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Ai fini dell´accertamento del reato di corruzione propria, è necessario provare il rapporto sinallagmatico che lega la prestazione illecita alla dazione o alla promessa della remunerazione. L'atto contrario ai doveri d'ufficio è anche quello discrezionale o formalmente regolare se funzionalmente svincolato dall'interesse pubblico

Fabio Coppola

  1. Premessa

La sentenza in commento riaffronta il tema centrale della configurabilità della corruzione propria, ribadendo alcuni principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità e, al contempo, precisando i confini della nozione di “atto contrario ai doveri d’ufficio”.
Il caso, relativo alla gestione di pratiche di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis a cittadini brasiliani, si sofferma su tre questioni essenziali:
i) la necessità della prova del rapporto sinallagmatico tra dazione indebita e comportamento contrario ai doveri d’ufficio;
ii) l’estensione della categoria degli atti contrari anche a quelli solo apparentemente regolari ma viziati da deviazioni sostanziali rispetto ai principi di imparzialità e buon andamento;
iii) la rilevanza penale degli atti discrezionali e consultivi allorché se ne accerti lo sviamento funzionale.

Volendo riepilogare brevemente il caso oggetto della pronuncia in esame, il responsabile dell’Ufficio di stato civile di un Comune italiano, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2015, aveva istruito pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana in favore di cittadini brasiliani, omettendo le verifiche istruttorie prescritte dalla circolare ministeriale vigente, dietro corresponsione di indebiti compensi.

Per tali ragioni, i giudici di merito e la Corte di Cassazione hanno ritenuto accertata la responsabilità dell’imputato per corruzione propria, valorizzando, tra gli altri, i seguenti elementi probatori: i) il contenuto delle conversazioni e della corrispondenza telematica intercorse tra gli imputati; ii) i riscontri contabili; iii) la coincidenza temporale tra i pagamenti e lo svolgimento delle pratiche irregolari; iv) il rinvenimento nei computer degli imputati di documenti direttamente riferibili al pubblico ufficiale coinvolto.

 

 

  1. Sul rapporto sinallagmatico intercorrente tra dazione o promessa e atto contrario ai doveri d’ufficio

La pronuncia ha il pregio di ribadire che, ai fini della configurabilità della corruzione propria, «è necessario dimostrare che il compimento dell'atto contrario ai doveri di ufficio sia stato la causa della prestazione del denaro o di altra utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell'avvenuta dazione».

La decisione si colloca, dunque, nel solco della giurisprudenza che individua il nucleo tipico del delitto nella dimostrazione della finalizzazione della promessa o della dazione ad assicurare l'impegno di un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio ovvero alla remunerazione di un già attuato comportamento contrario ai doveri di ufficio.

 

In altre parole, l’organo giudicante è chiamato ad accertare la “causa illecita” del patto per incastonare l’episodio corruttivo all’interno dell’art. 319 c.p.

 

  1. Sulla nozione di atto contrario ai doveri d’ufficio

La pronuncia si sofferma altresì sull’estensione applicativa dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, affermando che: «costituiscono atti contrari ai doveri d'ufficio non soltanto quelli illeciti o illegittimi, ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale, dall'osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza e imparzialità».

Tale passaggio segna un punto di equilibrio tra una lettura formalistica e una sostanzialistica della fattispecie: l’atto formalmente regolare può trasformarsi in uno contrario ai doveri funzionali qualora sia stato adottato con la consapevole violazione dei principi che orientano l’azione amministrativa.

Il riferimento ai doveri di correttezza e imparzialità appare particolarmente significativo, in quanto conferma la funzione garantistica di valori che, pur non sempre codificati in specifiche prescrizioni, costituiscono parte integrante della legalità sostanziale dell’agire pubblico.

La Corte affronta anche il tema della discrezionalità amministrativa, chiarendo che il reato di corruzione propria può configurarsi anche in relazione ad atti di natura discrezionale o consultiva. In proposito, si legge che «l'atto di natura discrezionale o consultiva non ha mai un contenuto pienamente “libero”, essendo soggetto, per un verso, al rispetto delle procedure e dei requisiti di legge, per altro verso, alla necessità di assegnare comunque prevalenza all'apprezzamento dell’interesse pubblico».

La discrezionalità non esclude, dunque, il vincolo funzionale: lo sviamento a fini privatistici, soprattutto quando sostenuto dalla dazione di denaro, integra la violazione dei doveri d’ufficio e rende l’atto penalmente rilevante. Per accertarlo, la Corte ribadisce l’importanza di valorizzare «la violazione dei doveri che attengono al modo, al contenuto, ai tempi degli atti da compiere e delle decisioni da adottare nel concreto operare della discrezionalità amministrativa in funzione dell’attuazione del pubblico interesse».

Argomento: Dei delitti contro la pubblica amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 3 aprile 2025, n. 13092)

Stralcio a cura di Fabio Coppola 

“(…) Secondo la conforme ricostruzione di entrambi i Giudici del merito, (…), quale responsabile dell'ufficio dello stato civile del Comune di (…), dal 2013 al 2015 aveva istruito pratiche per il riconoscimento dello status civitatis italiano in favore di persone brasiliane, omettendo le dovute verifiche istruttorie, previste anche dalla circolare ministeriale vigente all'epoca dei fatti, dietro indebiti compensi, ricevuti da (…), referente in Italia dell'associazione (…), che prestava assistenza e curava le pratiche di riconoscimento della cittadinanza e della residenza in favore di brasiliani. (…) Le censure, sollevate da entrambi i ricorrenti, concernenti l'affermazione della loro responsabilità per il delitto di corruzione, sono infondate. Costituisce principio più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, ai fini dell'accertamento del reato di corruzione propria, è necessario dimostrare che il compimento dell'atto contrario ai doveri di ufficio sia stato la causa della prestazione del denaro o di altra utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell'avvenuta dazione (…). È necessario dimostrare, quindi, non solo la dazione indebita dal privato al pubblico ufficiale (o all'incaricato di pubblico servizio), bensì anche la finalizzazione di tale erogazione all'impegno di un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio ovvero alla remunerazione di un già attuato comportamento contrario ai doveri di ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica. In tale quadro di riferimento si afferma che costituiscono atti contrari ai doveri d'ufficio non soltanto quelli illeciti (perché vietati da atti imperativi o illegittimi (perché dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dall'osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza e imparzialità (…). D'altra parte, è pacifico che il reato in oggetto può essere integrato anche mediante atti di natura discrezionale o meramente consultiva, quando essi costituiscano concreto esercizio dei [continua ..]

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