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La legittimità di opere eseguite sotto la vigenza di un permesso di costruire, ma non completate prima della sua decadenza
Marialaura Carrella.
Con sentenza non definitiva del 7 marzo 2024, la II Sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza Plenaria alcuni interrogativi inerenti «la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio». Ciò al fine di dirimere i contrasti giurisprudenziali concernenti la possibilità di applicare l’ordine di demolizione (ex art. 31 del d.P.R. 380/2001 - Testo Unico dell’Edilizia) in simili casi.
La questione, a ben vedere, si inserisce nel più ampio peculiare contesto finalizzato al contemperamento della salvaguardia della conformità urbanistica con la tutela dell’affidamento del privato che abbia agito sulla base di un titolo originariamente valido.
La controversia giunta all’attenzione del giudice nomofilattico trae origine dal contenzioso instaurato dal proprietario di un’area, il quale si era visto notificare dal Comune un ordine di demolizione - ai sensi dell’art. 31 TUE (d’ora in avanti solo art. 31) – delle opere realizzate, benché non ultimate, allo scadere del termine di efficacia del permesso di costruire.
Più precipuamente, all’iniziale avvio della costruzione delle opere, era seguita l’interruzione dei lavori conseguente ad un’indagine penale, sfociata poi in una sentenza che condannava sia i commissari ad acta che avevano rilasciato il permesso di costruire, sia il proprietario dell’area.
Tale pronuncia, confermata in appello, aveva accertato “la assoluta e macroscopica illegittimità del permesso a costruire n. 33 del 24.11.2010”.
Nonostante il quid decisum, il Comune, pur consapevole dell’illegittimità del titolo, non provvedeva tuttavia ad annullarlo, limitandosi invece a dichiararne l’avvenuta decadenza a causa dello spirare del termine di ultimazione dei lavori.
Di conseguenza, l’impossibilità di ottenere un nuovo titolo che consentisse il completamento delle opere ha successivamente indotto l’Amministrazione medesima a ordinarne la demolizione ai sensi dell’art. 31 sopra richiamato.
In tal senso, la norma stabilisce che in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, in totale difformità rispetto a quanto autorizzato, oppure con variazioni essenziali, il Comune debba ordinare la demolizione delle opere eseguite. Qualora il proprietario non vi provveda, il bene e l’area di sedime sono acquisiti ope legis gratuitamente al patrimonio del comune.
Tuttavia, nel caso di specie, dal momento che le opere parzialmente eseguite si fondavano comunque su un titolo valido, inizialmente rilasciato, anche se poi dichiarato decaduto, la fattispecie non poteva dirsi coincidere pedissequamente con quella di totale assenza del permesso di costruire.
Da qui, pertanto, le perplessità della Sezione rimettente sull’applicabilità dell’art. 31 in simili circostanze.
Il Collegio, in primo luogo, richiamava scrupolosamente i principi desumibili dalla giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato secondo cui «le opere eseguite sulla base di un efficace titolo edilizio non possono essere oggetto di ordine di demolizione ex art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, che riguarda le opere eseguite abusivamente, sicché – data la tassatività delle norme sanzionatorie – tale previsione non potrebbe essere estesa a fattispecie non espressamente contemplate».
A tal riguardo, osservava che «l’art. 38 dello stesso testo unico ha previsto, nel caso di “interventi eseguiti in base a permesso di costruire, poi annullato”, la possibilità che in luogo dell’ingiunzione a demolire possa essere applicata dall’Amministrazione una sanzione pecuniaria che quindi lasci salve le opere”, con la conseguenza che “striderebbe con i principi ritraibili dall’esame comparativo di tali norme un’applicazione estensiva della più grave sanzione demolitoria ex art. 31 del T.U. prima citato, in una fattispecie di opere eseguite in conformità ad un titolo (nemmeno rimosso ma semplicemente) decaduto».
Alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo evidenziava, dunque, che il Testo Unico dell’Edilizia distingue chiaramente tra le ipotesi di abuso edilizio “assoluto” e quelle, invece, in cui le opere siano state realizzate sulla base di un titolo edilizio divenuto inefficace per motivi successivi al rilascio.
In quest’ultimo scenario, l’applicazione indiscriminata dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31 rischierebbe di confliggere con il principio di tassatività delle sanzioni amministrative, laddove la legge prevede espressamente una disciplina sanzionatoria alternativa e di minor impatto, quale la sanzione pecuniaria ex art. 38 cit. nel caso di annullamento del permesso.
La necessità di tutelare l’affidamento del privato che abbia agito in presenza di un titolo originariamente valido – e non già in difformità o totale assenza del medesimo – impone, quindi, un’interpretazione rigorosa delle norme sanzionatorie, evitando che l’ordine di demolizione possa essere disposto in fattispecie non espressamente contemplate dal legislatore, come accadrebbe estendendo in via analogica la disciplina di cui all’art. 31.
In risposta ai quesiti interpretativi sopra riportati, l’Adunanza Plenaria, con sentenza del 30 luglio 2024, n. 14, ha offerto una approfondita rilettura dell’art. 31, soffermandosi, principalmente, sul concetto di “divergenza tra consentito e realizzato”.
L’Adunanza, preliminarmente, ha sottolineato che l’art. 31 equipara, ai fini sanzionatori, l’edificazione in assenza di permesso di costruire, quella in totale difformità e quella con variazioni essenziali. La “totale difformità”, tuttavia, non si verifica soltanto in caso di ampliamento non autorizzato, bensì anche laddove la costruzione rimanga incompleta e presenti le caratteristiche di un “aliud pro alio”, ovvero un manufatto realizzato diverso, per struttura o funzione, da quello assentito.
A parere del Collegio, dunque, «nei casi di ‘divergenza tra consentito e realizzato’ rientra il “non finito architettonico”, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato” con la conseguenza che deve ritenersi sussistente “il fondamento normativo per disporre la restituzione in pristino – in caso di decadenza del permesso di costruire – qualora siano state eseguite solo opere parziali, non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale e funzionale».
Tale ipotesi ricorre, ovviamente, qualora non sia possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo, il che esclude in nuce la possibilità di ultimare le opere iniziate affinché le stesse possano corrispondere a quanto assentito dal permesso di costruire.
Ricadono in questa categoria, ad esempio, la semplice realizzazione dei pali di fondazione, gli scavi, la costruzione di pilastri isolati o di una struttura in cemento armato priva di tamponature (il cosiddetto “scheletro”). Tali opere sono caratterizzate da una grave incompletezza, non superabile nemmeno con il rilascio di un ulteriore permesso di costruire, e contribuiscono al degrado dell’ambiente circostante.
Pertanto, la demolizione e la riduzione in pristino sono misure necessarie per evitare la permanente deturpazione del territorio.
Sulla scorta di tali considerazioni, l’Adunanza Plenaria soggiunge, poi, che l’art. 31 non deve essere applicato indiscriminatamente a tutte le ipotesi di mancato completamento delle opere, ma solo a quelle “prive di autonomia, scindibilità e funzionalità”.
In altre parole, se le opere realizzate non sono in grado di assolvere a una funzione autonoma o non possono essere distinte dal resto dell’intervento previsto, il Comune deve ordinarne la demolizione e la riduzione in pristino.
Al contrario, se il permesso di costruire ha previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio, più villette) «gli immobili edificati […] devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire». In tal caso, le opere residue (minori e non strutturali) non richiedono necessariamente un nuovo permesso di costruire e il titolo originario può essere considerato “frazionabile”.
Un’ulteriore ipotesi considerata dall’Adunanza Plenaria interessa i casi in cui le opere, pur incomplete, risultino comunque funzionalmente autonome e presentino difformità non gravi. In tali situazioni «l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.» che prevede misure diverse dalla demolizione.
Inoltre, conclude il Consiglio di Stato, resta ferma «la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica».
Infine, per quanto riguarda l’eventualità di applicare l’art. 38 del T.U. in luogo dell’art. 31, l’Adunanza Plenaria precisa che «non sono fondati i dubbi di proporzionalità evocati dalla Sezione remittente tra la disciplina recata dall’art. 38 e quella dell’art. 31 del testo unico: l’abuso, sanzionato con la demolizione, infatti, deriva dalla accertata “divergenza tra consentito e realizzato” che non sussiste nell’ipotesi dell’art. 38 cit., in quanto in quel caso il legislatore ha ritenuto di disciplinare una fattispecie peculiare, caratterizzata dall’annullamento del permesso di costruire e dalla conformità delle opere al titolo ormai annullato».
In sintesi, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che:
- la ratio della disciplina sull’efficacia temporale dei titoli edilizi è quella di avere una certezza temporale riguardo le attività di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, che per propria natura è frazionata nel tempo, al fine di impedire che l’eventuale modifica delle previsioni pianificatorie possa essere condizionata senza limiti temporali da antecedenti permessi di costruire, salva la possibilità per l’interessato di chiedere una proroga del termine prima della scadenza;
- il permesso di costruire ha la funzione di assicurare che gli interventi edilizi siano realizzati in conformità con la disciplina pianificatoria e permette al privato di edificare esclusivamente il fabbricato specificamente descritto nel progetto
- la totale difformità dal titolo, sanzionata dall’art. 31 TUE, si verifica anche in caso di mancato completamento della costruzione, quando siano state realizzate solo opere parziali non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale e funzionale (c.d. "scheletro" e "non finito architettonico") e non possa essere rilasciato un nuovo permesso di costruire per completarle;
- l'opera c.d. incompiuta determina di per sé un degrado ambientale e paesaggistico;
- dopo la decadenza del permesso di costruire, spetta al Comune constatare la "divergenza tra consentito e realizzato" ed adottare le determinazioni conseguenti.
L’Adunanza Plenaria ha poi enunciato i seguenti principi di diritto:
- le opere incomplete, se non autonome e funzionali, devono essere demolite dal Comune ai sensi dell'art. 31 TUE, poiché eseguite in totale difformità dal permesso di costruire;
- se il permesso di costruire riguarda più costruzioni autonome (es. villette), i manufatti autonomi, anche se incompleti, si considerano dotati di titolo, purché abbiano tutti gli elementi essenziali e richiedano solo opere minori non soggette a nuovo permesso.
- per le opere parzialmente edificate, autonome ma con difformità non gravi rispetto al titolo edilizio, l'Amministrazione può applicare la sanzione ex art. 34 TUE, con possibilità per l'interessato di chiedere l'accertamento di conformità ex art. 36 TUE.
Sezione: Adunanza Plenaria
(Cons. St., Ad. Plen., 30 luglio 2024, n. 14)
Stralcio a cura di Aniello Iervolino
Keywords: permesso edilizio - demolizione opere abusive - incompletezza - autonomia