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L'Italia non ha giurisdizione per procedere con una richiesta di risarcimento contro la Repubblica Popolare Cinese
Lorenzo Forlano
Con l’ordinanza n. 16136 del 11 giugno 2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato una questione di straordinaria rilevanza giuridica, concernente la portata e i limiti della giurisdizione del giudice nazionale italiano nell’ambito della responsabilità internazionale degli Stati esteri, con particolare riferimento alla Repubblica Popolare di Cina, imputata di responsabilità in relazione alla gestione della pandemia da Covid-19.
La pronuncia si configura come un contributo dottrinalmente e giuridicamente pregnante, poiché affronta con rigore ermeneutico il delicato rapporto tra il principio di immunità degli Stati stranieri e la tutela dei diritti fondamentali nell’epoca della globalizzazione e della interdipendenza internazionale, in particolar modo a ridosso di un evento che ha inevitabilmente creato degli squilibri su scala mondiale.
La controversia trae origine da un ricorso introdotto innanzi al Giudice di Pace di Frosinone, con il quale la parte attrice deduceva la responsabilità dello Stato cinese per fatti connessi alla gestione della pandemia da SARS-CoV-2, sostenendo la violazione degli obblighi internazionali di cooperazione sanitaria scaturenti dal Regolamento Sanitario Internazionale del 2007 (IHR), nonché il mancato adempimento di accordi bilaterali in materia di sanità transfrontaliera.
La domanda risarcitoria poggiava altresì su un richiamo all’illegalità del commercio di fauna selvatica quale fattore eziologico del virus, e si accompagnava alla grave vicenda personale della ricorrente, che lamentava il decesso della madre nel marzo 2020 e lesioni personali gravissime conseguenti alla diffusione del virus. Anch’ella, infatti, era stata ricoverata e sottoposta ad intubazione, salvo poi essere dimessa dall’ospedale ove era stata ricoverata solo in data 4 aprile 2020.
La parte attrice proponeva una qualificazione giuridica particolarmente incisiva, affermando che le condotte dello Stato convenuto configurassero crimini internazionali di guerra, con la conseguenza di escludere l’applicabilità dell’immunità internazionale in quanto prassi volta a garantire l’impunità in presenza di gravi violazioni di norme fondamentali dell’ordinamento internazionale.
Nell’ipotesi di contumacia della parte convenuta, essendo il giudice adito intervenuto sollecitando la parte attrice a prendere posizione sulla questione relativa alla competenza giurisdizionale, è stato esperito ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c. L’intimata non aveva svolto attività difensive.
In termini giuridici, gli Ermellini hanno esordito ribadendo un principio cardine del diritto internazionale e interno: la necessità di distinguere nettamente tra atti iure imperii, riconducibili all’esercizio di potestà pubbliche e connessi alla sovranità statale, e atti iure gestionis, di natura privata o commerciale. Tale distinzione è imprescindibile per determinare la portata dell’immunità dello Stato estero e l’ambito della giurisdizione nazionale. A sostegno di ciò è risultato opportuno evidenziare che “le regole internazionali in tema di immunità rivelano la struttura paritetica dell’ordinamento internazionale, di cui è espressione il principio par in parem non habet iurisdictionem, chiaramente legato all’uguaglianza sovrana tra Stati, e che, impone a ciascuno Stato di garantire agli altri Stati l’immunità dinanzi alle proprie corti interne”.
Nel solco di una costante giurisprudenza di legittimità, anche recentemente riaffermata nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 18540/2023, la Corte ha ribadito che le controversie aventi ad oggetto l’esercizio di poteri pubblicistici ricadono nella competenza esclusiva del giudice amministrativo e non del giudice ordinario, e che lo Stato estero, nel compimento di atti iure imperii, gode di un’immunità funzionale estesa.
Nello specifico, pertanto, la Suprema Corte ha precisato che ciò che era individuata quale fonte della lesione delle posizioni degli attori, era “ictu oculi” il potere discrezionale esercitato dalla pubblica amministrazione per poter fronteggiare l’epidemia e governare il sistema del servizio sanitario nazionale, dovendosi parallelamente considerare che “costituisce esercizio del potere amministrativo relativo alla struttura del servizio sanitario nazionale, l’adozione delle scelte correlate alla tutela delle epidemie”.
Nel caso di specie, la Corte ha qualificato le condotte attribuite alla Repubblica Popolare di Cina – meramente omissive, consistenti nella mancata e tardiva attuazione di obblighi internazionali di salute pubblica e nella gestione complessiva della pandemia – come atti iure imperii, poiché riconducibili all’esercizio di prerogative sovrane in materia di sanità pubblica.
Di particolare rilievo è l’approfondita disamina condotta dalla Corte sul nodo giuridico centrale della pronuncia: il riconoscimento dell’immunità degli Stati stranieri rispetto alla giurisdizione nazionale per atti compiuti in esercizio di potestà pubblica.
I giudici della Suprema Corte hanno attentamente esaminato le argomentazioni della ricorrente, tese a derogare l’immunità invocando la qualificazione dei fatti come crimini internazionali, e hanno respinto tale lettura, sottolineando che il riconoscimento dell’immunità costituisce una regola generale e inderogabile dell’ordinamento internazionale, e che la sua compressione è ammessa solo in presenza di presupposti tassativi e rigorosi.
In particolare, la Corte ha fatto espresso richiamo al quadro normativo internazionale, con particolare attenzione allo Statuto della Corte penale internazionale (CPI), in specie agli artt. 5-8, che delimitano la fattispecie dei crimini internazionali di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità. È stata evidenziata la stringente definizione di tali crimini, che richiedono la sussistenza di condotte tipiche, deliberate e sistematiche, volte a ledere direttamente e consapevolmente diritti fondamentali di gruppi di popolazione civile. L’ordinanza ha escluso che i fatti lamentati dalla ricorrente possano rientrare in tali categorie, rilevando che mancano elementi di dolo specifico, di pianificazione sistematica e di intenzionalità diretta alla lesione di diritti fondamentali.
Ciò ha condotto alla conferma dell’immunità funzionale dello Stato estero, anche in presenza di gravi lesioni di diritti fondamentali, salvo che queste derivino da un’aggressione immediata, diretta e deliberata, non configurata nel caso di specie.
L’atto giurisdizionale ha inoltre valorizzato un interessante precedente di giurisprudenza straniera, con particolare riferimento alla pronuncia della Corte d’Appello del Missouri del 10 gennaio 2024, che ha definito la nozione di “absolute lack of jurisdiction” quale necessario corollario del principio di immunità statale. Tale nozione sottolinea la radicale esclusione della giurisdizione nazionale quando l’atto di Stato non mira intenzionalmente a ledere diritti fondamentali, rafforzando così il confine tra sovranità statale e tutela giurisdizionale.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice nazionale, riaffermando con estrema solennità e chiarezza i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale in materia di immunità degli Stati sovrani, sottraendo alla cognizione del giudice ordinario controversie che, per la loro natura, attengono all’esercizio di potestà pubbliche e all’ambito della sovranità statale estera.
La pronuncia in disamina, oltre a rappresentare un consolidamento giurisprudenziale, costituisce altresì un importante stimolo per una riflessione di più ampio respiro sui limiti della tutela giurisdizionale in relazione ai diritti fondamentali di portata internazionale, sottolineando come la funzione immunitaria non possa essere compressa se non nei casi tassativamente previsti e nella misura strettamente necessaria.
Sebbene ribadisca la centralità del principio di immunità, l’ordinanza non trascura di evidenziare la necessità di promuovere, in ambito multilaterale e internazionale, l’adozione di strumenti efficaci per la responsabilizzazione degli Stati e la prevenzione di danni transnazionali di rilevante portata, rimettendo tale percorso alle sedi e procedure proprie del diritto internazionale e non alla giurisdizione nazionale ordinaria.
La decisione in commento, pertanto, si pone come pietra miliare nella giurisprudenza italiana e internazionale, delineando un confine netto tra sovranità statale e tutela giurisdizionale, e invitando a un equilibrato bilanciamento tra esigenze di tutela dei diritti fondamentali e rispetto della sovranità internazionale, nell’epoca delle sfide globali e degli eventi che influenzano l’intero assetto mondiale.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Civ., Sez. Un., 11 giugno 2024, n. 16136) stralcio a cura di Fabrizio Cesareo
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