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Il meccanismo del silenzio assenso nell'inottemperanza al giudicato

nota di Alessandra Mozzi. 

La vicenda da cui trae origine la pronuncia in commento ha riguardo a un procedimento di condono edilizio, così come disciplinato dalla Legge n° 326/2003 e dalla Legge Regionale del Lazio n° 12/2004, relativo all’intervento di parziale cambio di destinazione d’uso di un immobile.

L’originaria istanza del ricorrente veniva rigettata dal Comune, il quale altresì ingiungeva all’istante la demolizione del magazzino oggetto della richiesta di sanatoria, intimando a non proseguirvi le attività commerciali.

Il TAR respingeva il ricorso di prime cure proposto avverso i provvedimenti, sull’assunto per cui non sarebbe stata provata l’ultimazione delle opere condonabili entro la data del 31 marzo 2003, presupposto ex lege richiesto.

Adito il Consiglio di Stato, quest’ultimo ha riformato la sentenza di prime cure, sposando una tesi diametralmente opposta al TAR in ordine alla sanabilità dell’intervento e per l’effetto ha annullato i provvedimenti impugnati.

A seguito della diffida a provvedere secondo quanto prescritto dalla pronuncia del Consiglio di Stato, il ricorrente si è visto costretto a proporre ricorso per l’ottemperanza nei confronti dell’Ente comunale, rimasto inerte.

La pronuncia in commento riguarda il rapporto tra gli effetti del silenzio-assenso, il giudicato amministrativo e la natura ibrida del giudizio di ottemperanza.

In via preliminare, il Consiglio di Stato coglie l’occasione per ribadire che il giudizio regolato dagli artt. 112 e ss del c.p.a. non è soltanto di stretta esecuzione, bensì anche di attuazione del giudicato rimasto inevaso o eluso dall’Amministrazione.

Oltre ai poteri tipicamente cognitivi, il Giudice adito per l’ottemperanza è chiamato a esercitare anche funzioni propulsive, volte a ristabilire il corretto operato della Pubblica Amministrazione, superando eventuali dubbi ermeneutici sulla pronuncia da eseguire.

Chiarito ciò, la sentenza in commento passa a inquadrare il rapporto che intercorre tra il giudicato e il procedimento amministrativo, precisando che il primo entra incidentalmente  nel secondo e in questi va calato per adattarsi perfettamente alle sue esigenze.

Sulla base di tali saldi presupposti, il Supremo organo di giustizia amministrativa giunge alla conclusione per cui il giudicato non assume una funzione limitativa del corretto fluire dell’azione amministrativa. Ne discende che, quando in un procedimento operi un meccanismo di semplificazione, questi non è ostacolato dalla sopravvenienza del giudicato.

Per meccanismi di semplificazione il Supremo Consesso prende in considerazione l’ampia gamma di strumenti di cui il legislatore ha via via dotato l’attività amministrativa, al fine di renderla quanto più rispondente alle esigenze di celerità e di certezza dei tempi dell’agere amministrativo.

Il più classico di tali meccanismi è il silenzio-assenso, al quale si sono aggiunti quelli di più recente conio, tra cui si annovera la meccanica del one-shot (temperato), elaborata a partire dalle strettoie imposte alla riedizione del potere amministrativo, nonchè l’inefficacia c.d. rimediale, introdotta dall’art. 2 comma 8-bis della L. n° 241/1990 a seguito delle recenti riforme dedicate proprio alla Semplificazione amministrativa.

Ed è proprio con riguardo all’avvenuta formazione del silenzio-assenso sull’originaria istanza di condono presentata dal ricorrente, che il Consiglio di Stato si sofferma, esaltando il ruolo legittimante delle istanze acceleratorie e/o semplificatorie avverso i comportamenti ingiustificatamente dilatori assunti dall’Amministrazione.

Il fil rouge che collega la semplificazione con la buona fede e la correttezza comportamentale richieste alla Pubblica Amministrazione viene opportunamente ricostruito sulla base delle seguenti argomentazioni, evidenziate dalla pronuncia in commento.

In primo luogo, la formazione del provvedimento c.d. “silenzioso” di assenso non è impedita dalla presunta incompletezza dell’istanza presentata dal richiedente, quando a questa si opponga la sostanziale sussistenza dei requisiti per l’accoglimento della domanda. D’altra parte, la possibilità di intervenire in autotutela supera qualsiasi ostacolo alla formazione del silenzio-assenso in caso di difformità sostanziali.

Il Supremo Consesso sottolinea infatti che, non ammettendo la formazione del silenzio-assenso nell’ipotesi di difformità sostanziali, il potere di annullare d’ufficio il provvedimento silenzioso previsto espressamente dall’art. 21-nonies L. 241/1990 non avrebbe modo di esistere.

Una volta che il silenzio-assenso si sia formato, la condotta della Pubblica Amministrazione la quale, incurante del suddetto meccanismo, si ostini a mantenere l’inerzia ovvero a reiterare le richieste di documentazione o di chiarimenti al privato, deprime il ruolo ed il valore del procedimento.

È in quest’ambito infatti che va collocato il complicato bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato ed è sempre in quest’ambito che deve aver luogo il leale confronto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. Le dinamiche esterne al procedimento, tra cui vanno ricomprese quelle processuali, influiscono sul medesimo dunque solo in funzione correttiva e/o attuativa.

La pronuncia può dirsi decisiva quindi nel rimarcare l’indubitabile funzione correttiva che il giudicato svolge sull’intera l’attività amministrativa, senza tuttavia riconoscergli effetti estranei rispetto alle logiche del buon andamento e della correttezza comportamentale della Pubblica Amministrazione.

Quest’ultima infatti non potrà invocare una pronuncia di annullamento per avanzare la pretesa di ripetere il procedimento, specie qualora si sia già formato un provvedimento silenzioso di segno positivo per il privato.

A partire da tale momento, qualsiasi condotta soprassessoria dell’Amministrazione, incurante del silenzio formatosi, non può assumere alcun valore autoritativo, ma anzi attribuisce al privato elementi per l’esercizio di un’eventuale azione risarcitoria.

Argomento: Procedimento
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. II, 22 maggio 2023, n. 5072)

Stralcio a cura di Aniello Iervolino

  Per quanto nel caso di specie il ricorrente non invochi l’avvenuta formazione del silenzio assenso successivamente al giudicato, la circostanza che il legislatore abbia previsto tale modalità di acquisizione del titolo – contrariamente, peraltro, a quanto accade per l’accertamento di conformità – non può essere priva di conseguenze. Il Collegio ritiene infatti che l’efficacia delle scelte di semplificazione dei regimi di accesso a determinate attività, che il legislatore ha tentato via via di rafforzare introducendo ulteriori rimedi ed accentuando gli elementi di garanzia della certezza delle situazioni giuridiche, si giochi preliminarmente sul piano delle prassi distorte degli uffici, che si collocano astrattamente a monte dello stesso avvio dei procedimenti. La presunta incompletezza di una pratica, infatti, finisce per diventare il grimaldello per uno stillicidio di richieste aggiuntive, spesso ammantate dall’egida della consultazione collaborativa, tali comunque da procrastinare sine dieil perfezionamento dei procedimenti ad istanza di parte. 20.1. In altre parole, una lettura degli istituti di semplificazione, tra i quali sicuramente rientra anche il silenzio assenso, che sia conforme ai principi generali dell’attività amministrativa impone che il comportamento dell’Amministrazione, al pari di quello del privato, sia improntato alla correttezza e alla buona fede […]. Il meccanismo del “silenzio-assenso” risponde infatti ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento, nel senso che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo. Con il corollario che, ove ne sussistano i requisiti di formazione, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge. Come chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746) reputare che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi al regime della annullabilità, per contro espressamente prevista. L’art. 21 noviesdella l. n. 241 del 1990, infatti, nel disciplinare in generale l’istituto dell’annullamento d’ufficio, ne individua [continua ..]

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