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Legittimazione ad agire e interesse al ricorso per l'impugnazione di titolo edilizio rilasciato a terzi

Serena Cosentino.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata a chiarire quando e in che misura l’interesse del terzo a contrastare un atto amministrativo ampliativo dell’altrui sfera giudica sia effettivamente qualificato e differenziato rispetto all’interesse della generalità e sia, pertanto, idoneo a legittimare l’azione in giudizio. In particolar modo, nei casi in cui il terzo non abbia preso parte al procedimento e non sia fra i destinatari del provvedimento, viene in rilievo, nel settore edilizio-urbanistico e in quello ambientale, quale criterio idoneo a legittimare l’azione, la vicinitas intesa come “stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato” 

Parte della giurisprudenza ha affermato che la vicinitas è criterio idoneo a legittimare l’impugnazione del titolo edilizio assorbendo in sé il profilo dell’interesse al ricorso. Tale posizione nasce dalla previsione normativa dell’art. 10 c. 9 della legge Ponte n. 765/1967 che novellava l’art. 31 della Legge Urbanistica n. 1150/1942 prevendendo che “Chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”. 

Come rilevato dalla sentenza in commento, poiché obiettivo del legislatore era quello di porre rimedio al dilagare del fenomeno dell’abusivismo edilizio, si affermò l’idea che “la legge avesse ora previsto che davvero chiunque potesse ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia altrui quando in contrasto con leggi, regolamenti e prescrizioni urbanistiche”. La giurisprudenza del tempo (poi consolidatasi con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria 23/1977), in realtà, escluse che potesse rinvenirsi nella citata disposizione una ipotesi di azione popolare valorizzando un criterio di legittimazione all’azione piuttosto elastico legato alla vicinitas 

Per verificare se la vicinitas sia effettivamente criterio da solo idoneo a legittimare l’azione senza necessità di verificare l’esistenza di uno specifico interesse è necessaria una riflessione più attenta su detti presupposti processuali. 

In particolare la legitimatio ad causam ha la funzione di permettere in astratto la preventiva selezione dei soggetti che hanno il legittimo diritto di promuovere l’esercizio della giurisdizione e che abbiano un diritto o interesse da tutelare: riguarda quindi la titolarità effettiva e reale delle posizioni giuridiche dedotte in giudizio.  

L’interesse ad agire trova invece fondamento nell’art. 100 c.p.c. in base al quale “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse” e si sostanzia nella concretezza e attualità della lesione e del vantaggio, anche solo potenziale, derivante dalla pronuncia nel merito della controversia. È pacifico che detto vantaggio possa essere tanto patrimoniale quanto morale. 

Nel codice del processo amministrativo manca una norma sulle condizioni generali dell’azione ma la disciplina processual-civilistica è applicabile al processo amministrativo in base al rinvio esterno operato dall’art. 39 c.p.a.. Naturalmente non può non tenersi in debita considerazione la struttura del processo amministrativo, non più oggi processo sull’atto, ma giudizio sul rapporto volto ad accertare la pretesa al bene della vita.  

In tale contesto l’interesse ad agire, attraverso il filtro dell’art. 100 c.p.c., trova ulteriore specifica disciplina in alcune norme di dettaglio: l’art. 13 c.p.a., nella parte in cui fa riferimento al “provvedimento da cui deriva l’interesse a ricorrere”, l’art. 35 c.p.c. che contempla l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, l’art. 31 c.p.a. che attribuisce a chi ha interesse il potere di chiedere l’accertamento dell’obbligo della p.a. di provvedere, l’art. 34 c.3 c.p.a. che disciplina l’ipotesi in cui l’annullamento del provvedimento non è più utile per il ricorrente. 

Inoltre, mentre il diritto soggettivo è una posizione giuridica di vantaggio riconosciuta direttamente dalla legge, l’interesse legittimo è una situazione di vantaggio che dipende dall’intermediazione provvedimentale dell’amministrazione, con la conseguenza che diritti e interessi trovano nell’ordinamento una diversa tutela. Nel giudizio civile, infatti, “ai fini dell'accesso al giudice è sufficiente la mera affermazione di una titolarità astratta del diritto soggettivo, posto che la sussistenza del diritto coincide in sede di merito con il riconoscimento del titolo alla pretesa riparatrice. Nel processo amministrativo, invece, la sussistenza nel concreto dell'interesse legittimo “serve” da condizione legittimante l'accesso”, ma non è, in quanto tale, sufficiente in sede di merito, ove diviene oggetto di verifica la modalità di esercizio del potere. Inoltre, come rilevato dalla sentenza in commento, “nella realtà delle cose è raro che la norma attributiva del potere, occupata a definire presupposti, forme e modi dell’esercizio del potere amministrativo, menzioni (tutti) gli interessi privati qualificabili some legittimi” e, ancora, nell’ambito edilizio-urbanistico “il ragionamento intorno all’interesse al ricorso, inteso come uno stato di fatto, si lega quindi necessariamente all’utilità ricavabile dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio (…) a fronte di un intervento edilizio contra legem è rinvenuto in giurisprudenza, (…) nel possibile deprezzamento dell’immobile confinante o comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dall’ambiente”. 

Ritenere che la vicinitas sia in grado, da sola e in maniera automatica, di soddisfare l’interesse al ricorso rischia di trasformare la giurisdizione amministrativa in una giurisdizione “oggettiva” quando, invece, il processo è volto a tutelare l’interesse del privato in concreto e non a garantire in astratto la legittimità e legalità dell’azione amministrativa.  

Si consideri ad esempio che quando il legislatore ha voluto offrire una protezione più intensa all’ambiente, inteso come interesse superindividuale che riguarda l’intera collettività, lo ha fatto espressamente annoverando le regioni e gli enti locali (art. 309 c. 1 T.u. ambiente) e le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, di cui all’art. 13 l. 349/1986, tra i soggetti legittimati a presentare denunce e osservazioni concernenti qualsiasi caso di danno ambientale al Ministero dell’ambiente (art. 309 c. 2 T.U. ambiente). In tali ipotesi emerge l’esistenza di una situazione giuridica da cui scaturiscono poteri e interessi che si irradiano in maniera uniforme verso un’ampia categoria di soggetti e in cui interesse e legittimazione nascono anche dal far parte di una categoria indicata dalla legge.  

Non si può, tuttavia, affermare l’esistenza di una azione popolare al di fuori dei casi previsti dalla legge, ecco perché, nei casi di impugnazione di un titolo edilizio, “affermata la necessità di distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”. Inoltre “lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art. 73 c.3 c.p.a. e quindi nel contraddittorio fra le parti”. 

La sentenza in commento afferma, infine, un principio collegato al caso concreto e cioè all’ipotesi in cui il titolo edilizio venga impugnato per la violazione delle distanze tra le costruzioni imposte dalla legge ed in particolare, fra l’immobile oggetto del titolo edilizio ed una terza costruzione non di proprietà del ricorrente. Anche in tali ipotesi il terzo può avere un interesse all’azione quando dall’annullamento derivi un effetto di ripristino concretamente utile e non meramente emulativo. 

 

Argomento: urbanistica
Sezione: Adunanza Plenaria

(Cons. St., Ad. Plen., 9 dicembre 2021, n. 22)

Stralcio a cura di Davide Gambetta

“FATTO […] la sezione si interroga se, per impugnare i titoli edilizi altrui, il requisito della vicinitas, inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione, sia sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento. […]. DIRITTO 1. Le numerose questioni sollevate dal Consiglio di giustizia sottopongono all’esame dell’Adunanza plenaria il tema della tutela del terzo a fronte di atti ampliativi della sfera di altri soggetti, nel caso di specie al cospetto di un titolo edilizio espresso […]. […] Quello dell’interesse, oppositivo, ad impedire o comunque a contrastare un atto ampliativo della sfera di altri soggetti costituisce una delle tre principali figure più comunemente discusse nello studio della legittimazione al ricorso nel processo amministrativo, per differenziare la posizione dei soggetti legittimati da quella della generalità dei consociati. Limitando il discorso alla tutela dell’interesse legittimo e data in premessa la distinzione tra interessi oppositivi e interessi pretensivi, le altre due figure corrispondono, come noto, all’interesse, oppositivo, ad impedire un atto restrittivo nella propria sfera giuridica (esempio paradigmatico quello dei provvedimenti ablatori) e all’interesse, in questo caso pretensivo, a contestare il diniego ovvero il rifiuto di un atto ampliativo della propria sfera vanamente richiesto dallo stesso interessato (ad esempio il rifiuto di un’autorizzazione o di una concessione). Nella seconda e nella terza figura l’individuazione di un interesse differenziato, e con essa il riconoscimento della legittimazione a ricorrere, è certamente agevolata dall’essere il soggetto “legittimato” destinatario di un provvedimento che – privandolo di un bene che prima aveva o negandogli un bene che non aveva e che aveva richiesto - lo lede direttamente e, prima ancora, parte necessaria del procedimento amministrativo che l’ha preceduto. Nel primo caso invece, laddove procedimento e provvedimento non contemplino il soggetto terzo, il problema che da sempre si pone è quello di stabilire se l’interesse di costui a contrastare un atto ampliativo della sfera altrui sia effettivamente qualificato e differenziato, rispetto [continua ..]

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