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L'errore materiale nella compilazione dell´offerta tecnica non giustifica la sua emendabilità

Ambrogio Ietto.   Il principio di risultato rappresenta una delle grandi novità del nuovo Codice dei contratti pubblici (introdotto con il Decreto Legislativo n. 36/2023).

Nella “Relazione al Codice dei Contratti pubblici”, pubblicata dal Consiglio di Stato prima dell’emanazione del nuovo Codice, esso viene definito come “l’interesse pubblico primario del codice (…) finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività: l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo…”.

Pertanto sin dalla sua introduzione (ed anche prima, come visto) la giurisprudenza nazionale ha assunto il gravoso compito di decifrare un principio così importante eppure dai contorni così incerti.

La sentenza in commento è l’ennesima pronuncia giurisprudenziale volta a chiarire come detto principio di risultato si relaziona con gli altri dettami generali della disciplina dei contratti pubblici.

La particolarità di questa pronuncia è che essa si fonda su una controversia alla quale, ratione temporis, è da applicarsi il vecchio Codice dei contratti pubblici (il D.Lgs. n. 50/2016). Tuttavia la portata innovativa del principio di risultato è tale da assumere rilevanza anche in una controversia a cui, formalmente, detto assioma non risulta applicabile.

Difatti l’iter processuale sorge con il ricorso della società seconda in graduatoria la quale contestava l’assegnazione, da parte della Commissione giudicatrice, di uno specifico punteggio tecnico in favore della società poi risultata aggiudicataria.

In particolar modo, la ricorrente sosteneva che la Stazione Appaltante non potesse tener conto, nella valutazione di detto criterio tecnico discrezionale, di tutta una serie di documenti che l’aggiudicataria aveva presentato dopo la scadenza del termine per la presentazione per le offerte.

A seguito dell’accoglimento del ricorso da parte dell’adito TAR, la società aggiudicataria presentava ricorso in appello sostenendo, “inter alia”, che i documenti prodotti in corso di gara potevano essere oggetto di valutazione da parte della Commissione, andando essi a correggere un mero errore materiale riportato nella documentazione tecnica originariamente prodotta.

A sostegno della propria tesi, l’appellante richiamava anche il menzionato principio di risultato il quale, immanente nel sistema anche se non applicabile “ratione temporis”, imporrebbe alla Stazione Appaltante una valutazione “sostanzialistica” della miglior offerta.

Nell’ottica dell’appellante, quindi, è compito della Stazione Appaltante aggiudicare la gara alla società che ha presentato l’offerta risultata migliore nel corso della procedura, senza farsi condizionare da errori meramente formali commessi da detta società nella presentazione dell’offerta originaria.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento (n. 7798 del 25 settembre 2024), ha totalmente disatteso la linea interpretativa proposta dall’appellante, rigettando il ricorso e confermando la pronuncia di primo grado.

In primo luogo, il Consiglio chiarisce che, nel caso “de quo”, la produzione “postuma” di documenti incidenti sull’offerta tecnica non è configurabile come rettifica di un errore materiale.

Sul punto i giudici chiariscono che “l’errore materiale in cui è incorso l’operatore economico nella compilazione dell’offerta tecnica è emendabile quando, nel contesto dell’offerta, esso è riconoscibile come tale dalla stazione appaltante perché non sussistono dubbi circa la volontà del concorrente, e lo stesso può essere rettificato senza ricorrere a fonti esterne all’offerta”.

Pertanto, prosegue il Collegio, “l’errore materiale che non inficia l’offerta del concorrente deve sostanziarsi in un mero refuso materiale riconoscibile ictu oculi dalla lettura del documento dell’offerta”, con la conseguenza che “la sua correzione deve (…) consistere nella mera riconduzione della volontà (erroneamente) espressa e quella, diversa, inespressa ma chiaramente desumibile dal documento, pena l’inammissibile manipolazione o variazione postuma dei contenuti dell’offerta, con violazione del principio della par condicio dei concorrenti”.

In secondo luogo, il Consiglio si sofferma sulla portata applicativa del principio di risultato.

Sul punto il Collegio, pur ribadendo l’enorme rilevanza che detto assioma riveste nell’operato delle Stazioni Appaltante, conferma quanto espresso dal giudice di prime cure, ovverosia che “l’enfatizzazione del principio del risultato non può portare a massimizzare il valore oggettivo della prestazione offerta sin dall’inizio dall’originario aggiudicatario della commessa”.

Pertanto “non si può ritenere che l’applicazione del ‘principio del risultato’ e del ‘principio della fiducia’ possa consentire all’Amministrazione di violare i criteri che rappresentano il sestante delle procedure di gara, ossia la tutela della concorrenza e la par condicio competitorum”.

Ciò che il Collegio sostiene, quindi, è che il principio di risultato, per quanto dotato di una particolare “vis” normativa, non può essere considerato un viatico per permettere (o, addirittura, obbligare) le Amministrazioni a derogare a dettami cardini della contrattualistica pubblica (quali, ad esempio, l’immodificabilità dell’offerta, la tutela della concorrenza e della “par condicio” etc.).

Peraltro, se è vero che le Amministrazioni devono tendere, in difesa dell’interesse pubblico, all’individuazione dell’offerente “più virtuoso” (in termini di maggior ribasso o di miglior rapporto qualità prezzo, a seconda del criterio di aggiudicazione prescelto), è anche vero che, nella valutazione di siffatta virtuosità, esse devono premiare gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.

Del resto, conclude il Collegio, “all’impresa che partecipa a pubblici appalti è richiesto un grado di professionalità e di diligenza superiore alla media: una diligenza che non riguarda solo l’esecuzione del contratto, ma anche le fasi prodromiche e genetiche, tra cui, in primo luogo quella della redazione degli atti necessari alla partecipazione alla gara”.

In definitiva la linea interpretativa del Consiglio di Stato, delineata già in altre pronunce (“ex plurimis” Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 9812 del 15.11.2023), è la seguente: la procedura e la forma sono un mezzo e non il fine della disciplina sui contratti pubblici (rappresentato, invece, dalla scelta del “miglior offerente” e dal soddisfacimento del fabbisogno giustificativo dell’indizione della procedura di gara) ma ciò non significa che la tutela della concorrenza e del mercato possa essere trascurata o non debba essere adeguatamente perseguita.

Pertanto il principio di risultato deve condurre non ad una deroga dei principi fondamentali della contrattualistica pubblica quanto piuttosto al superamento dei “vuoti formalismi”(sul punto, cfr. anche TAR Trento, Sezione Unica, sentenza n. 181/2023).

Argomento: appalti
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. V, 25 settembre 2024, n. 7798)

Stralcio a cura di Aniello Iervolino

“Come più volte chiarito dalla giurisprudenza di settore, l’errore materiale in cui è incorso l’operatore economico nella compilazione dell’offerta tecnica è emendabile quando, nel contesto dell’offerta, esso è riconoscibile come tale dalla stazione appaltante perché non sussistono dubbi circa la volontà del concorrente, e lo stesso può essere rettificato senza ricorrere a fonti esterne all’offerta. In particolare, è stato chiarito che l’errore materiale che non inficia l’offerta del concorrente deve sostanziarsi in un mero refuso materiale riconoscibile ictu oculi dalla lettura del documento dell’offerta; la sua correzione deve a sua volta consistere nella mera riconduzione della volontà (erroneamente) espressa e quella, diversa, inespressa ma chiaramente desumibile dal documento, pena l’inammissibile manipolazione o variazione postuma dei contenuti dell’offerta, con violazione del principio della par condicio dei concorrenti (Cons. Stato, sez. V, n. 5344 del 2022; id. n. 2592 del 2022; id. 5638 del 2021). Inoltre, come sopra si è specificato, l’operazione di correzione dell’errore materiale deve fondarsi su elementi significativi dell’errore desumibili dall’atto stesso, e non già da fonti esterne, quali atti chiarificatori o integrativi dell’offerta in gara (Cons. Stato, n. 6462 del 2020; id. n. 1347 del 2020), potendo, peraltro, l’interprete fare ricorso a una, purchè minima, attività interpretativa, finalizzata alla correzione di errori di scritturazione o di calcolo (Cons. Stato, n. 1034 del 2023; id. n. 2022 del 5344; id. n. 1487 del 2014). Nella specie, la OMISSIS ha inteso effettuare una rettifica postuma dell’offerta tecnica, a mezzo di produzione documentale versata negli atti di gara in data 4.8.2023, dopo il termine di scadenza per la partecipazione alla gara (il 24.7.2023) e nell’ambito del sub – procedimento di valutazione dell’anomalia, e soprattutto pur avendo ribadito che i mezzi offerti in gara erano di classe Euro 6.D, in questo modo alterando successivamente i contenuti dell’offerta tecnica, e perseguendo un vantaggio competitivo in violazione principio di parità tra i concorrenti. Come evidenziato dal T.A.R., “tali atti si riferiscono ad autobus diversi da quelli tempestivamente [continua ..]

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