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Responsabilità dell´ente: l´interesse può consistere anche nel risparmio di tempo
Gabriele Monforte
Con una recentissima pronuncia, che si innesta all’interno di un filone giurisprudenziale ormai consolidato, la Corte di Cassazione ha inteso nuovamente ribadire il perimetro applicativo del concetto di interesse nell’ambito della responsabilità degli enti in materia di infortuni sul lavoro, statuendo che quest’ultimo possa estrinsecarsi anche in un risparmio di tempo.
Prima di analizzare più nel dettaglio la sentenza in esame, mette conto tratteggiare brevemente gli aspetti salienti della disciplina recata dal d. lgs. n. 231 del 2001 ed inquadrare, a livello generale, il problema della compatibilità strutturale tra i cardini del reato colposo ed i requisiti dell’interesse e vantaggio.
Sul piano storico, l’evolvere dello sviluppo tecnico e delle gestioni d’impresa caratterizzate dallo svolgimento di attività rischiose, ancorché funzionalmente necessarie per il progresso sociale, ha comportato, nel tempo, un incremento dei reati colposi. In questa prospettiva, in una chiave di analisi economica del diritto, il legislatore bilancia l’esigenza di autorizzare dette attività pericolose attraverso la responsabilizzazione delle imprese che le esercitano.
Ne costituisce un esempio paradigmatico, in quest’ottica, la previsione in ordine alla responsabilità degli enti sancita con il d. lgs. n. 231 del 2001. Infatti, ai sensi dell’art. 1 del decreto in parola, il legislatore assoggetta a tutta una serie di sanzioni amministrative gli enti che non si siano dotati di adeguati modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione dei reati tassativamente indicati (secondo lo schema normativo del catalogo rigido) dal summenzionato decreto (artt. 24 - 25 sexdecies d. lgs. n. 231/2001).
Trattasi di una responsabilità di tipo colposo la cui operatività è subordinata alla realizzazione dei reati de quibus da parte dei soggetti che rivestono funzioni apicali ai sensi dell’art. 5, co. 1 lett. a) del decreto in esame – o comunque da parte di persone sottoposte alla loro vigilanza – nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Se ne desume, dunque, argomentando “a contrario”, che l’ente va esente da responsabilità quando i predetti soggetti abbiano agito soddisfacendo esclusivamente un interesse o un vantaggio proprio o di terzi ovvero quando lo stesso abbia adottato efficacemente un modello idoneo ad impedire i reati posti in essere, quantunque questi ultimi siano stati commessi dai propri rappresentanti.
In questa prospettiva, in ossequio al dettato di cui all’art. 27 Cost. in forza del quale non può ammettersi nel nostro ordinamento alcuna forma di responsabilità penale “oggettiva”, il legislatore disegna la responsabilità degli enti secondo il modello della responsabilità “per colpa di organizzazione”. Pertanto, essendo la colpa organizzativa il limite della responsabilità delle persone giuridiche, il legislatore non pretende, dalle stesse, il rispetto di condotte straordinarie o eccezionali, essendo sufficiente, ai fini dell’applicabilità dell’esimente, che queste ultime adottino i modelli cautelari in concreto richiesti (in quanto suscettivi ex ante di essere adeguati a prevenire i reati commessi, al lume delle più attuali conoscenze tecniche).
Ne discende che l’accertamento giurisdizionale in ordine all’efficace attuazione dei modelli di prevenzione richiesti ed all’effettiva sussistenza dei requisiti dell’interesse o vantaggio collegati ai reati commessi dai rappresentanti della persona giuridica, costituisce il faro intorno al quale ruota tutta la disciplina in commento.
Acclarato ciò, l’inclusione di alcuni delitti colposi nel rigido catalogo dei reati presupposto abilitanti la responsabilità dell’ente, ha posto il problema della loro compatibilità con i requisiti dell’interesse e vantaggio. Più nello specifico, problemi particolari si annidano nei criteri di attribuzione della responsabilità dell’ente (interesse o vantaggio) quando si tratti di reati colposi di evento, come, ad esempio, omicidio colposo o lesioni colpose commesse con violazione della normativa posta a tutela della sicurezza dei lavoratori (puniti ai sensi dell’art. 25 septies del decreto in esame).
In proposito, si ritiene che vi sia un’incompatibilità logica e strutturale tra il criterio di imputazione della responsabilità dell’ente incentrato sull’interesse e sul vantaggio ed il reato presupposto colposo. In particolare, si evidenzia l’impossibilità di conciliare il finalismo della condotta, richiesto dalla nozione di interesse e vantaggio, con la non volontarietà dell’evento propria del paradigma del reato colposo. Infatti, il reato colposo, presupponendo per definizione che l’evento non sia voluto dall’agente, implica, conseguentemente, che esso debba considerarsi estraneo alla sfera di interesse del soggetto agente e, quindi, dell’ente che la persona fisica rappresenta e nel cui interesse agisce. Pertanto, l’interesse ed il vantaggio dell’ente non può risiedere nell’evento, bensì nella condotta violativa di regole cautelari: solo la violazione delle regole cautelari può essere commessa nell’interesse o a vantaggio dell’ente, mentre l’evento lesivo in sé considerato è controproducente per l’ente e foriero anche di ingenti danni patrimoniali. Si pensi ad esempio alla morte di un operaio in conseguenza di un incidente sul lavoro causato dall’omissione di misure antinfortunistiche o dall’omessa manutenzione di un macchinario. In un’ipotesi del genere, l’interesse ed il vantaggio dell’ente non può risiedere a valle (nell’evento morte) bensì necessariamente a monte, cioè nel momento in cui la persona fisica, nell’interesse e a vantaggio dell’ente, ha realizzato la condotta violativa della regola cautelare, al precipuo scopo di ottenere un illecito risparmio di spesa (ad es. nei costi di gestione e manutenzione dei macchinari o un abbattimento dei costi inerenti all’omessa attuazione di misure antinfortunistiche).
Tale tesi, che con riferimento ai reati colposi riconduce i criteri dell’interesse e del vantaggio alla condotta e non all’evento, è stata avallata dalle Sezioni Unite nella nota sentenza ThyssenKrupp.
Acclarato che la predetta compatibilità si appunta, in generale, nella condotta del soggetto agente volta a conseguire un illecito risparmio di spesa, ci si è chiesti in giurisprudenza se il requisito dell’interesse possa reputarsi compatibile anche con le condotte volte a conseguire un risparmio di tempo.
Sul punto, si è pronunciata di recente la Cassazione in commento, con la sentenza n. 3299 del 31 gennaio 2022. Quest’ultima, recependo il costante indirizzo esegetico espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ha confermato la condanna per illecito amministrativo dell’ente, anche in relazione ad un delitto di lesioni colpose, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, volto a conseguire un illecito risparmio di tempo.
Il caso di specie origina da un infortunio occorso ad un dipendente di una S.r.l., incaricato di effettuare con un escavatore la ripulitura nei pressi di un muro fatiscente, per l’effetto crollatogli addosso. In relazione a tale evento delittuoso, è emerso in particolare che il rappresentante della società coinvolta avesse omesso la redazione di un adeguato piano operativo di sicurezza e la connessa valutazione del rischio nella specie concretizzatosi.
Al riguardo, la Corte ha evidenziato che l’interesse perseguito da un amministratore di società con la sua condotta omissiva, ben possa sostanziarsi anche nel risparmio di tempo e di energie lavorative consistenti nell’evitare l’impiego del tempo e delle risorse necessarie alla corretta valutazione dei rischi da tradurre nell’apposito piano operativo di sicurezza.
Infatti, a ben guardare, anche tale risparmio di tempo si traduce in un illecito risparmio di un costo. Un costo (organizzativo, economico) che il datore di lavoro avrebbe dovuto sostenere se avesse impiegato il tempo necessario per la predisposizione del piano operativo di sicurezza idoneo a prevenire o ridurre i rischi della verificazione dell’evento nella specie verificatosi. In questa logica, su di un piano sistematico, il risparmio di tempo si atteggerebbe ad una vera e propria sub specie del risparmio di spesa.
Per tali ragioni, in conclusione, il requisito dell’interesse, da riferire alla condotta del soggetto agente e non all’evento, può ricorrere anche quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di tempo, consistente nella riduzione dei tempi di lavorazione, in quanto finalizzato ad ottenere un risparmio di spesa (indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento).
Sezione:
(Cass. Pen., Sez. IV, 31 gennaio 2022, n. 3299)
Stralcio a cura di Ilaria Romano
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