ha già avuto modo di precisare che tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell’esercizio del potere che deve essere congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto. […] Deve anche ricordarsi che la valutazione dell’amministrazione nell’ambito in discorso è per lo più insindacabile, se non sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione ed in particolare per difetto o manifesta illogicità della motivazione o errore di fatto (cfr. Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2005, n. 3305; Cons. St., sez. VI, 22 agosto 2006, n. 4923; Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2006, n. 659). Le doglianze […] devono essere valutate in concreto, avendo presente la peculiarità del Castello del Catajo, ovvero il fatto, ben evidenziato negli atti che ne hanno disposto la tutela, che il Castello è legato da un rapporto inscindibile con il territorio circostante; più precisamente, deve sottolinearsi che una parte del valore artistico ed architettonico del bene monumentale ed il suo [continua ..]

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