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Prescrizione nel D.Lgs. 231/2001: il regime dell´interruzione segue quello previsto per l´imputato

Davide Brusaporci

 

  1. Il caso.

Con la sentenza n. 3287 del 31 gennaio 2022, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione ha “ristabilito l’ordine” circa il dies a quo per la produzione degli effetti interruttivi di cui all’art. 22 del D.Lgs. 231/2001. Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal Procuratore Generale contro la sentenza emessa dal Tribunale di Gorizia che aveva dichiarato estinto l’illecito amministrativo dipendente da reato sostenendo che la contestazione dell’illecito ai sensi dell’art. 59 produce effetti interruttivi del termine di prescrizione solo se la richiesta di rinvio a giudizio oltre che emessa «sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto». La Quarta Sezione ha ribaltato la sentenza emessa nell’ambito del giudizio di prime cure, ritenendo l’orientamento richiamato dal Tribunale ormai superato in favore del più recente e costante indirizzo che ritiene sufficiente la sola emissione della richiesta di rinvio in giudizio per interrompere il decorso della prescrizione.

  1. Il problema interpretativo.

Così inquadrata la questione, è opportuno fare dei cenni alle disposizioni di riferimento per individuare la questione giuridica sottesa ai problemi interpretativi posti dalla sentenza in commento. Come noto l’art. 22, comma 2 del D.lgs. 231/2001 stabilisce che il termine di prescrizione di cui al comma 1 per l’applicazione delle sanzioni amministrative a seguito di accertamento della responsabilità dell’ente si interrompa in due casi: la richiesta di applicazioni di misure cautelari o la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59. La norma di cui al comma 2, deve necessariamente essere raccordata con quanto previsto dal comma 4 che, in caso di interruzione per contestazione dell’illecito dipendente da reato, vuole che il termine di prescrizione sia interrotto «fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio». Ne deriva che, nonostante le due ipotesi di interruzione siano “parificate” sul piano legale, è evidente che in relazione alla singola causa interruttiva si producano effetti radicalmente differenti.

Ciò premesso, il caso oggetto della pronuncia in commento riguarda, dunque, la seconda delle ipotesi individuate dall’art. 22, comma 2 e, dunque, l’interruzione della prescrizione a seguito di contestazione dell’illecito. A riguardo, l’art. 59, D.lgs. 231/2001 ripercorre pedissequamente la disciplina del Codice di Procedura Penale e, nello specifico, il dettato dell’art. 405 secondo cui il Pubblico Ministero, in caso di mancata archiviazione del procedimento, esercita l’azione penale per il tramite della richiesta di rinvio a giudizio.

Nonostante il tenore letterale della disposizione non sembri lasciare spazio a dubbi interpretativi, la giurisprudenza di legittimità si è interrogata sulla natura della prescrizione nell’ambito della responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001. Fatta salva la diatriba in dottrina circa la natura della responsabilità dell’ente, la previsione di fenomeni interruttivi delle cause estintive della responsabilità solleva perplessità circa la sua accostabilità con il sistema di prescrizione civilistico. Tale commistione è il frutto di un’operazione interpretativa che tiene conto dei limiti imposti dall’art. 11, comma 1, lett. r), l. 29 settembre 2000, n. 300 (base normativa per l’emanazione del richiamato D.lgs. 231/2001) che richiama testualmente il dettato di cui all’art. 28, comma 2, L. 689/1981, il quale sancisce inequivocabilmente che «l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del Codice Civile».

Di talché, sulla scorta delle intenzioni del legislatore delegante, è noto che l’articolo 2943 c.c. faccia decorrere gli effetti interruttivi della prescrizione «dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio». Di converso, l’art. 160, comma 2, c.p. sancisce che interrompe la decorrenza della prescrizione, tra le altre, la «richiesta di rinvio a giudizio».

Pertanto, viene da sé porsi l’interrogativo in merito a quid juris circa il dies a quo per l’efficacia dell’interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 22.

  1. Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

In virtù delle coordinate normative individuate sopra, l’orientamento inizialmente prevalente nella giurisprudenza di legittimità suffragava la tesi dell’assimilabilità del dettato di cui all’art. 22, D.lgs. 231/2001 con le disposizioni del Codice Civile e, in particolare, dell’art. 2943 c.c. Tale sillogismo poggia le sue basi sull’interpretazione letterale dell’art. 11 della Legge Delega. Così, la Suprema Corte ab origine ha ritenuto che: «In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione, in quanto atto di contestazione dell'illecito, solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. r), l. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del codice civile che regolano l'operatività dell'interruzione della prescrizione». Ne deriva, dunque, che il momento in cui si producono gli effetti interruttivi viene fatto risalire non alla richiesta di rinvio a giudizio, quanto alla sua notifica. Secondo questo indirizzo giurisprudenziale, le ragioni a sostegno di una simile operazione ermeneutica sono da rinvenire, oltre che nella littera della Legge Delega, nel fatto che l'atto introduttivo del giudizio rappresenta la richiesta al debitore, che non può che decorrere «dalla effettiva conoscenza» dello stesso. In questo senso, nell’ambito della responsabilità penale dell’ente e a differenza del regime di cui all’art. 160 c.p., la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 c.p. deve considerarsi atto necessariamente recettizio ai sensi dell’art. 1334 c.c.

Senonché, a tale indirizzo se ne è recentemente contrapposto un altro che vuole che, in tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio interrompa la prescrizione «per il solo fatto della sua emissione». Le ragioni che suffragano la tesi della giurisprudenza di legittimità non rappresentano un’interpretatio abrogans del testo della Legge Delega del 2020, bensì una sua valorizzazione. Così la Suprema Corte sancisce che il richiamo che la legge delega effettua alle norme del Codice Civile «non consente (…) di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo». Di conseguenza «non è consentito interpolare la norma riconducendo (…) l'effetto interruttivo alla notifica dell'avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto». In questo senso, gli atti interruttivi della prescrizione hanno «valore oggettivo», in quanto «denotano la persistenza nello Stato dell’interesse punitivo».

  1. La soluzione della Sezione IV

La pronuncia in commento recepisce pienamente l’ultimo degli orientamenti prospettati ribadendo anzi che, in materia di responsabilità amministrativa dell’ente, «l’interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione».

Tale configurazione dell’istituto interruttivo allinea la prescrizione in ambito di responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001 alla stregua della prescrizione nell’ambito della responsabilità penale individuale. Ciò rappresenta non soltanto un sintomo di un approccio più garantista della giurisprudenza di legittimità, quanto un’ennesima conferma della natura penale della responsabilità delle persone giuridiche.

 

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. IV, 31 gennaio 2022, n. 3287)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“1. Con sentenza del (…), il Tribunale di (…) ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della (…) s.r.l. per intervenuta prescrizione dell'illecito di cui all'art. 25-septies, comma 3, d.lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. commesso da (…), amministratore unico della predetta s.r.l. (…).Il Tribunale, dato atto che il termine di prescrizione di cui all'art. 22 d.lgs. 231/2001, regolante la disciplina della prescrizione dell'illecito amministrativo, dipendente da reato dell'ente, è di cinque anni, a far data dalla commissione dell'illecito e che il secondo comma della disposizione dispone che detto termine si interrompa a seguito della contestazione dell'illecito amministrativo fatta a norma dell'art. 59 d.lgs. 231/2001; richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell'illecito, produce l'effetto interruttivo solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo applicarsi, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), legge 29 settembre 2000, n. 300, le norme del codice civile sull'interruzione della prescrizione (Sez. 6, n. 18257 del 12/02/2015, Rv. 263171); rilevato che nel caso di specie il decreto di rinvio a giudizio è stato ritualmente notificato solo oltre detto termine, ha dichiarato l'illecito contestato estinto per prescrizione.3. Avverso la prefata sentenza ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di (…), lamentando violazione di legge in relazione alla data di prescrizione dell'illecito contestato alla società (…), con riferimento agli artt. 22 e 59 d.lgs. 81/2001.Osserva che sul punto è maggioritario l'orientamento di legittimità secondo il quale l'interruzione della prescrizione interviene a seguito della sola emissione della richiesta di rinvio a giudizio, sicché nel caso l'illecito amministrativo in contestazione non è affatto estinto, posto che la richiesta di rinvio a giudizio è stata emessa il (…) 2019, entro i cinque anni dalla commissione dell’illecito (…2014).(…)4. Il ricorso è fondato.L'isolato indirizzo interpretativo richiamato nella sentenza impugnata è ormai superato dal più recente e costante orientamento della Corte [continua ..]

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