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Vendita di criptovalute online: integra il reato di abusivismo finanziario di cui all´art. 166 TUF se proposta come investimento

Ilenia Seminerio

(Cass. Pen., Sez. II, 17 settembre 2020, n. 26807)

“1.1 (…) Nel caso in esame, quanto all’elemento soggettivo del reato, il Tribunale ha risposto al primo motivo di ricorso, avendo ricostruito l’intera vicenda, e in particolare osservando che: vi era stata una truffa ai danni di Me.An., per il quale era stato utilizzato un conto ING Bank, alimentato con un bonifico da lui effettuato e con altri due bonifici, sempre relativi ad una truffa e ad un furto di identità; il conto ING Bank era stato immediatamente svuotato con due bonifici a favore di un conto corrente acceso in Germania presso la N26 Bank GMBH intestato ad A.S., aperto on line mediante l’invio anche di un numero di telefono riconducibile all’indagato D.R.G., figlio della A.; nella movimentazione in uscita del conto tedesco risultavano due ricariche postepay per l’acquisto di criptovalute, la prima mediante il sito (OMISSIS), e la seconda a favore di L.E.P., che aveva dichiarato di avere trattato ia vendita con un soggetto con nickname “(OMISSIS)” tramite utenza telefonica intestata a D.R.G. (la foto inserita da “(OMISSIS)” sul suo profilo whatsapp corrispondeva a quella di D.R.G.); altro conto su cui erano finiti i proventi di truffe, intestato a D.R.A., aveva avuto uscite sul già citato conto N26 e su un conto aperto on line intestato a D.R.D. (sorella di D.R.G.) su banca WIDIBA, per l’apertura del quale era stata fornita l’utenza telefonica di D.r.G. tutto ciò premesso, il Tribunale traeva la logica conclusione della sussistenza dell’elemento psicologico relativo al reato di cui all’art. 648 bis c.p.; va infatti osservato che l’indagato non si è limitato ad occuparsi di acquisto e cessione di criptovalute, ma si è inserito attivamente nella apertura di conti correnti sui quali confluivano i proventi delle truffe, che venivano poi utilizzati per le relative transazioni, per cui appare esente da censura la motivazione del Tribunale secondo cui “le citate circostanze in sede di indagini appaiono difficilmente compatibili con un atteggiamento psicologico diverso dal dolo in relazione al reato di cui al capo A)” (…). 1.2 Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con il quale viene sostenuto che poiché le valute virtuali non sono prodotti di investimento, ma mezzi di pagamento, le stesse siano sottratte alla normativa in materia di strumenti finanziari: tale censura non si [continua ..]

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Nota di Ilenia Seminerio

Con la pronuncia in commento la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione si è espressa, in sede cautelare, su questione quantomai dibattuta in tema di cryptocurrency crimes: la qualificazione giuridica delle criptovalute e la configurabilità del reato di abusivismo finanziario nell’ipotesi di vendita online di bitcoins. La questione traeva origine dal ricorso presentato dalla difesa avverso il provvedimento con il quale il Tribunale del riesame di Milano confermava il sequestro preventivo, disposto dal Gip, di fondi ed altri beni ritenuti pertinenti ai reati di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento (art. 493 ter c.p.) ed abusivismo finanziario (art. 166, comma 1, lett. c), d.lgs. 58/98), ascritti all’indagato. Tra le doglianze esposte, figurava l’omessa valutazione dei nuovi motivi che la difesa adduceva a sostegno della mancanza dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Di contro, la Cassazione condivideva la ricostruzione del giudice cautelare, secondo cui le circostanze emerse in sede di indagine apparivano “difficilmente compatibili con un atteggiamento psicologico diverso dal dolo”. Riteneva, infatti, che l’indagato non soltanto avesse acquistato e venduto criptovalute, ma che si fosse, altresì, prodigato attivamente al fine di consentire il reimpiego dei proventi degli illeciti realizzati online. Più in particolare, si accertava che il denaro frutto della truffa ai danni della vittima confluiva, insieme ad altri proventi delittuosi, su un conto ING Bank e che questo veniva, poi, svuotato in favore di un altro conto online presso una banca tedesca, acceso anche mediante l’invio di un numero telefonico riconducibile all’indagato. Nella movimentazione in uscita del conto tedesco, poi, risultavano alcune carte prepagate con le quali venivano acquistate criptovalute mediante nickname virtuali, cui corrispondeva l’utenza telefonica dell’indagato; questa, di fatto, figurava anche in altri conti online, sui quali – con il medesimo meccanismo – venivano fatti confluire i proventi di altri illeciti. La difesa rivendicava, poi, la non estensibilità al caso di specie della normativa prevista per gli strumenti finanziari, escludendo, quindi, la sussistenza del reato di abusivismo. Obiettava, infatti, che la valuta virtuale bitcoin fosse strumento di pagamento e non [continua ..]

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