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Composizione del divario tra forma contabile e sostanza giuridica nelle operazioni di finanziamento della s.a.s.

Vincenzo Iaia

(…) Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. Rileva il ricorrente che due circostanze poste dalla Corte di appello a fondamento del ragionamento presuntivo risultavano prive dei requisiti della gravità e della precisione. In particolare, il fatto che il capitale iniziale fosse esiguo e non sufficiente per l’acquisto dell’unità immobiliare non imponeva, quale conseguenza necessitata, che le ulteriori erogazioni pecuniarie fatte alla società avessero natura di conferimento di capitale sociale (…). Il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2 e art. 1371 c.c. Sostiene l’istante che il giudice distrettuale avrebbe trascurato il dato dell’iscrizione in bilancio delle erogazioni rilevando come la natura del versamento ben possa essere ricavata, sul piano interpretativo, dalla terminologia adottata nel detto documento, che è soggetto all’approvazione dei soci: questi, infatti, attraverso la detta approvazione, attribuiscono evidenza alla loro comune intenzione circa la qualificazione da dare all’erogazione del socio in favore della società (…). Il terzo motivo oppone la violazione o falsa applicazione dall’art. 2697 c.c. Partendo dal rilievo per cui, in caso di dubbio sulla natura giuridica di un versamento fatto dal socio, il criterio determinante è quello del modo della iscrizione della posta in bilancio, l’istante rileva come nel bilancio del 2005 le rimesse da lui eseguite erano state annotate tra i finanziamenti. Doveva quindi ritenersi provato che tale era la reale natura dei versamenti da lui eseguiti. I due motivi, da scrutinarsi insieme, sono infondati. L’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili denominazioni). Tale ultimo contributo non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, [continua ..]

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Nota di Vincenzo Iaia

Con la sentenza in oggetto, la Suprema Corte di Cassazione (di seguito S.C.) ha fornito dei chiarimenti sui criteri utili alla corretta determinazione della natura giuridica delle erogazioni provenienti da un socio di s.a.s. Il rilievo della medesima si apprezza in considerazione di una lettura ermeneutica che pare abbinare l’art. 1362, co. 1, c.c., con l’art. 2467 c.c. In particolare, la quaestio iuris è incentrata sulla qualificazione alternativa come apporto di capitale di rischio o di debito dei versamenti elargiti da un socio accomandante pari alla somma di € 322.400,00 in favore di una s.a.s. costituita con un capitale sociale di € 2.000,00 aventi l’obiettivo di acquistare un immobile che sarebbe poi stato a disposizione dell’accomandante per l’esercizio della sua attività professionale. La controversia è sorta dal fatto che il socio limitatamente responsabile avesse chiesto la restituzione ad libitum di tali somme in quanto erogate a titolo di finanziamento, mentre la socia accomandataria (nonché moglie dell’accomandante) sosteneva che esse dovessero reputarsi come veri e propri conferimenti, non restituibili se non in sede di liquidazione. I Giudici di merito sono pervenuti a conclusioni opposte dal momento che il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla socia accomandataria laddove la Corte distrettuale ha escluso l’immediata esigibilità dei richiamati apporti, valorizzando una serie di elementi che propendevano per la loro qualificazione come versamenti in conto capitale. Tra questi, ha avuto efficacia dirimente la circostanza per la quale la sottocapitalizzazione della società – rispetto all’obiettivo da essa perseguito – non consentisse di reperire finanziatori diversi dai suoi stessi soci, sì da poter ritenere che l’accomandante fosse ben conscio della destinazione economica irreversibile impressa ai fondi in discorso. Nel giudizio instaurato dall’accomandante innanzi alla S.C. egli contestava specialmente l’errata interpretazione dell’art. 1362, co. 1, c.c., per l’omessa considerazione dei documenti contabili in cui le rimesse venivano registrate come versamenti in conto finanziamento soci, dovendo così privilegiare l’interpretazione letterale del rapporto che le inquadrava nella fattispecie del mutuo. Il ricorso è stato [continua ..]

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