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L´assestamento del rapporto tra dumping, concorrenza sleale e abuso di posizione dominante

Vincenzo Iaia

Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 2980

Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata non ha operato una valutazione complessiva dei comportamenti di controparte, e limitandosi alla loro considerazione parcellizzata, mentre la vendita sottocosto si inseriva in una più ampia strategia di concorrenza parassitaria. Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. oltre all’omesso esame di fatto decisivo, con riguardo al motivo di appello concernente le spese processuali del primo grado, liquidate dal tribunale a carico della M.E.D.I.A. s.r.l. per i due terzi, con compensazione di un terzo, pur avendone parzialmente accolto le pretese (…). Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Con riguardo alla concorrenza parassitaria, la corte d’appello ha correttamente applicato il principio espresso da questa Corte (Cass. 20 luglio 2004, n. 13423), che ne ha definiti i caratteri, secondo cui la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598 c.c., n. 3, consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del o dall’ultima e più significativa di esse, vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore (…). Con riferimento alla vendita sottocosto è stata descritta da questa Corte, in modo più discorsivo, come la vendita di “prodotti sul mercato ad un prezzo particolarmente basso, tale da non apparire (almeno nell’immediato) remunerativo per l’offerente, ma, per ciò stesso, idoneo a porre in difficoltà i concorrenti che praticano un prezzo più elevato” (così Cass. 26 gennaio 2006, n. 1636) o come artificioso abbattimento sottocosto dei prezzi non giustificato dalle obiettive condizioni di acquisto dei beni (così Cass. 20 marzo 2009, n. 6865, non massimata). Si parla anche di vendita c.d. a prezzi predatori, perché inferiori in sostanza ai costi di produzione, o dumping interno (voce derivata dall’inglese medievale dumpen o dompen, a sua [continua ..]

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Nota di Vincenzo Iaia

Con l’ordinanza in epigrafe, la Suprema Corte di Cassazione (di seguito S.C.) si è occupata di perimetrare il confine entro il quale la vendita sottocosto (tradotta nel termine anglosassone dumping) integri un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c. Più precisamente, nel giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Milano, la società attrice domandava l’accertamento dell’integrazione da parte della società convenuta di una serie di atti di concorrenza sleale, corrispondenti ai tre numeri di cui all’art. 2598 c.c., segnatamente – rispettando l’ordine numerico – l’imitazione servile, la concorrenza sleale denigratoria e la c.d. concorrenza sleale “atipica”, nella forma della vendita sottocosto. Le condotte integranti i primi due numeri della norma in parola sono state pacificamente escluse nelle more dei giudizi di merito, laddove è risultata foriera di alcuni dubbi ermeneutici la questione circa l’ambito estensivo entro il quale la vendita di beni o servizi a prezzi inferiori rispetto al costo di produzione, nonché rispetto al costo medio sostenuto dagli altri imprenditori [1], potesse qualificarsi come atto contrario ai parametri di correttezza professionale, ex art. 2598, n. 3, c.c. A tal proposito, giova ricordare anzitutto, seppur in estrema sintesi, alcune delle soluzioni proposte dalla dottrina in ordine all’identificazione dell’esatto elemento determinante l’illiceità della vendita sottocosto: (i) la lunghezza della durata della pratica [2], (ii) l’animo di annientare i rivali, (iii) la detenzione di una posizione di forza economica sul mercato [3]. A fronte delle ricostruzioni dottrinali in discorso, vanno altresì menzionate le due opzioni esegetiche sviluppatesi intorno al dumping prospettate dalla giurisprudenza. La prima si innesta sul presupposto che le vendite a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dalle imprese concorrenti rientri nella lecita competizione di mercato limitatamente ai casi in cui la possibilità di applicazione del ribasso sia la conseguenza dell’ottenimento di economie scala tali da abbattere i costi di produzione. Tale pratica sarebbe, quindi, affetta da illiceità ogniqualvolta la riduzione del prezzo sia il frutto di una strategia di marketing atta ad alterare «subdolamente ed illusoriamente» [continua ..]

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