home / Archivio / 231 e Compliance raccolta del 2021 / Anche le società unipersonali possono delinquere: la Cassazione ..

indietro stampa contenuto leggi libro


Anche le società unipersonali possono delinquere: la Cassazione sull´applicabilità del D.Lgs. 231/2001 alle Srl con socio unico

nota di Federico Domenico Enrico De Silvo

Con la sentenza n. 45100, del 6 dicembre 2021-16 febbraio 2022, la Cassazione si è pronunciata in merito alla corretta interpretazione dell’art. 1 d.lgs. n. 231/2001, in particolare circa la sua applicabilità, altresì, alle società unipersonali, asseverando che «la società unipersonale è un soggetto giuridico a cui si applicano… le norme previste dal d.lgs. in questione» (pag. 6).

Invero, i fatti di causa traggono origine da un procedimento cautelare, all’esito del quale il Tribunale del riesame «ha annullato l’ordinanza con cui era stata disposta la misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, nei confronti delle [tre] società [a responsabilità limitata]… ritenute dal Giudice per le Indagini Preliminari gravemente indiziate dell’illecito previsto [e punito] dagli artt. 21-25 d.lgs. 231/2001, in relazione al reato presupposto di corruzione propria» (pagg. 1-2), attribuita all’unico socio, che avrebbe rivestito posizione apicale degli enti indagati. Infatti, secondo il Tribunale, le cennate società, attesi gli aspetti afferenti sia la loro composizione, che la loro gestione, risulterebbero qualificabili come «imprese individuali e, dunque, non soggette alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231/2001» (pag. 2): più precipuamente, in ragione del carattere unipersonale, composte e gestite, pertanto, dall’unico socio a cui è attribuito il reato presupposto, non potrebbero considerarsi quali soggetti autonomi e, dunque, non potrebbero rappresentare un centro di imputazione giuridico distinto rispetto alla persona fisica. Con l’occasione, il Tribunale ha, altresì, escluso che ricorresse il pericolo di reiterazione del reato da parte di persone fisiche in posizione apicale, in quanto «la sostituzione delle persone fisiche [stesse] in posizione qualificata nell’ente avrebbe neutralizzato il pericolo di recidiva, atteso che non vi sarebbero elementi concreti per ritenere esistenti rapporti e relazioni tra il nuovo amministratore ed il precedente ovvero tra il primo e gli amministratori comunali» (ibidem). Sennonché il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, articolando, in particolare, due motivi: il primo motivo attiene la violazione di legge, in quanto «le disposizioni del d.lgs. n. 231/2001 troverebbero applicazione nel caso di specie, a nulla rilevando che la persona giuridica sia una società unipersonale» (ibidem); il secondo motivo attiene vizio di motivazione, in quanto il Tribunale, con precipuo riferimento alle esigenze cautelari, «non avrebbe considerato la informativa della Guardia di Finanza, con cui si segnalava come la nuova amministratrice, già all’epoca dei fatti, da una parte, fosse legata alla società con le mansioni di responsabile della Direzione organizzativa ed amministrativa e, dall’altra, fosse amica “di famiglia” del precedente amministratore e della di lui moglie» (ibidem), siccome, peraltro, era possibile evincere da un post pubblicato sul famoso social Facebook.

            Al riguardo, vi è, anzitutto, da osservare come l’inclusione, altresì, delle società unipersonali nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 231/2001 sia argomento tutt’altro che pacifico, bensì dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza, con alterne decisioni da parte della stessa Corte Costituzionale: in particolare, «si tratta di affermazioni che, da una parte, sembrano rivedere in senso critico l’impostazione secondo cui l’ente e la persona fisica (autore del reato presupposto) concorrerebbero, secondo lo schema della compartecipazione criminosa, in un unico illecito penale, e, dall’altra, sembrano collocarsi nel solco di quanto la stessa Corte di cassazione aveva, anche a Sezioni unite, in più occasioni in passato affermato» (pag. 4). Sennonché, con la citata sentenza, la S.C. è intervenuta, appunto, per dirimere la questione, fornendo ai giudici di merito ulteriori strumenti interpretativi.

Innanzitutto, si è sottolineato come «il problema dell’inclusione della società unipersonale nel raggio d’azione della disciplina della responsabilità da reato dell’ente è ben distinto, anche nella considerazione del legislatore, da quello dell’applicazione del d.lgs. n. 231/2001 all’impresa individuale… soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica dell’unico socio; un soggetto metaindividuale a cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica. Si tratta cioè di un soggetto che ha un proprio patrimonio autonomo, che costituisce un autonomo centro di imputazione di interessi, che ha una sua soggettività, che la legge fa discendere automaticamente in presenza di determinati presupposti» (pag. 6).

Si è, poi, ravvisato che deve essere conciliata l’esigenza di evitarsi «violazioni del principio del bis in idemsostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, quella, cioè, di evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso, eviti l’applicazione del d.lgs. n. 231/2001, sostenendo di essere una impresa individuale» (pag. 7): in altre parole, alla base dell’iter argomentativo seguito dalla S.C., vi è la considerazione del fenomeno consistente nella creazione di persone giuridiche di ridottissime dimensioni, al mero scopo di frammentare e polverizzare i rischi economici e normativi.

Di qui l’esigenza di accertamento, in concreto, del se, in presenza di una società unipersonale a responsabilità limitata, «vi siano i presupposti per affermare la responsabilità dell’ente; un accertamento che non è indissolubilmente legato a criteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della struttura organizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondati sulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo governa, e dunque, sulla impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente di fatto inesigibile – disgiunta da quella dell’unico socio» (ibidem).

Epperò, nel descritto caso di specie, il Tribunale, secondo la S.C., non ha correttamente applicato i principi indicati, «essendosi [invece] limitato ad affermare che le società ricorrenti non costituirebbero un autonomo centro di interessi distinti dalla persona fisica e dunque non sarebbero assoggettate al d.lgs. n. 231/2001, trattandosi di imprese sostanzialmente individuali» (pag. 8): in altre parole, il tribunale ha perseguito «un ragionamento viziato in cui nessuna indicazione è stata fornita su come nel tempo dette società abbiano operato, sulle dimensioni delle imprese, sulla loro struttura, su quali siano stati i rapporti tra esse e l’unico socio, quale sia stata l’attività in concreto posta in essere, se sia distinguibile un interesse della società da quello del socio unico» (ibidem).

A tale stregua, dunque, la S.C. ha ritenuto erronea l’assimilazione tra società unipersonali ed imprese individuali, che è stata compiuta dal Tribunale del riesame, e, inoltre, carente l’accertamento su come, nel corso del tempo, le società sottoposte a giudizio avessero operato, sulle dimensioni delle imprese, sulla loro struttura organizzativa, su quali fossero stati i rapporti tra esse e l’unico socio, su quale fosse stata l’attività in concreto posta in essere, e se fosse distinguibile un interesse della società da quello del socio unico. Sennonché la stessa S.C. ha demandato al Tribunale di accertare se ed in quali termini il reato commesso dalla persona fisica fosse imputabile alle tre società a responsabilità limitata, secondo i criteri previsti dal d.lgs. n. 231/20001, nonché di procedere a una nuova verifica della sussistenza delle esigenze cautelari e del pericolo di recidiva, verificando se i nuovi amministratori fossero slegati dai precedenti ed effettivamente autonomi.

Argomento: d.lgs. 231/2001
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. VI, 06 dicembre 2021, n. 45100)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“2. (…) L'art. 1 del d.lgs. 231 del 2001 sancisce l'ambito soggettivo di applicazione del sistema normativo delineato stabilendo "il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato e che le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”. La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito in maniera del tutto condivisibile che il d.lgs. 231 del 2001 evoca l'intero spettro dei soggetti di diritto non riconducibili alla persona fisica (…), indipendentemente dal conseguimento o meno della personalità giuridica e dallo scopo lucrativo o meno perseguito. È significativo al riguardo che nella delega conferita dall'art. 11, commi 1-2, della legge 29 settembre 2000, n. 300 e nelle convenzioni internazionali che tale legge ha ratificato, la responsabilità è riferita all'ente, cioè ad un soggetto diverso dalla persona fisica autrice del reato presupposto, e ciò perché l'ente risponde di un proprio illecito che non coincide con il reato presupposto commesso dalla persona fisica. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 218 del 2014 (…) ha chiarito come nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, l'illecito ascrivibile all'ente costituisca una fattispecie complessa e non si identifichi con il reato commesso dalla persona fisica, in quanto questo costituisce solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la “responsabilità amministrativa" (…). Secondo la Corte costituzionale, se l'illecito di cui l'ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato, l'ente e l'autore di questo, non possono qualificarsi coimputati (…).  Secondo la Corte di cassazione l'illecito dell'ente "non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone"; l’illecito "amministrativo" ascrivibile all'ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende (…). L'ente, soggetto diverso dalla persona, è quindi responsabile di un fatto illecito proprio, costruito nella forma di fattispecie complessa, della quale il reato è un presupposto, unitamente alla qualifica soggettiva della persona [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio