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Le pratiche commerciali scorrette sono genus unitario di illecito

Federica Faleri

(Cons. di Stato, sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2414)

“Con il termine “secondary ticketing” si suole indicare la diffusione di mercati “paralleli” a quelli ufficialmente autorizzati, in cui si offrono in vendita i titoli di accesso ad eventi spettacolistici di varia natura, ad un prezzo maggiorato rispetto a quello determinato dall’or­ganizzatore. […] Desta […] allarme sociale l’acquisto massivo di biglietti da parte di organizzazioni, che si servono di software creati appositamente (c.d. ticketbots), che poi li rivendono a prezzi maggiorati. Questa peculiare forma di bagarinaggio online ha ricevuto solo recentemente una specifica disciplina, attraverso i commi 545 e 546 dell’art. 1, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. [...] Il legislatore, se da un lato ha chiarito che gli unici soggetti legittimati a vendere i titoli di accesso per eventi spettacolistici sono gli organizzatori degli stessi, nonché i titolari di biglietterie automatizzate da questi incaricate alla vendita, dall’altro ha avuto cura di escludere che l’illecito sia configurabile in presenza di transazioni tra utenti finali: in particolare, non è suscettibile di sanzione la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo «effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali». […] 4.1. – L’espressione «pratiche commerciali scorrette» designa le condotte che formano oggetto del divieto generale sancito dall’art. 20 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo), in attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, n. 2005/29/CE. […] Scopo della normativa è quello di ricondurre l’attività commerciale in generale entro i binari della buona fede e della correttezza. […] Per «pratiche commerciali» assoggettate al titolo III della parte II del Codice del consumo si intendono tutti i comportamenti tenuti da professionisti che siano oggettivamente «correlati» alla «promozione, vendita o fornitura» di beni o servizi a consumatori, e posti in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente all’instaurazione dei rapporti contrattuali. Quanto ai criteri in applicazione dei quali deve stabilirsi se una determinata pratica commerciale sia o meno «scorretta», il comma 2 [continua ..]

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Nota di Federica Faleri

La sentenza in commento presenta un duplice profilo di interesse. In primo luogo, essa fornisce l’occasione per ricostruire la nozione di pratica commerciale scorretta, ai sensi dell’art. 20 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005). Sotto diverso profilo, viene affrontato il tema dei limiti al sindacato del giudice amministrativo nei confronti del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il giudizio trae origine dal provvedimento emanato dall’AGCM nei confronti di una società attiva in Italia nella vendita online di biglietti per eventi di vario genere. In particolare, alcune associazioni di consumatori hanno segnalato il verificarsi di un rapido esaurimento dei biglietti pubblicizzati sul sito e la contestuale disponibilità degli stessi sul mercato secondario, ad un prezzo più elevato. Pertanto, l’Autorità contesta alla società l’omessa adozione di misure idonee a contrastare l’acquisto multiplo di biglietti sui propri canali di vendita. Tale condotta, infatti, si è tradotta nella limitazione della libertà del consumatore, che si è trovato costretto nell’alternativa tra rinunciare all’evento o rivolgersi al mercato secondario, corrispondendo un prezzo maggiorato. Per queste ragioni, l’Autorità sanziona la società per violazione dell’art. 20, comma 2, Codice del Consumo. Questa ricorre al TAR, ottenendo l’annullamento del provvedimento sanzionatorio, a causa della presenza di lacune istruttorie. In seguito, l’Autorità propone appello e, con appello incidentale, la società censura l’illegittimità del provvedimento nella parte in cui sanziona la pratica scorretta, senza qualificarla come aggressiva o ingannevole. A tal proposito, rimarca che l’ordinamento non consente di valutare come “scorrette” le pratiche commerciali che non siano né ingannevoli, né aggressive. Il Consiglio di Stato respinge tale doglianza, soffermandosi sulla definizione recata dall’art. 20, comma 2, che qualifica scorretta una pratica commerciale «contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio[...]». Tale definizione generale si scompone all’interno del Codice in due diverse [continua ..]

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