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È legittimo il vincolo culturale apposto, congiuntamente, su un edificio storico e le collezioni contenute al suo interno, quando abbiano un legame simbiotico che le renda inscindibili, a prescindere dalla loro eterogeneità, e tale vincolo non contrasta con il diritto unionale
Luca Del Prete.
La sentenza che si commenta attiene ad uno degli ambiti più fecondi del dibattito dottrinale e giurisprudenziale, vale a dire il tema della discrezionalità tecnica, dell’individuazione della linea di confine tra questa ed il merito amministrativo e della conseguente natura ed estensione del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
L’occasione per riflettere su questi argomenti è data – e non a caso – da una vicenda tratta dal settore dei beni culturali, in particolare dall’impugnazione di un provvedimento che oltre a dichiarare l’eccezionale interesse culturale di alcune collezioni d’arte, ne ha riconosciuto il vincolo pertinenziale rispetto all’immobile – anch’esso di interesse culturale – che le ospita.
Tale atto viene impugnato evidenziando, tra l’altro, l’illogica e arbitraria violazione del principio di proporzionalità in merito all’imposizione di un vincolo unitario tra le collezioni ed il Palazzo.
Tale motivo di ricorso assume rilievo centrale nell’approfondimento delle tematiche sopra evidenziate in quanto la valutazione della fondatezza di tale assunto costituisce l’occasione per riflettere sulla latitudine del sindacato giurisdizionale sull’esercizio della discrezionalità. A tal fine appare necessario introdurre brevemente i concetti di discrezionalità tecnica e di merito amministrativo, al fine di delimitare le sfere di competenza attribuite, rispettivamente, alla pubblica amministrazione e all’autorità giurisdizionale.
A differenza della discrezionalità amministrativa – che si sostanzia in un bilanciamento tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’azione amministrativa - la discrezionalità tecnica si caratterizza per l’utilizzo di regole tecniche al fine di analizzare e valutare i presupposti di una scelta ed il suo procedimento applicativo. Le due tipologie di discrezionalità sono accomunate certamente dal fatto di consistere in una scelta – la quale ontologicamente porta con sé un certo margine di soggettività, particolarmente accentuato nel settore dei beni culturali – ma anche del rinvenire il proprio limite esterno nel merito amministrativo, che è ambito dominato dal criterio pregiuridico dell’opportunità e della convenienza.
In altri termini, con la discrezionalità tecnica l’amministrazione, per provvedere su un determinato oggetto, non opera una valutazione comparativa tra interessi contrapposti, ma ricorre a norme tecniche specifiche – quelle a cui le norme giuridiche attribuiscono rilevanza - per la valutazione dei presupposti dell’esercizio del potere e per il dispiegarsi del potere nell’atto.
Il merito, invece, occupa l’area dell’opportunità e della convenienza della scelta, che rimane nell’ambito pregiuridico e che si sostanzia nella c.d. riserva di amministrazione.
Tale impianto così sinteticamente delineato appare del tutto conforme con il principio di separazione dei poteri che pone esclusivamente in capo alla pubblica amministrazione il compito di governare la materia ad essa attribuita dalle norme, e all’autorità giurisdizionale la funzione di verificare le modalità di esercizio del potere.
Tali funzioni non sono perfettamente sovrapponibili, benché entrambe dominate dal principio di legalità. Infatti, il merito costituisce elemento specializzante della sola attività amministrativa e dunque, da questo punto di vista si giustifica l’attribuzione alla sola amministrazione di un’area riservata di insindacabilità del proprio agere, perché la valutazione di opportunità e di convenienza di una scelta costituiscono il proprium ontologico soltanto dell’esercizio di un potere, ma non della sua valutazione sulla base di parametri di legittimità. Tali considerazioni però non riguardano gli apprezzamenti tecnici che quindi devono poter essere apprezzati quanto a criterio prescelto e quanto al suo procedimento applicativo. Questo costituisce un approdo ormai cristallizzato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato la quale, partendo da un’iniziale inclusione della discrezionalità tecnica nell’ambito del merito e quindi dell’insindacabilità giurisdizionale (Cons. di Stato, IV, 4 marzo 1980, n. 142; Cons. di Stato, IV 19 marzo 1980, n. 270), è giunta a definire in termini di ragionevolezza la sola preclusione al sindacato giurisdizionale del merito amministrativo. Infatti ,è solo questo l’ambito caratterizzante le funzioni di ‘governo’ dell’amministrazione che, svolgendosi sulla base di parametri pregiuridici di opportunità e di convenienza, sfuggono fisiologicamente ad una verifica di legittimità. Tale ragionamento non vale invece per gli apprezzamenti tecnici che quindi devono poter essere sottoposti ad un «controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, anche in punto di verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della correttezza in relazione al criterio tecnico utilizzato e dell’iter procedimentale seguito».
Questo chiarisce il fondamento del limite del sindacato del giudice amministrativo il quale, per natura stessa delle funzioni che gli sono attribuite, deve limitarsi solo a verificare se la risposta data dall’Amministrazione rientri nell’ambito di quelle tecnicamente plausibili sulla base - per usare una locuzione cara alla dottrina penalistica – della miglior scienza ed esperienza del momento storico. Ma deve arrestarsi a fronte della valutazione dell’opinabilità dell’apprezzamento svolto, in quanto questo segmento di attività, che non ha un preciso parametro giuridico di definizione in termini di legittimità, è proprio solo dell’attività amministrativa.
In questo senso va intesa la usuale locuzione secondo la quale al giudice amministrativo non è consentito sostituire la propria valutazione rispetto a quella dell’amministrazione, a meno che le norme non gli attribuiscano giurisdizione estesa al merito, incorrendo altrimenti in un eccesso di potere giurisdizionale dovuto ad una sostanziale usurpazione di attività estranee alle sue attribuzioni.
Pertanto ,appare evidente come l’accennato atteggiarsi dell’attività amministrativa sul versante sostanziale definisce anche, sul versante processuale, i confini e l’estensione del sindacato di legittimità del giudice amministrativo, che costituisce uno degli aspetti sui quali la pronuncia in esame si sofferma più diffusamente.
Definita quindi la latitudine del sindacato di legittimità, che dunque si estende anche all’esercizio della discrezionalità tecnica, la questione si sposta sulla natura di tale sindacato e quindi sui poteri del giudice nell’accertamento del fatto.
Superata l’angusta contrapposizione tra sindacato forte e sindacato debole (a partire dalla sentenza della IV sezione 9 aprile 1999, n. 601), la giurisprudenza si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva è l’esercizio di un sindacato che costituisca piena attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Infatti solo a queste condizioni il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica può costituire una reale garanzia della legalità dell’azione amministrativa.
Su questo versante, e sempre ribadendo il limite costituito dal divieto di sostituzione delle valutazioni operate dall’amministrazione con una propria ritenuta migliore, è necessario che il giudice abbia pieno accesso al fatto, potendo a tal fine essere assistito da tutti gli strumenti istruttori che consentono di supplire o integrare le conoscenze tecnico-specialistiche necessarie alla più completa conoscenza di tutti gli elementi del fatto e ad una loro autonoma valutazione in termini di ragionevolezza, legalità e coerenza.
Pertanto laddove il criterio individuato dall’amministrazione ed il suo procedimento applicativo rispondano ai canoni sopra evidenziati – come nel caso in esame - la conclusione non potrà che essere in termini di legittimità e di ragionevolezza delle scelte operate.
Detto altrimenti, con il solo limite del divieto di correzione delle (opinabili e/o non condivisibili) scelte amministrative, tale orientamento rispetta la ripartizione di poteri tra amministrazione e giudici, evitando il formarsi di ingiustificate sacche di insindacabilità dell’azione amministrativa.
Tale conclusione si presenta coerente non solo con i principi dell’ordinamento interno ma anche con la normativa sovranazionale ed in particolare con gli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU e l’art. 47 della Carta di Nizza, secondo i quali il principio di effettività della tutela giurisdizionale postula un giudizio che si concluda con un provvedimento idoneo ad assicurare piena tutela all’interesse azionato.
Questo assunto, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta non che il giudice invada la sfera riservata al merito amministrativo, ma che, nell’ambito delle proprie attribuzioni, sia posto nella condizione di poter pienamente valutare la ragionevolezza delle scelte operate sulla base di parametri di legittimità.
Ciò che equivale ad assegnare al giudice il compito di valutare se la scelta effettuata sia quella dotata di maggior attendibilità con riferimento a tutte le figure sintomatiche dell’illegittimità dell’azione amministrativa, senza che il suo sindacato si possa estendere anche ad una valutazione di opportunità della stessa.
Si tratta quindi di un sindacato pieno che involge tutti gli aspetti che vengono in rilievo per la discrezionalità tecnica (e amministrativa), senza aprioristiche limitazioni dei suoi poteri.
In tal senso quindi la limitazione del sindacato giurisdizionale – pieno ma non sostitutivo - alla sola discrezionalità dell’azione amministrativa costituisce piena attuazione del diritto europeo in quanto presidio del principio di separazione dei poteri (e di quello di effettività della tutela giurisdizionale) che costituisce parte del patrimonio costituzionale interno ed europeo. Pretendere che il giudice possa sostituirsi alla pubblica amministrazione ne minerebbe l’autonomia il cui fondamento ha rilievo costituzionale.
Sezione: Consiglio di Stato
(Cons. St., sez. VII, 17 dicembre 2024, n. 10140)
Stralcio a cura di Davide Gambetta
Keywords: collezioni - edifici storici - beni culturali - vincolo culturale - proprietà privata - bilanciamento interessi