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Connivenza o concorso: tratti distintivi

Mattia Cutolo

(Cass. Pen., Sez. IV, 7 dicembre 2020, n. 34754)

“3. (…) Rileva la Corte territoriale come (…) benché non sia dato sapere quale era il tenore degli accordi intercorsi tra tali soggetti, il F. anche in questo caso aveva coadiuvato il P. e proprio lui aveva consegnato uno dei sacchetti con lo stupefacente al G. a cui veniva sequestrato immediatamente dopo. E ad ulteriore riscontro che il F. fosse pienamente consapevole dell’attività illecita svolta dal P. e che lo coadiuvasse nella stessa, offrendo il proprio contributo, vengono eloquentemente richiamati anche i fatti del 22 maggio 2013 quando i due venivano arrestati mente si recavano a consegnare la droga al Ba., tanto che circa 200 grammi di cocaina in quella occasione venivano trovati dentro il filtro dell’aria della Seat Cordoba guidata proprio dal F. Difficile, dunque, in un quadro di rapporti così delineato, parlare di mera connivenza non punibile. La sentenza impugnata opera un buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui la connivenza non punibile, riguardo alla disciplina degli stupefacenti, può essere integrata solo da un comportamento meramente passivo, mentre costituisce concorso nel delitto il contributo manifestato anche solo in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento e il controllo della droga, assicurando al concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale egli può contare. Questa Suprema Corte ha più volte espresso il principio – che va qui ribadito– secondo il quale la distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile ed il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 c.p., è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (cfr. (…) Sez. 3, n. 41055 del 22/9/2015, Rapushi ed altro, Rv. 265167, relativa ad un caso in cui la Corte ha escluso che fosse sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente l’accertamento di un rapporto di [continua ..]

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Nota di Mattia Cutolo

La sentenza ad oggetto inerisce ai criteri discretivi adottati dai giudici di legittimità per poter definire quali siano le soglie di punibilità delle condotte associative di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990[1], tra concorso eventuale (cd. «esterno») e connivenza non punibile. Per la verità, la pronuncia potrebbe aprire anche problematiche a carattere più generale rapportate all’associazione per delinquere cd. «semplice» ex art. 416 cp.[2] e ciò potrebbe essere sostenibile in ragione del rapporto genus-species che intercorre tra la fattispecie citata e quella di cui all’art. 74. Il processo padre di questa sentenza è molto complesso e i numerosi imputati, contrapposti nel contraddittorio alla magistratura requirente, si sfidano – in particolar modo – sul campo del vincolo associativo, elemento tipico necessario del reato di cui al D.P.R. del 1990. La corte, facendo estesi riferimenti ai propri precedenti, smonta ciascuna delle doglianze difensive con lo scopo di andare a ritagliare quella porzione di condotta penalmente rilevante che oscilla tra il concorso eventuale nell’associazione di cui agli artt. 110 cp. ss. e 74 del D.P.R., da una parte, e la semplice connivenza non punibile, dall’altra. Rileva, in primo luogo, fare riferimento agli altri elementi del fatto di cui all’art. 74.: l’esistenza di un gruppo di almeno tre persone associate per il compimento di un catalogo non definito di reati legati agli stupefacenti; un’organizzazione idonea al perseguimento di tali reati; l’elemento soggettivo che conferisce alla condotta associativa una direzione teleologica a commettere i reati di cui sopra[3]. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità non solo ha contribuito a perimetrare nella prassi le condotte di cui all’art. 74, ma si è spinta anche a svolgere una precisazione ulteriore. Questa insiste sul profilo organizzativo dell’associazione con una presa di posizione che, per la verità, si colloca nel solco di una lettura più concreta in termini offensivi dei reati a pericolo presunto—categoria che anticipa la tutela penale e comprende anche i reati associativi qui in esame[4]. Considerato che si sta prendendo a riferimento una serie di condotte legate allo spaccio di stupefacenti, non si può non constatare che dette compagini di criminalità [continua ..]

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