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Gli effetti del giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l´equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione
Pierandrea Fulgenzi.
In un caso di procedimento ablatorio avviato dalla PA con una formale Dichiarazione di Pubblica Utilità, ma mai concluso con l’adozione di un provvedimento di esproprio, ci si domanda se il giudicato civile che abbia respinto la domanda di risarcimento del danno per equivalente pecuniario sia preclusivo della successiva proposizione, da parte del privato, di una domanda finalizzata alla restituzione del fondo – ovvero della formulazione di una rinunzia abdicativa, attraverso la conclusione di un contratto traslativo, secondo lo schema dell’art. 42-bis D.P.R. 327/2001 – dinanzi al G.A.
Il caso di specie trae origine da un giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per equivalente formatosi quando ancora la giurisprudenza nazionale riconosceva il fenomeno dell’occupazione acquisitiva. Il privato chiedeva il risarcimento del danno per equivalente, ma il G.O. rigettava la domanda, accertando e dichiarando l’intervenuta prescrizione del diritto.
Orbene, a fronte di tale statuizione, la questione è se il privato possa:
- chiedere la restituzione del bene, con un’azione di risarcimento in forma specifica;
- chiedere la restituzione del bene, quale effetto dell’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c.;
- in caso di inerzia dell’Amministrazione, fare ricorso al G.A. avverso il silenzio inadempimento (artt. 31 e 117 c.p.a.), chiedendo la condanna della P.A. a provvedere e, in caso di inadempimento alla statuizione, fare ricorso per ottemperanza, chiedendo la nomina di un commissario ad acta, ai fini dell’applicazione dell’art. 42-bis D.P.R. 327/2001.
La sentenza dell’Adunanza Plenaria si concentra sull’individuazione della portata e dei limiti del giudicato che respinge la domanda di risarcimento del danno per equivalente, una volta accertata l’intervenuta prescrizione del diritto, in ragione di una espropriazione acquisitiva posta in essere dalla P.A.
Il giudicato, nella specie, si formava prima del consolidamento della giurisprudenza CEDU (fra le molte, la sentenza sul caso Carbonara e Ventura del 30 maggio 2000), sicché non si era in presenza di un contesto giuridico di equiparazione tra occupazione acquisitiva ed occupazione usurpativa e ciò incideva sul decisum, poiché l’illecito posto in essere dalla PA non veniva qualificato come permanente, bensì idoneo a generare il fenomeno dell’accessione invertita, con decorrenza della prescrizione dal momento della perpetrazione dell’illecito, ovvero la scadenza dei termini di validità della D.P.U. che nel 1977 aveva generato, a monte, l’occupazione del suolo di proprietà del privato avvenuta nel 1981.
In buona sostanza il G.O. adito nel 1999 si pronunciava, nel 2006, sul diritto al risarcimento del danno per equivalente escludendolo in virtù dell’intervenuta prescrizione, ma per arrivare a tale decisione passava necessariamente attraverso una valutazione della condotta della P.A., qualificandola come occupazione acquisitiva, sicché per quanto vi fosse stata una condotta illecita, il privato non aveva diritto al risarcimento del danno per equivalente, poiché era intervenuta la prescrizione.
Ciò consente di riflettere sulla portata estensiva del giudicato (artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.), giacché esso, formatosi sull’occupazione acquisitiva, si produce anche sui relativi effetti giuridici della stessa: l’acquisizione a titolo originario della proprietà da parte della P.A., in ragione dell’accessione invertita.
Tale effetto giuridico discende ipso iure; pertanto, la decisione assumeva il carattere di sentenza dichiarativa di un effetto diretto della legge.
Non era, quindi, necessaria una statuizione espressa in tema di acquisto della proprietà da parte della P.A., dacché perfezionatosi il procedimento dell’accessione invertita (vera e propria espropriazione sostanziale), ne derivava ipso iure l’effetto acquisitivo del fondo appartenente al privato, che non poteva fare altro che domandare il risarcimento del danno per equivalente, in ragione della trasformazione del fondo (nella specie la Regione Sardegna aveva autorizzato, nel 1977, l’Ente Ospedaliero “Ospedale Riuniti” di Cagliari ad occupare d’urgenza i terreni di proprietà del privato, al fine di realizzarvi l’ospedale civile cittadino).
Orbene, il giudicato civile si formava sia sull’inesistenza del diritto al risarcimento del danno per equivalente sia sull’esistenza dell’occupazione acquisitiva.
A distanza di anni dal passaggio in giudicato di tale sentenza (2006), il privato decideva, nel 2018, di ricorrere dinanzi al G.A., tenuto conto che, medio tempore, la giurisprudenza della Corte EDU aveva fatto breccia nella giurisprudenza nazionale, essendo venuto meno il riconoscimento generale della fattispecie di origine pretoria dell’accessione invertita, con annessa equiparazione tra occupazione acquisitiva ed occupazione usurpativa, in termini di illecito permanente con decorso della prescrizione che matura de die in diem.
Dinanzi al Tar Sardegna – che respingerà la domanda del privato e sulla quale, in seguito, sarà chiamata a pronunciarsi l’Adunanza Plenaria in commento – si ponevano tre sotto-questioni:
- Può il privato proporre azione di risarcimento del danno in forma specifica?
- Che relazione sussiste tra risarcimento in forma specifica ed azione di rivendicazione ex art. 948 c.c.?
- In caso di inerzia della P.A. il privato può chiedere ed ottenere dal G.A. una condanna a provvedere da parte dell’Amministrazione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. e 42-bis D.P.R. 327/2001?
Preso atto del valore del giudicato, nel caso di specie, il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa ha gioco facile nello stabilire l’assenza di tutela del privato, proprio in ragione del carattere preclusivo del giudicato previamente intervenuto.
Il giudicato esplicito formatosi sulla sentenza del G.O. che ha respinto la domanda risarcitoria per equivalente determina conseguenze preclusive anche nei confronti della domanda risarcitoria in forma specifica proposta innanzi al G.A. per un titolo connesso a quello dedotto dinanzi al G.O. (e, in ogni caso, in relazione alla medesima vicenda sostanziale); nonché preclusivo per l’ottenimento di una sentenza di condanna della P.A. affinché provveda ai sensi e per gli effetti dell’art. 42-bis D.P.R. 327/2001.
Risulta evidente come il G.A. non possa accogliere la domanda di risarcimento del danno in forma specifica azionata dal privato, poiché si è in presenza di un giudicato di rigetto della domanda di risarcimento del danno per equivalente. Trattasi di rimedi alternativi che insistono sulla tutela del medesimo diritto al risarcimento del danno. Sebbene quest’ultimo possa essere esercitato in due forme diverse – una volta precluso il risarcimento del danno per equivalente pecuniario, deve considerarsi altrettanto precluso quello in forma specifica (in applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale).
Inoltre, sul punto, occorre sottolineare come il giudicato copra anche la fattispecie di occupazione acquisitiva ed i suoi effetti, sicché se la statuizione accerta l’acquisto del diritto di proprietà da parte della P.A., il privato non è più proprietario del bene e non può chiederne la restituzione.
Tale aspetto consente di affermare, altresì, come il privato non possa agire in rivendicazione ex art. 948 c.c., poiché non essendo più proprietario del bene non ha accesso alla tutela reipersecutoria e quindi non può perseguire l’effetto giuridico della restituzione del bene.
In ultimo, il privato non può sollecitare il potere doveroso nell’an ma discrezionale nel quomodo disciplinato nell’art. 42-bis D.P.R. 327/2001, giacché questa norma presuppone che la P.A. non sia proprietaria del fondo occupato illecitamente. Sotto questo punto di vista vi è una incompatibilità tra giudicato civile formatosi sulla domanda di risarcimento del danno per equivalente ed il rimedio della c.d. acquisizione sanante.
Tale istituto presuppone che non vi sia stato acquisto a titolo originario della proprietà da parte della P.A., quindi il privato non può chiedere l’attivazione del medesimo né direttamente all’Amministrazione né, tantomeno, chiedere che il GA emetta una sentenza ex art. 31 e 117 c.p.a. affinché tale istituto venga attivato dalla P.A. o da un commissario ad acta all’uopo nominato in sede di ottemperanza.
Alla luce di tali argomentazioni l’Adunanza Plenaria formula i seguenti principi di diritto:
“[…] (i) In caso di occupazione illegittima, a fronte di un giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l’equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione, formatosi su una sentenza irrevocabile contenente l'accertamento del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva, alle parti e ai loro eredi o aventi causa è precluso il successivo esercizio, in relazione al medesimo bene, sia dell'azione (di natura personale e obbligatoria) di risarcimento del danno in forma specifica attraverso la restituzione del bene previa rimessione in pristino, sia dell'azione (di natura reale, petitoria e reipersecutoria) di rivendicazione, sia dell'azione ex artt. 31 e 117 cod. proc. amm. avverso il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di provvedere ai sensi dell'art. 42-bis D.P.R. n. 327 del 2001.
(ii) Ai fini della produzione di tale effetto preclusivo non è necessario che la sentenza passata in giudicato contenga un'espressa e formale statuizione sul trasferimento del bene in favore dell'amministrazione, essendo sufficiente che, sulla base di un'interpretazione logico-sistematica della parte-motiva in combinazione con la parte-dispositiva della sentenza, nel caso concreto si possa ravvisare un accertamento, anche implicito, del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva e dei relativi effetti sul regime proprietario del bene, purché si tratti di accertamento effettivo e costituente un necessario antecedente logico della statuizione finale di rigetto […]”.
Sezione: Adunanza Plenaria
(Cons. St., Ad. Plen., 9 aprile 2021, n. 6)
Stralcio a cura di Aniello Iervolino