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La stabilizzazione del personale precario nella pubblica amministrazione

Agostino Sabatino.

Con il d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (d’ora in avanti “decreto Madia”), il legislatore ha varato importanti norme attuative in base alle linee di indirizzo dettate dalla legge 7 agosto 2015, n. 125 (c.d. “legge Madia”), volte al superamento del precariato mediante la stabilizzazione del personale nella P.A. 

La c.d. “stabilizzazione” consiste nella definitiva assunzione a tempo indeterminato presso l’ente con cui il precario ha maturato una certa esperienza lavorativa mediante contratti flessibili o a termine, la quale può essere conseguita sia mediante un nuovo concorso pubblico, sia mediante un’assunzione diretta. Tuttavia, all’apparente semplicità teorica dell’istituto de quo, non corrisponde un’agevole applicazione pratica della stabilizzazione, dal momento che i dubbi posti dal decreto Madia sono ancora oggi molteplici. 

Il decreto Madia ha previsto due possibilità di ingresso a tempo indeterminato per il personale precario. 

La prima modalità di stabilizzazione “diretta” dei precari è disciplinata dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75/2017, il quale prevede che il candidato che aspiri alla definitiva assunzione a tempo indeterminato debba possedere contestualmente i seguenti requisiti: 

  1. risultare in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge Madia con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che intende procedere all’assunzione; 
  1. essere stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; 
  1. aver maturato, alla data del 31 dicembre 2022, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. 

Tale forma di stabilizzazione risponde alla finalità di superare il precariato, di ridurre il ricorso ai contratti a termine, nonché di valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato. 

In alternativa, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017, l’amministrazione può bandire procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, al personale non dirigenziale precario che abbia maturato i seguenti requisiti: 

  1. risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge Madia, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso; 
  1. abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2022, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso. 

Al riguardo, occorre puntualizzare che, in entrambi i casi, la scelta della stabilizzazione (diretta o indiretta) deve essere coerente con il piano triennale del fabbisogno del personale (PTFP), sicché è illegittima la delibera che bandisce il concorso o dispone l’assunzione a tempo indeterminato del personale precario senza la previa stesura e pubblicazione del PTFP o laddove le previsioni di assunzione del personale non siano coerenti con lo stesso. 

Inoltre, la scelta dell’amministrazione di assumere il personale a tempo indeterminato ricorrendo alla stabilizzazione è discrezionale, rispondendo cioè ad una facoltà e non ad un obbligo dell’ente. Infatti, l’art. 20 del decreto Madia dispone chiaramente che le amministrazioni «possono» assumere a tempo indeterminato (comma 1) o «possono» bandire procedure concorsuali riservate al personale non dirigenziale (comma 2). Tuttavia, la discrezionalità in capo all’ente di scegliere se stabilizzare il personale e di farlo secondo una delle predette modalità non deve trasmodare in arbitrio in quanto l’amministrazione è comunque tenuta a motivare le proprie scelte. 

Ciò premesso in linea generale, la vicenda processuale in oggetto trae origine dal ricorso con cui un candidato, dipendente di ruolo presso altra amministrazione, collocato in aspettativa, lamentava di essere stato escluso alla procedura selettiva indetta da un ente pubblico in quanto riservata al personale in possesso dei requisiti di cui all’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 e finalizzata all’assunzione, con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, di personale. 

L’aspirante candidato, ritenendo illegittimi il bando di concorso, nonché il provvedimento di esclusione, presentava ricorso al T.A.R. Lazio che accoglieva il gravame. Avverso la sentenza proponeva appello l’amministrazione, deducendo che la disposizione del bando di concorso con cui si stabiliva che potessero partecipare alla selezione soltanto coloro che non fossero già titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso altra amministrazione sarebbe risultata del tutto coerente col precetto normativo di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017, la cui ratio sarebbe da individuarsi non solo nell’esigenza di ridurre il ricorso ai contratti a termine, ma soprattutto di superare il precariato.  

La sezione VI del Consiglio di Stato, con la sentenza in commento accoglieva la prospettata doglianza, precisando come la questione centrale della controversia in oggetto fosse già stata affrontata dalla sezione III del Consiglio di Stato con la sentenza 3 febbraio 2020, n. 872. 

Riprendendo le motivazioni della predetta pronuncia, i giudici del Supremo Collegio hanno, in via preliminare, sottolineato come, dalla lettura combinata dei primi due commi dell’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017, risulti evidente che la stabilizzazione dei lavoratori precari costituisca obiettivo generale delle procedure di stabilizzazione, puntualizzando inoltre che qualunque deroga alla regola dell’assunzione nei ruoli dell’amministrazione mediante pubblico concorso è ammessa nei soli casi tipizzati dalla legge. Inoltre l’eliminazione del precariato costituisce, in presenza di determinate condizioni da coniugare con le esigenze organizzative della P.A., apprezzabile interesse pubblico idoneo a giustificare in certa misura l’eccezione alla regola dell’accesso mediante concorso pubblico, sempre nel rispetto dei principi costituzionali. 

Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, «essendo il presupposto della procedura riservata quello dell’assenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, l’esistenza di un rapporto di lavoro stabile integra un antefatto incompatibile con l’idea stessa di stabilizzazione del dipendente “precario”. Restringere la portata del concetto di “contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato” significa estendere la latitudine del concetto di lavoratore “precario” e, dunque, allargare le maglie della stabilizzazione oltre il limite fatto proprio dal significato letterale della norma». 

Il Collegio evidenzia, altresì, che, oltre alla “maturazione” del rapporto di servizio pubblico precario, non si richiede anche la sua “attuale prestazione” presso l’amministrazione procedente, di conseguenza la persistenza del rapporto precario all’atto della partecipazione alla procedura riservata non può rappresentare in senso assoluto una condizione di ammissione alla selezione riservata. 

La legge è chiara nell’individuare la platea degli aspiranti alla stabilizzazione tra i soggetti precari. Pertanto, la stabilizzazione non può essere intesa come una forma di riconoscimento degli anni di lavoro a tempo determinato già espletati e come uno strumento di mera valorizzazione dell’esperienza acquisita quale titolo per l’inquadramento. Al contrario, essa si delinea come un meccanismo di trasformazione da una condizione di lavoro temporaneo ad una condizione di lavoro stabile, sicché, cessata la prima posizione, non vi è più margine per poter accedere alla procedura riservata. 

Il Supremo Collegio ha, quindi, ritenuto che la partecipazione alla procedura di stabilizzazione di dipendenti già in servizio a tempo indeterminato presso un’altra pubblica amministrazione entra in contraddizione con la ratio della norma, alterandone il carattere speciale di reclutamento ristretto alla platea dei dipendenti in servizio precari, in quanto titolari di contratti a tempo determinato. Alla luce di tali evidenze, si è affermato che «l’estensione della procedura di stabilizzazione oltre il suo tipico e tassativo ambito elettivo presenta effetti sistematici non irrilevanti, in quanto ha come conseguenza strutturale e primaria quella di restringere la regola concorsuale e, come effetto secondario, quello di pregiudicare le aspirazioni di quanti, proprio tramite il concorso, potrebbero legittimamente aspirare all’occupazione dei posti vacanti». 

Pertanto, il Consiglio di Stato, con le recenti pronunce in commento, in coerenza altresì con l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, ha ribadito la compatibilità col sistema costituzionale di procedure riservate di carattere straordinario. Infatti, la regola del pubblico concorso non esclude la possibilità di deroghe che possono trovare giustificazione in peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, come quella di assorbire personale precario in possesso dei requisiti richiesti dalla norma. 

Argomento: impiego
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2021, n. 7911)

Stralcio a cura di Agostino Sabatino

"[…] La questione centrale di cui si controverte è già stata affrontata dalla Sezione III di questo Consiglio di Stato con la recente sentenza 3/2/2020, n. 872, che il Collegio condivide.  Non resta, pertanto, che riprenderne le motivazioni. […]  […] Parte appellata obietta che la tesi sostenuta dal CNR si porrebbe in contrasto i parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 4, 35, 51 e 97.  Con sentenza 6/12/2017, n. 251 la Corte Costituzionale, avrebbe, del resto, già dichiarato l’incostituzionalità di norme che vietavano l’accesso ai concorsi pubblici di personale già assunto da una pubblica amministrazione con contratto a tempo indeterminato.  Nel caso di specie, inoltre, il CNR avrebbe ammesso alla selezione soggetti che, pur risultando titolari di contratto a tempo indeterminato presso il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, non avevano ancora preso servizio, nonché lavoratori assunti a tempo indeterminato da enti privati, con conseguente violazione del principio di uguaglianza.  L’avversata clausola del bando violerebbe, infine, i principi di pari opportunità e non discriminazione di cui alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio in data 27/11/2000 e l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sottoscritta a Nizza il 7/12/2000 e contrasterebbe col principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.  Le obiezioni dell’appellato non meritano condivisione.  Occorre premettere che la menzionata pronuncia del giudice delle leggi risulta, nella specie, malamente invocata.  E invero, in quell’occasione la Corte ha ritenuto incostituzionale l’art. 1, comma 110, della L. 13/7/2015, n. 107, in quanto escludeva il personale scolastico già di ruolo, dai pubblici concorsi, ma quello bandito dal CNR non è un pubblico concorso, bensì una procedura straordinaria riservata, specificamente disciplinata dall’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017.  La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in coerenza con i pronunciamenti della Corte Costituzionale, ha, peraltro, già affermato la compatibilità col sistema costituzionale di procedure riservate di carattere straordinario come quella di specie.  Difatti, la regola del pubblico concorso non esclude la possibilità di [continua ..]

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