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Sull'esclusione di una candidata in stato di gravidanza

nota di Agostino Sabatino.

La sezione II del Consiglio di Stato, con la sentenza in commento ha chiarito che: «È illegittima l’esclusione di una candidata dal concorso per allievi finanzieri perché in stato di gravidanza, contrastando tale esclusione sia con il quadro normativo di riferimento che con i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza, entrambi volti ad evitare ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la parità di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all’accesso al lavoro». 

Di seguito una sintetica ricostruzione della vicenda processuale.  

Una donna, candidata al concorso per allievi finanzieri, veniva esclusa dalla procedura selettiva perché in stato di gravidanza e, di conseguenza, la stessa decideva di impugnare al T.A.R. la determinazione di esclusione. 

Il T.A.R., in accoglimento del ricorso, annullava il provvedimento, unitamente alla clausola del bando che aveva disposto l’estromissione dalla procedura di reclutamento nei confronti delle candidate che non potessero essere sottoposte agli accertamenti sanitari di rito in quanto in stato di gravidanza. In particolare, a parere del giudice di primo grado la predetta previsione del bando determinava un’inammissibile disparità di trattamento nei confronti di una concorrente donna che vedeva così pregiudicata la sua maternità e ciò in evidente contrasto con i principi costituzionali e comunitari sulle pari opportunità e sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. 

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Amministrazione, deducendo di aver proceduto a una corretta e puntuale applicazione dell’art. 5, comma 3, del D.M. 17 maggio 2000, n. 155 - avente ad oggetto il «Regolamento recante norme per l’accertamento dell’idoneità al servizio nella Guardia di finanza ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n. 380» - secondo cui «l’accertamento nei riguardi dei candidati che partecipano ai concorsi per il reclutamento nella Guardia di Finanza è effettuato entro il termine stabilito dal bando di concorso in relazione ai tempi necessari per la definizione della graduatoria» ed, altresì, che le pur legittime esigenze di tutela della maternità debbano essere bilanciate con i tempi di svolgimento della procedura a tutela della par condicio dei candidati e del buon andamento dell’amministrazione. 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha confermato l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione procedente. 

Preliminarmente, il Supremo Collegio ha affermato che la tutela della candidata in stato di gravidanza non può costituire e determinare un detrimento per la posizione giuridica soggettiva degli altri candidati e per l’interesse dell’Amministrazione a definire la procedura selettiva entro termini ragionevolmente contenuti al fine di colmare le vacanze organiche. Tuttavia, tale premessa non è idonea a giustificare il sacrificio definitivo della situazione giuridica della candidata mediante l’esclusione dal concorso, ma impone il giusto bilanciamento dei contrapposti interessi, in quanto espressivi di diritti aventi pari dignità costituzionale. 

L’esclusione definitiva della candidata in stato di gravidanza contrasta infatti sia con il quadro normativo di riferimento che con i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza, entrambi volti ad evitare ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la parità di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all’accesso al lavoro. 

Sul piano sovranazionale, in primo luogo, il Consiglio di Stato ha richiamato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1979 e ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132; l’art. 23, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea secondo cui «La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione»; l’art. 157, comma 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea il quale prevede che «Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore». 

Sul piano costituzionale, il Supremo Collegio ha ricordato non solo gli artt. 3, 4 e 51 Cost., ma anche l’art. 31 Cost. che qualifica quale compito della Repubblica l’agevolazione della formazione della famiglia e la protezione della maternità e l’art. 37 Cost. che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare. 

Il legislatore ordinario, dal canto suo, ha dato attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che «la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione» (art. 1, comma 2, d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246»). 

L’impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, è quindi univoco nell’escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell’accesso al lavoro o fonte di discriminazione nell’ambito del rapporto lavorativo. 

Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, l’art. 3, comma 3, del D.M. n. 155/2000 non può essere letto in stretta correlazione con il comma 2 della norma citata, nel senso che l’accertamento nei confronti della candidata in gravidanza è precluso definitivamente oltre il termine stabilito dal bando. 

Ad un’interpretazione di tal specie ostano due ordini di considerazioni: la prima è che, sul piano logico, la durata dell’impedimento in questione non può che essere condizionata dallo sviluppo fisiologico della gravidanza, la seconda, di natura giuridica, consiste nel fatto che la lettura congiunta dei due commi trasformerebbe l’impedimento da temporaneo in definitivo, configurando una clausola di esclusione non prevista espressamente dal bando e riferita esclusivamente alle candidate di sesso femminile. 

Facendo leva sul predetto quadro normativo e giurisprudenziale, il Supremo Consiglio ha quindi sostenuto che il D.M. n. 155/2000 debba essere letto nell’ottica di garantire l’uguaglianza sostanziale dei candidati che aspirano all’arruolamento nella Guardia di Finanza ed evitare che la gravidanza, di per sé, possa costituire una causa di esclusione dal concorso e, quindi, fonte di una discriminazione diretta fondata sul sesso, la cui eliminazione si impone come un obiettivo multilivello. 

Se, dunque, la gravidanza costituisce un impedimento di natura temporanea, deve procedersi all’ammissione con riserva della candidata in gravidanza. A detta ammissione con riserva consegue poi che, ai sensi dell’art. 2139, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, recante il «Codice dell’ordinamento militare», l’accertamento di idoneità al servizio va rinviato, per le candidate in stato di gravidanza, e svolto nel primo concorso utile successivo. 

Il Consiglio di Stato ha da ultimo evidenziato come la gravidanza non possa essere equiparata a infermità. La prima, infatti, è una situazione peculiare del sesso femminile, ad evoluzione fisiologica predeterminata e, in linea di massima, prevedibile, mentre la seconda è una condizione comune a entrambi i sessi, la cui durata è, sul piano prognostico, non predeterminabile. Da ciò discende, secondo il Collegio, che l’applicazione del limite temporale previsto dall’art 3, comma 3, del D.M. n. 155/2000 esclusivamente a chi versa in stato di infermità non evidenzia alcuna irragionevolezza della disciplina, non determinando alcuna discriminazione nell’accesso all’impiego fondata sul sesso che il comma 2, del medesimo art. 3, mira ad evitare. 

Alla luce di tali evidenze, il Consiglio ha rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione. 

La sentenza in commento costituisce un passo in avanti nella neutralizzazione delle discriminazioni di genere in un settore, quale quello delle Forze Armate, il cui accesso è stato riservato, per molti anni, solamente agli uomini, iniziando le donne gradualmente a trovarvi ingresso solo negli ultimi trent’anni, ad opera della legge 20 ottobre 1990, n. 380, ad oggetto «Delega al Governo per l’istituzione del servizio militare volontario femminile». 

Argomento: concorso
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. II, 24 dicembre 2021, n. 8578)

Stralcio a cura di Rossella Bartiromo

“[…] (È) certamente corretta l’affermazione per cui la tutela della situazione soggettiva di una candidata in stato di gravidanza non può ragionevolmente costituire e determinare un detrimento per la posizione giuridica soggettiva degli altri candidati e l’interesse dell’Amministrazione a definire la procedura selettiva entro termini ragionevolmente contenuti al fine di colmare le vacanze organiche (art. 97 Cost.). Siffatta circostanza, tuttavia, non è idonea a giustificare il sacrificio definitivo della prima mediante l’esclusione dal concorso, ma impone il giusto bilanciamento dei contrapposti interessi, in quanto espressione di diritti aventi pari dignità costituzionale. 24.4 L’esclusione definitiva della candidata in stato di gravidanza contrasta frontalmente sia con il quadro normativo di riferimento che con i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza, entrambi volti ad evitare ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la parità di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all’accesso al lavoro. 25. Sul piano sovranazionale, viene in rilievo, in primo luogo, la Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con l. 14 marzo 1985, n. 132 che, all’art 11, sancisce “Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della donna nel campo dell'impiego ed assicurare, sulla base della parità tra uomo e donna, gli stessi diritti”, e “per prevenire la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternità e garantire il loro diritto effettivo al lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate tendenti a: (…) d) assicurare una protezione speciale alle donne incinte per le quali è stato dimostrato che il lavoro è nocivo”. 25.1 In ambito comunitario, l’art 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone che “La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”, mentre l’art 157 (ex art 141 del TCE) del Trattato sul funzionamento [continua ..]

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