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Responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 cc: il Comune risponde anche in presenza di giudicato penale che assolve il suo dipendente
Davide Barbato
- La vicenda processuale
Un ragazzino mentre giocava con il pallone nel piazzale antistante la scuola, nell’intento di recuperare la sfera terminata oltre la recinzione, si appoggiava ad un lampione dell’illuminazione rimanendo folgorato.
Tratto a giudizio per il reato di omicidio colposo il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune (unico dipendente del Comune processato) veniva assolto perché il fatto non sussiste.
I familiari del ragazzino si rivolgevano al Tribunale per ottenere dal Comune il risarcimento del danno da morte del congiunto, facendo valere in giudizio la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia).
Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda affermando che l’insussistenza di responsabilità da parte del dipendente comunale era coperta da giudicato esterno.
Di diverso avviso si mostrava la Corte di Appello che, invece, condannava il Comune al risarcimento del danno.
Il Comune ricorreva per Cassazione sostenendo che l’accertamento da parte del giudice penale dell’insussistenza del fatto ha effetto preclusivo nel giudizio civile di risarcimento ex art. 2051 c.c.
La Cassazione, tuttavia, con la sentenza in commento, rigettava il ricorso.
- Rapporti tra giudicato penale e giudizio civile di danno
In base all’art. 652 c.p.p. “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso (...) nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato (...)”.
Se dunque il funzionario (unico dipendente del Comune processato) è stato assolto perché il fatto non sussiste sembrerebbe che, in base all’art. 652 c.p.p., l’azione risarcitoria dei danneggiati sia preclusa.
Dalla manualistica emerge che la formula assolutoria perché il fatto non sussiste è “quella più favorevole per l’imputato, perché nega che un fatto penalmente rilevante si sia verificato, con riferimento all’elemento materiale costituito da azione od omissione, evento, nesso di causalità” (F. Cordero).
Dunque, se il fatto-reato non esiste nel senso che ne difettano gli elementi costitutivi oggettivi, tra cui il nesso di causalità, sembrerebbe condivisibile l’assunto del Tribunale che aveva escluso la responsabilità del Comune perché il suo funzionario non aveva commesso alcun fatto-reato.
Invece, la Cassazione segue un diverso iter argomentativo.
- Il custode tra responsabilità penale e responsabilità civile
La Suprema Corte offre una lettura restrittiva dell’art. 652 c.p.p. affermando che “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste implica che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa sia stato provato e, entro questi limiti, esplica efficacia di giudicato nel giudizio civile”.
Dunque, per la sentenza in commento l’efficacia preclusiva del giudicato opera esclusivamente quando il Giudice penale ritiene non provati tutti gli elementi oggettivi del fatto-reato e cioè la condotta, l’evento e il nesso di causalità.
Non è dato conoscere gli atti del procedimento penale; ragionevolmente si può pensare che se il Giudice penale abbia ritenuto, ad es., non provata la condotta dell’imputato non abbia esaminato gli altri elementi costitutivi quali l’evento o il nesso di causalità; esclusa la condotta (azione od omissione) l’esistenza o meno degli altri elementi oggettivi rimane assorbita.
Alla stessa stregua se il Giudice penale ritiene non provato l’evento non si preoccuperà sicuramente di accertarne il nesso di causalità con la condotta.
Seguendo il ragionamento della sentenza in commento si comprende come nessun giudicato penale perché “il fatto non sussiste” possa essere preclusivo dell’azione civile di risarcimento del danno. Se il Giudice penale ritiene che faccia difetto anche uno solo degli elementi oggettivi non si occuperà degli altri e, quindi, come probabilmente successo in questo caso, non affermerà ex professo l’insussistenza del nesso di causalità. Dopodiché, allora, si aprono le porte a una rivisitazione, in sede civile, della responsabilità del custode.
Allora ecco che la Suprema Corte può affermare che “ai sensi dell’art. 2051 c.c., il Comune è custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente. Ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Nel caso di specie risulta provato che il giovane A. sia morto per folgorazione e i lampioni non erano in sicurezza o recintati”.
Quindi, basta l’accertamento in sede civile – come è sicuramente successo nel caso di specie – del nesso di causalità “tra l’evento morte e le condizioni fatiscenti dell’intero impianto di illuminazione che hanno provocato l’elettrocuzione” a far scattare la responsabilità del custode, cioè del Comune.
La sentenza in commento risulta condivisibile anche se richiede un’accorta strategia difensiva nel processo penale: l’imputato e il responsabile civile – se vogliono evitare il giudizio di risarcimento del danno per responsabilità da cose in custodia – dovranno difendersi in modo tale da fare escludere, in ogni caso, il nesso di causalità perché solo in questo modo opererà l’effetto preclusivo del giudicato penale ex art. 652 c.p.p.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 19 settembre2024, n. 25200)
stralcio a cura di Giovanni Pagano
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