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Cancellazione dell´ente dal registro delle imprese e responsabilità ex d.lgs. 231/2001: le ragioni del revirement della Cassazione

Aldo Cimmino

Con la sentenza n. 9006/2022 (c.d. sentenza “Metroquadro”), la Quarta Sezione della Corte di Cassazione ribalta l’orientamento giurisprudenziale che, nell’ambito della responsabilità amministrativa da reato dell’ente, aveva equiparato il fenomeno della estinzione fisiologica dell’azienda sottoposta al procedimento penale a quello della morte del reo, connettendo ad esse le conseguenze previste dall’ordinamento giuridico: l’estinzione del reato.

L’indirizzo pretorio avallato fino alla sentenza in commento appariva, peraltro, coerente con la professata natura giuridica di diritto penale della responsabilità amministrativa da reato degli enti, sebbene responsabilità c.d. “sui generis”.

Laddove, però vi siano fatti riconducibili al magistero del diritto penale è giocoforza ritenere che operino tutte le garanzie che l’Ordinamento riconduce ai soggetti indagati o imputati, a meno di non voler ritenere la presenza di zone franche che sfuggano alla legalità penale latamente intesa.

Eppure, con la sentenza in commento, tale assioma, almeno quanto alla responsabilità degli enti, non pare ora essere più così solido, e ciò, probabilmente, si deve proprio al carattere ibrido della natura della responsabilità degli enti quale responsabilità, come accennato, “sui generis”.

Del resto, la posizione della Suprema Corte non potrà che riverberarsi sia sul piano della sistematica penale, sia su quello concreto del coinvolgimento effettivo di un vasto numero di persone fisiche che verranno chiamate a rispondere “al posto” della dell’ente incriminato.

Quanto al primo profilo, la giurisprudenza di legittimità – con la pronuncia in esame – ha evidenziato come il silenzio serbato dal legislatore quanto alle vicende estintive dell’ente “non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica”.

Sulla scorta di tale premessa, la Corte articola un ragionamento che, sostanzialmente, gravita attorno a quattro principali cardini.

Il primo: le cause di estinzione del reato sono, in linea generale, un “numerus clausus” non estensibile; in secondo luogo, quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso fare riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come all’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001, allorché ha disposto l’amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche;

in terzo luogo, non si comprenderebbe per quali motivi il fenomeno dell’estinzione dell’ente dovrebbe essere ritenuto diversamente da quello del fallimento per il quale la Cassazione riunita ha ormai sancito il principio giurisprudenziale secondo il quale “in tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231/2001” (cfr., Cass. pen., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170); infine, il rinvio operato dall’art. 35, d.lgs. n. 231/2001 alle disposizioni del codice di procedura penale non è indiscriminato ma solo “in quanto compatibili”.

Dalle superiore considerazioni, la Corte deduce che non vi è alcuna norma che autorizzi a ritenere che “l’estinzione della società comporti anche l’estinzione dell’illecito amministrativo da reato commesso precedentemente nell’interesse o a vantaggio della società”, per cui si giunge alla conclusione che “la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antifortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”.

Alla luce delle citate precisazioni, la Corte, dunque, prospetta la trasferibilità della responsabilità amministrativa da reato dell’ente in capo ai soggetti persone fisiche, purché nel processo a carico dell’ente si proceda anche nei confronti delle stesse per i medesimi fatti.

Ciò, se da un lato potrebbe apparire coerente con il principio della personalità della responsabilità penale, compiendo, però, un’indebita estensione del principio di immedesimazione organica, non sembra coerente con il principio di proporzionalità, considerato che la trasferibilità della responsabilità dovrebbe comportare, inoltre, la trasmigrazione delle relative sanzioni.

In tal caso, la persona fisica imputata unitamente all’ente cancellato dal registro delle imprese, si troverebbe a dover affrontare il peso di una duplice sanzione comminata per i medesimi fatti: la sanzione penale prevista per il reato per il quale è appunto imputata e le sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 231/2001 per il medesimo reato presupposto.

Stando così le cose, la Corte avrebbe dovuto almeno individuare i meccanismi attraverso i quali i soci persone fisiche rispondano degli illeciti da reato, o quale tipo di sanzioni avrebbero dovuto sopportare, considerato che i criteri di determinazione delle sanzioni in quota – siccome destinati a colpire una persona giuridica organizzata in forma societaria – non sono certo equiparati o equiparabili a quelli con i quali il legislatore indica gli importi delle pene pecuniarie delle multe o delle contravvenzioni, destinate a punire le persone fisiche ritenute personalmente responsabili per determinate fattispecie di reato.

Ed a questo punto che il Supremo Collegio richiama espressamente i principi civilistici che governano la successione dei diritti dei danneggiati/creditori.

Nessun dubbio sussiste in ordine alla circostanza che in caso di morte dell’imputato persona fisica, i successori a titolo universale rispondono, iure hereditatis, delle obbligazioni nascenti da reato, salvo, ovviamente, il caso di rinuncia all’eredità o di accettazione con beneficio di inventario.

Nel caso di società, la materia è regolata dall’art. 2495 c.c..

Secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, la liquidazione deve ritenersi compiuta e la società estinta con la cancellazione dal registro delle imprese, anche qualora rimangano creditori insoddisfatti; qualora, all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno successorio.

Sicché, con riferimento alle obbligazioni, queste si trasferiscono ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente, a seconda che essi fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (cfr., Cass. Civ. Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070).

Analogamente, il debito sorto prima della cancellazione, corrispondente alla sanzione irrogata dal giudice di merito per l’illecito derivante da reato – secondo l’impostazione data dalla sentenza “Metroquadro” – permane e dovrà essere onorato dai soci in base ai principi su richiamati.

Il meccanismo individuato dalla Nomofilachia è, dunque, mutuato dall’esperienza applicativa tipica del diritto civile e societario e desta qualche perplessità, quantomeno quanto alla sua compatibilità con i principi propri del diritto penale, anche alla luce delle definizioni sovranazionali di ne bis in idem sostanziale e di materia penale.

In ogni caso, anche a non voler considerare tutto quanto appena evidenziato, non convince comunque il passaggio relativo alle vicende modificative dell’ente, quali fusione scissione e trasformazione, giacché in tali casi vi è pur sempre un ente che origina dalle vicende modificative intervenute, al quale può, evidentemente, trasferirsi la relativa responsabilità.

Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, invece, non si ha un evento trasformativo della persona giuridica ma si tratta di estinzione fisiologica della società e la responsabilità passa direttamente in capo ai soci persone fisiche.

In conclusione, la soluzione proposta dal recente orientamento pretorio non solo non risolve alcuno dei dubbi gravitano attorno alla natura giuridica della responsabilità amministrativa da reato degli enti ma aggiunge ulteriori spunti di riflessione che sempre più sembrano traghettarla verso altre dimensioni punitive e logiche sanzionatorie, diverse da quelle del diritto penale.

 

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. IV, 17 marzo 2022, n. 9006)

Stralcio a cura di Fabio Coppola 

“Pur volendo prescindere dalle implicazioni pratiche, agevolmente intuibili, discendenti dalle estrema facilità di cancellazioni "di comodo" dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità per eventuali illeciti posti in essere nell'interesse o a vantaggio degli enti, e anche dalle difficoltà nell'accertamento "della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione "patologica'"' (così alla p. 5 della richiamata motivazione di Sez. 2, n. 41082 del 10/00/2019, Starco s.r.l.), a non persuadere è la giustificazione su cui poggia il riferito ragionamento, cioè il parallelo estinzione dell'ente, morte della persona fisica. È agevole osservare, infatti, che la sezione II del capo II della L. n. 231 del 2001 (artt. 28 e ss.) disciplina in maniera articolata le vicende trasformative dell'ente, prevedendo espressamente che in caso di trasformazione, fusione e scissione resta ferma la responsabilità per gli illeciti commessi anteriormente alla data della trasformazione (art. 28), sicché l'ente risultante dalla fusione risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione (art. 29), che in caso di scissione resta ferma la responsabilità dell'ente scisso per i reati commessi (art. 30, comma 1), che gli enti beneficiari della scissione, anche solo parziale, sono obbligati in solido al pagamento delle sanzioni dovute dall'ente scisso (art. 30, comma 2) e che in caso di cessione dell'azienda il cessionario rimane solidalmente obbligato (art. 33). Inoltre, nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell'ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalle vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo nello stato in cui si trova (art. 42). Il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell'ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l'estinzione della persona fisica. Ciò per una pluralità di motivi: a) in primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile; b) poi, perché quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come alla L. n. 231 del 2001, art. 8, [continua ..]

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