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L'avvocato è responsabile quando la sua omissione ha efficacia causale diretta nella determinazione del danno

Pierandrea Fulgenzi

La responsabilità professionale dell’avvocato è tematica che impone all’interprete di riflettere su questioni particolarmente complesse, anche in considerazione del ruolo svolto dal difensore all’interno del processo.

La Suprema Corte di Legittimità – con sentenza emessa dalla Sez. III Civ. n. 29194 in data 12.11.2024 – si inserisce nel solco del granitico orientamento giurisprudenziale in materia di responsabilità professionale, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale, secondo cui è onere del cliente danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità materiale fra la lesione di un proprio diritto e la condotta del professionista, mentre è onere della parte debitrice (l’avvocato) provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile abbia reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (cfr., Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 26 maggio 2021, n. 14702).

Ed invero, la menzionata causalità materiale, attenendo al collegamento naturalistico fra fatti, accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo attiene alla relazione probabilistica tra condotta ed evento dannoso, da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, dal criterio dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell’evento (cfr. Corte di Cassazione, SS.UU. n. 576/2008).

Ora, sebbene la giurisprudenza tenda ad affermare come la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato sia da considerare superata, poiché in ogni obbligazione di mezzi vi è sempre una componente di risultato, tuttavia questa distinzione risulta essere spesso richiamata proprio quando si è chiamati a riflettere sul peso della diligenza nell’ambito delle obbligazioni professionali, come quelle di cui all’attività dell’avvocato. In buona sostanza […] l’antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato […], così come è dato leggere nella pronuncia in commento, è sempre sullo sfondo di ogni ragionamento volto a sondare il peso dell’agire e del non agire del professionista, nell’ottica di riscontrare la verificazione di un danno conseguenza nella sfera giuridica del creditore della prestazione (cliente).   

Ed infatti, proprio la causalità materiale si atteggia diversamente a seconda che la stessa venga in rilievo nell’ambito delle c.d. obbligazioni a risultato - finale, che si caratterizzano per la previsione come fine dovuto del conseguimento di un risultato in grado di determinare la piena soddisfazione dell’interesse, o nell’ambito delle c.d. obbligazioni a risultato - intermedio/strumentale, come quella dell’avvocato, per le quali, avendo la soddisfazione dell’interesse corrispondente alla prestazione oggetto di obbligazione natura strumentale rispetto a un interesse primario o presupposto, la possibilità della sua soddisfazione è condizionata dai mutamenti intermedi determinati dalla prestazione professionale.

Orbene, nelle obbligazioni di risultato la causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall’inadempimento in ragione della differenza ontologica tra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall’inadempimento, perché quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno - evento, per cui, per tali obbligazioni, la causalità acquista autonomia di valutazione solo quale causalità giuridica ai fini della delimitazione del danno risarcibile attraverso l’identificazione del nesso eziologico tra evento di danno e conseguenze pregiudizievoli ex art. 1223 c.c. (cfr. Corte di Cassazione, SS.UU. n. 13533/2001). Diversamente, per quanto attiene alle obbligazioni di mezzi, inerenti al diverso e più ristretto territorio del facere professionale, la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta secondo le regole generali sopra richiamate, con la conseguenza che causalità ed imputazione per l’inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale (e non solo su quello strutturale) perché il danno evento consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato.

In altri termini, tale distinzione tra le menzionate tipologie di obbligazioni, da cui discende fisiologicamente un differente onere probatorio in capo al creditore (cliente), emerge proprio nel campo delle obbligazioni di diligenza professionale come quella assunta dall’avvocato difensore, la cui prestazione che ne forma oggetto non coincide con la vittoria della causa (così come non coincide con la guarigione dalla malattia, nel campo della responsabilità medica), ma con il perseguimento della legis artis nella cura dell’interesse del creditore, per cui allegare l’inadempimento per la lesione di un interesse strumentale non significa necessariamente allegare la lesione dell’interesse presupposto, e quindi il danno - evento, il quale, riguardando un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle legis artis, ben potendo essere riconducibile a una causa diversa dall’inadempimento (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 26 maggio 2021, n. 14702).

Ne consegue che la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento di specifiche attività professionali, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del professionista, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove il difensore avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone. (cfr., tra le tante, Cass. Civ., Sez. III, sentenza 5 febbraio 2013, n. 2638).

Ciò posto, applicando tali coordinate ermeneutiche, con il pronunciamento in esame della Suprema Corte di Cassazione stabilisce diversi principi fondamentali riguardo la responsabilità professionale dell’avvocato.

  1. Giudizio ex ante della colpa professionale: La valutazione sull'esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta con un giudizio ex ante, basandosi su una valutazione prognostica della possibile utilità dell'iniziativa intrapresa o omessa. Questo implica che non si può chiedere all'avvocato di garantire l'esito favorevole della causa, in coerenza con le logiche sottese ad un’obbligazione di facere professionale, ove assume un peso preponderante la diligenza nell’azione esecutiva rispetto al risultato da conseguire (esposto peraltro all’alea del giudizio).
  2. Obbligazioni di mezzo vs. di risultato: Sebbene la distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato non sia espressamente prevista dall’ordinamento, essa trova fonte in un’antica e superata lettura del fenomeno oggetto di attenzione, in considerazione del fatto che l'avvocato non può garantire l'esito favorevole del giudizio.
  3. Responsabilità omissiva: Questo principio è affermato principalmente in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa per il cliente derivante da un'attività processuale che poteva essere compiuta e non lo è stata.
  4. Principio del "più probabile che non": Il giudizio di responsabilità civile si svolge seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del "più probabile che non". In base a questo, in assenza di fattori alternativi, si può ritenere che l'omissione del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.
  5. Distinzione tra tipi di omissione: Occorre distinguere tra l'omissione di condotte che, se tenute, avrebbero evitato un evento dannoso (dove il danno si è effettivamente verificato come conseguenza dell'omissione) e l'omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio (dove il danno patrimoniale, come lucro cessante, richiede un accertamento prognostico, dato che il vantaggio non si è realmente verificato).
  6. Valutazione controfattuale: Il giudizio di responsabilità professionale richiede una sorta di valutazione controfattuale sull'attività compiuta o omessa.
  7. Errore non derivante da negligenza in caso di contrasto giurisprudenziale: Non si configura un errore professionale determinato da negligenza se l'operato dell'avvocato si basava su un orientamento giurisprudenziale che, all'epoca, era oggetto di un vivace contrasto e che solo successivamente è stato risolto da una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in senso opposto.

Orbene, facendo sintesi di questi principi, occorre sottolineare come ai fini di un giudizio di responsabilità dell’avvocato deve risultare che lo stesso, per come si sviluppa il giudizio, non abbia adempiuto la propria obbligazione in maniera conforme agli standard di diligenza auspicabili nell’espletamento di un mandato difensivo, quindi in maniera tale da determinare, secondo ragionevole certezza, cioè a dire secondo “il più probabile che non”, l’esito infausto della controversia.

Argomento: Della responsabilità civile
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 12 novembre 2024, n. 29194)

Stralcio a cura di Giorgio Potenza

“In tema di responsabilità professionale dell'avvocato la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito, con un orientamento ormai consolidato, che la valutazione sull'esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell'iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l'avvocato garantirne l'esito favorevole (viene di frequente richiamata, al riguardo, l'antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato). Questo principio è stato affermato per lo più in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa, per il cliente, derivante da un'attività processuale che poteva essere compiuta e non è stata compiuta (v., tra le altre, la sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112, e le recenti ordinanze 19 gennaio 2024, n. 2109, e 6 settembre 2024, n. 24007). Tale giudizio si svolge, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l'omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Si è detto, in particolare, che in questa materia occorre "distinguere fra l'omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l'evento dannoso, dall'omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l'evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell'omissione; nell'altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato" (così la citata sentenza n. 25112 del 2017, testualmente ripresa dalla successiva ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320)”.

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