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Il convivente di fatto è un “familiare” ai fini della disciplina dell´impresa familiare ex art. 230 bis c.c.

Argomento: Delle persone e della famiglia
Sezione: Corte Costituzionale

(Corte Cost., 25 luglio 2024, n. 148)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“11.- In sintesi, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa (punto 3 e seguenti), sia della giurisprudenza costituzionale (punto 7), comune (punti 8 e 9) ed europea (punto 10), che ha dato piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto. Il modello secondo la scelta del Costituente è la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Permangono, quindi, differenze di disciplina, ma, quando si tratta di diritti fondamentali, esse sono recessive e la tutela non può che essere la stessa sia che si tratti, ad esempio, del diritto all'abitazione (sentenza n. 404 del 1988), o della protezione di soggetti disabili (sentenza n. 213 del 2016), o dell'affettività di persone detenute (sentenza n. 10 del 2024). Parimenti fondamentale è il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), che, quando reso nel contesto di un'impresa familiare, richiede uguale protezione. Come si è già visto, la disciplina dell'impresa familiare - a differenza di quella dell'impresa coniugale (art. 177, primo comma, lettera d, cod. civ.), che concerne specificamente il regime patrimoniale legale della comunione dei beni tra i coniugi - mira a tutelare il lavoro "familiare", quale fattispecie intermedia tra il lavoro subordinato vero e proprio e quello gratuito, reso "affectionis vel benevolentiae causa". La difficoltà per il prestatore di provare la subordinazione in siffatto contesto finiva prevalentemente per attrarre la prestazione nella fattispecie del lavoro gratuito, privo di effettiva protezione. Questa esigenza di approntare una speciale garanzia del lavoro è stata realizzata dall'art. 230-bis cod. civ., secondo la scelta del legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975, con un ampio raggio di applicazione perché abbraccia non solo il coniuge e gli stretti congiunti dell'imprenditore, ma anche tutti i parenti fino al terzo grado e gli affini fino al secondo grado secondo l'elencazione contenuta nel terzo comma della disposizione; elencazione alla quale deve ritenersi che si siano aggiunti, nel 2016, i soggetti legati da unioni civili. Ma anche il convivente more uxorio versa nella stessa situazione in cui l'affectio maritalis fa sbiadire l'assoggettamento al potere direttivo dell'imprenditore, tipico del lavoro subordinato, e la prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell'orbita del [continua ..]

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