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Incidente sul lavoro: al preposto spetta il compito di controllo immediato e diretto sulle anomalie di funzionamento dei macchinari

nota di Stefano Solidoro

 

Nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione offre alcune utili precisazioni sui profili di responsabilità penale del preposto a seguito dell’infortunio di un dipendente, con particolare riferimento al contenuto concreto dell’obbligo di vigilanza sui fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro, posto in capo alla predetta figura aziendale.
La vicenda giungeva al vaglio della Suprema Corte a seguito del ricorso presentato contro una decisione della Corte di Appello di Milano, che aveva confermato la condanna ai sensi degli artt. 113 e 590 co. 2 c.p. a carico di G.T., preposto di una società farmaceutica, per avere egli cagionato, in cooperazione colposa con il dirigente responsabile della sicurezza A.P., lesioni personali gravi alla dipendente M.R., consistenti nello schiacciamento del primo dito della mano destra.
Più nel dettaglio, nei giudizi di merito si accertava come l’infortunio della lavoratrice fosse derivato dal difettoso funzionamento di un macchinario deputato alla raccolta di compresse medicinali, al cui interno il non preciso allineamento meccanico di due recipienti provocava frequenti sversamenti del prodotto: per ovviare al problema, la dipendente M.R. usava “correggere” il meccanismo automatico accompagnando impropriamente il dispositivo con una mano, fino a quando, il giorno dell’incidente, una errata esecuzione della manovra le causava l’intrappolamento delle dita tra i meccanismi della macchina.
Ne scaturiva quindi la contestazione di lesioni colpose gravi a carico di G.T., colpevole di non aver opportunamente vigilato sul corretto funzionamento del macchinario in dotazione all’azienda e sulla presenza di comportamenti imprudenti da parte del personale, attività a lui demandate e che, se diligentemente svolte, avrebbero impedito l’incidente verificatosi.
Nei primi due motivi del suo ricorso, per quanto qui di interesse, l’imputato si doleva di una “violazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 590 c.p. ed il vizio di motivazione” in punto di dimostrazione dell’elemento soggettivo della colpa, sostituita dal mero accertamento di una posizione di garanzia in capo al preposto, con conseguente imputazione del reato a titolo di responsabilità oggettiva; ancora, lamentava un “vizio di motivazione sotto il profilo della carenza e della pretermissione di prove decisive”, avendo la Corte territoriale omesso di valutare elementi istruttori che militavano nel senso della assoluta imprevedibilità dell’evento da parte dell’imputato, ulteriore riprova dell’assenza di profili di colpa nel suo operato.
Ritenendo manifestamente infondati i due motivi di ricorso, la Quarta Sezione ne individua la comune matrice nella critica, avanzata dalla difesa, alla esatta delimitazione dell’“area di rischio rispetto alla quale egli riveste la posizione di garante”, che influisce su natura ed entità dei poteri/doveri impeditivi dell’evento.
Al fine di comprendere il contenuto dell’obbligo di garanzia del preposto, dunque, la Corte ne riproduce la nozione accolta all’art. articolo 2, lettera e) D. Lgs 81/08 (T.U. sulla Sicurezza nei Luoghi di Lavoro), quale soggetto che "in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
È proprio la “situazione di prossimità alle lavorazioni ed all'opera svolta dai dipendenti” a giustificare la posizione di garanzia del preposto ed il suo dovere di vigilanza, che sempre il T.U.S.L. si preoccupa di specificare al successivo art. 19, elencando nel dettaglio le prerogative di tale figura aziendale: nel caso di specie, la Corte richiama la lettera f) del predetto articolo, che impone al preposto di "segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta".
Ciò premesso, il Giudice nomofilattico rileva che, secondo quanto emerso in maniera pacifica dalle concordi dichiarazioni dei testi escussi, il malfunzionamento dell’apparecchio causa dell’incidente era da tempo noto a tutti i lavoratori, che praticavano abitualmente l’incauta manovra correttiva di “accompagnamento” manuale, sebbene nulla di ciò fosse mai stato oggetto di formale segnalazione ai dirigenti ed ai responsabili della sicurezza.
Tuttavia, tale ultima circostanza non esonera da responsabilità il preposto, il cui dovere di vigilanza legalmente imposto “non può risolversi nell'attesa di segnalazioni da parte di terzi -e nella specie degli lavoratori- di anomalie di funzionamento dei macchinari utilizzati o della modifica operativa da parte degli addetti di schemi lavorativi”, pena lo “svuotamento del dovere di vigilanza e di sovraintendenza delle lavorazioni, che costituisce l'essenza stessa delle sue attribuzioni”.
Corretta, quindi, l’imputazione a titolo di colpa effettuata dai Giudici di merito sul presupposto dell’omessa vigilanza da parte di G.T., costituendo il guasto e la condotta dei dipendenti fatti da tempo noti in azienda e, come tali, doverosamente accertabili da parte del preposto all’unità aziendale, che avrebbe poi dovuto subito segnalarli al datore di lavoro.
Non coglie invece nel segno la difesa dell’imputato quando evoca la imprevedibilità dell’evento, al contrario da questi evitabile assolvendo ai propri obblighi professionali; né assume valore scusante l’addotta documentazione di manutenzione del macchinario, attestante la mancanza di anomalie, già “implicitamente” ritenuta dalla Corte di Appello non sufficiente a “comprovare l'assolvimento concreto dell'onere di controllo e vigilanza delle lavorazioni”.
Ed invero, sottolinea la Corte, la non prevedibilità dell’incidente avrebbe potuto affermarsi soltanto laddove “il problema verificatosi sul macchinario, e l'incauta modalità di lavoro posta in essere per ovviarvi, fossero così recenti rispetto al momento in cui l'infortunio si è verificato da potersi immaginare che entrambi avessero potuto sfuggire al controllo continuativo”: viceversa, nella vicenda in esame il guasto risultava presente da molto tempo ed era stato ignorato dai soggetti responsabili, che non avevano posto in essere sufficienti attività di vigilanza.
Dunque, la condanna del preposto G.T. non configura affatto una ipotesi di responsabilità oggettiva, ma discende da una corretta applicazione della normativa antinfortunistica, che postula “un obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni”, il cui mancato adempimento è idoneo a configurare l’addebito colposo.
La decisione in esame offre una soluzione in linea con gli approdi giurisprudenziali in tema di responsabilità penale del preposto, nel quadro vigente prima della recente modifica al D. Lgs 81/08 con D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, che ne ha ulteriormente irrobustito gli obblighi di vigilanza in ambito lavorativo.
A suscitare dubbi è semmai la qualificazione ai sensi del secondo comma dell’art. 590 c.p. piuttosto che del terzo, che punisce con pena maggiore le lesioni colpose gravi e gravissime cagionate “con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, tra le quali rientra sicuramente quella evocata dalla Corte.
Si tratta di rilievo non da poco, posto che solo nel caso di cui all’art. 590 co. 3 c.p. trova applicazione la disciplina in tema di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, ex art. 25 septies D. Lgs. 231/01: senza dimenticare che, ai sensi dell’art. 56 del T.U.L.S., il preposto è di per sé punibile “con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da 400 a 1.200 euro per la violazione dell'articolo 19, comma 1, lettere a), c), e) ed f)”, e tale contravvenzione è spesso ritenuta dalla giurisprudenza concorrente con il delitto di lesioni.
In merito poi al cuore del giudizio di reità, ossia il colpevole mancato controllo del guasto al macchinario e sulla scorretta prassi lavorativa approntata dalla dipendente per farvi fronte, risulta innegabile che la vicinanza del preposto alle dinamiche lavorative quotidiane ne impone un ruolo di attiva vigilanza, specie a fronte di episodi conclamati e ripetuti, la cui ricognizione non può essere lasciata all’iniziativa altrui.
Solleva però perplessità che la Corte abbia ritenuto sufficiente una motivazione “implicita” di irrilevanza della documentazione tecnica prodotta dall’imputato, privilegiando certo la tutela sostanziale del lavoratore al dato formale, a scapito però di una maggiore garanzia nel cruciale momento della ricostruzione del coefficiente soggettivo colposo.
Condivisibile è invece il riferimento al grado di prossimità tra l’evento e l’insorgenza della situazione di pericolo, che a seconda dei casi potrebbe non consentire l’esercizio di alcun potere impeditivo da parte del preposto o degli altri titolari del dovere di vigilanza.
Si tratta di un criterio, quello temporale, sufficientemente oggettivo e di certo utile ad orientare l’interprete, a patto di misurarlo assieme agli altri elementi che compongo il quadro istruttorio, non dimenticando come in materia di sicurezza sul lavoro sia sempre in agguato il rischio di cedere a scorciatoie argomentative, preludio a inammissibili ipotesi di responsabilità oggettive da posizione.

Argomento: Responsabilità ente da reato (d.lgs. 231/2001)
Sezione:
(Cass. Pen., Sez. IV, 1 febbraio 2022, n. 3538)
 
Stralcio a cura di Ilaria Romano
“3. Va ricordato, innanzitutto, che il preposto, ai sensi della previsione di cui all'art. 2 lett. e) del d.lgs. 81/2008, è colui che "in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa". Le competenze normativamente attribuitegli, che delineano l'area di rischio rispetto alla quale egli riveste la posizione di garante, derivano dalla situazione di prossimità alle lavorazioni ed all'opera svolta dai dipendenti. È proprio in forza di detta condizione che l'art. 19 d.lgs. 81/2008 assegna al preposto il compito di controllo immediato e diretto sull'esecuzione dell'attività da parte dei lavoratori, così come quello sull'eventuale instaurarsi di prassi comportamentali incaute e quello su anomalie di funzionamento di macchinari cui gli operatori siano addetti. Quest'ultimo obbligo, specificamente sancito dalla lett. f) della disposizione che impone di "segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta" non può risolversi nell'attesa di segnalazioni da parte di terzi -e nella specie dei lavoratori- di anomalie di funzionamento dei macchinari utilizzati o della modifica operativa da parte degli addetti di schemi lavorativi apprestati per l'utilizzo di apparecchiature, posto che ciò comporterebbe un vero e proprio svuotamento del dovere di vigilanza e di sovraintendenza delle lavorazioni, che costituisce l'essenza stessa delle sue attribuzioni. (…) La Corte, infatti, muove dalla considerazione che il malfunzionamento della macchina su cui la persona offesa si infortunò, era noto a tutti nel Reparto Confezione (…). Ricorda che la teste (…) ha riferito di conoscere il problema (ovverosia il fatto che la tramoggia non si innestasse bene nel tramoggino) e di avere sempre fatto attenzione nell'utilizzo di quell'apparecchiatura, senza avere tuttavia comunicato agli assistenti alcunché, mentre il teste (…), che pure ha sostenuto [continua ..]

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