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Il riconoscimento dell'omogenitorialità rappresenta una scelta non costituzionalmente imposta rimessa al legislatore

Filomena Passamano

(…) Nel corso di un giudizio per rettifica di atto di nascita – proposto da due donne, le quali, premesso di essere unite civilmente e di avere, una di esse con il consenso dell’altra, avviato (all’estero) pratica di fecondazione medicalmente assistita dalla quale è nato un bambino, chiedevano dichiararsi l’illegittimità del rifiuto opposto dall’Ufficiale dello stato civile alla loro richiesta congiunta di indicare il minore come figlio di entrambe e non della sola partoriente – l’adito Tribunale ordinario (…), ritenutane la rilevanza, ha sollevato, con l’ordi­nanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), «nella parte in cui limita la tutela … delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai “soli diritti … e doveri nascenti dall’unione civile”», e dell’art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.P.R. 30 gennaio 2015, n. 26 (Regolamento recante attuazione dell’articolo 5, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, in materia di filiazione), nella parte in cui «limita la possibilità di indicare il solo genitore “legittimo, nonché di quelli che rendono … o hanno dato il consenso ad essere nominati” e non anche alle donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso (all’estero) a procreazione medicalmente assistita», in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117 [primo comma] della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a [continua ..]

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Nota di Filomena Passamano

Nella sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 20, l. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) e dell’art. 29, co. 2, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, co. 12, l. 15 maggio 1997, n. 127). Nel caso in esame, il Tribunale ordinario è stato chiamato a pronunciarsi in seguito al rifiuto del riconoscimento del diritto all’omogenitorialità, ovvero al rifiuto dell’Ufficiale dello Stato civile alla richiesta di due donne, unite civilmente, di indicare il minore come figlio di entrambe e non della sola partoriente. Viste la rilevanza della fattispecie in esame e la sua non manifesta infondatezza, il Tribunale ha sollevato, dinanzi alla Corte Costituzionale, la “questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (…), «nella parte in cui limita la tutela (...) delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai soli diritti (...) e doveri nascenti dall’unione civile», e dell’art. 29, comma 2, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, (…), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del D.P.R. 30 gennaio 2015, n. 26 (…)”, in quanto in contrasto “agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117 [primo comma] della Costituzione”, escludendo, così, i diritti del minore, nato in Italia ma concepito all’estero mediante fecondazione medicalmente assistita, e della c.d. madre intenzionale unita civilmente a quella biologica. In via preliminare, la Consulta si è pronunciata sull’ammissibilità dell’intervento dell’Avvocatura LGBT, escludendola, “poiché titolare di meri interessi indiretti e generali correlati ai suoi scopi statutari e non di un interesse direttamente riconducibile all’oggetto del giudizio principale”. Con ampia e articolata motivazione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione. La Consulta, inizialmente, ha appoggiato la tesi delle ricorrenti, confermando, dunque, che “la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione [continua ..]

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