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E' legittima la richiesta di cambiare il cognome da quello paterno a quello materno quando è motivata dalla volontà di recidere il legame con un padre assente ed anaffettivo

Alfonso Renzi

Con la sentenza in rassegna, il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il T.A.R. per la Toscana - Firenze aveva accolto il ricorso avente ad oggetto il diniego disposto dalla Prefettura sull’istanza di un privato cittadino volta a mutare il proprio cognome paterno, con adozione di quello materno, stante l’insussistenza di rapporti di alcun genere con la figura paterna ed il disagio conseguentemente patito.

Il Ministero appellante ha considerato erronea la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto carente la motivazione dell’impugnato diniego: invero, a detta della ricorrente, la Prefettura non aveva tenuto debitamente in considerazione le ragioni poste a fondamento dell’istanza.

L’analitica censura in appello del Ministero dell’Interno si è incentrata sui profili di eccezionalità del mutamento del cognome, come ritenuto dal legislatore agli artt. 6 c.c. e 89 d.P.R. n° 396/2006.

Secondo l’interpretazione ministeriale del dato normativo, il cambiamento del cognome dovrebbe essere acconsentito dalla P.A., in quanto ritenuto superiore all’interesse pubblico, solo in ipotesi eccezionali, dovendosi, quindi, denegare ove tale richiesta risulti solo il frutto di una opinabile scelta individuale.

Nello specifico, due sono i punti nevralgici della sentenza del Consiglio di Stato, che, peraltro, sintetizzano i principi espressi, di recente, dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 131/2022) e dalla CEDU (Cusan-Fazzo contro Italia del 07.01.2014 su ricorso n. 77/07) in tema di diritto al nome come diritto all’identità personale: da un lato, la natura di interesse legittimo dell’istante e, dall’altro, la necessità per la P.A. di considerare il mutamento del cognome come espressione dell’identità personale e morale del singolo.

In primo luogo, il Consiglio di Stato, sulla base dello specifico motivo di appello del Ministero, ha ricostruito l’identità del diritto al nome, ritenendo che, in accordo con l’art. 6 c.c., non vada ad esso riconosciuta la natura di diritto soggettivo, bensì di posizione di interesse legittimo. Tale ricostruzione fa perno sull’art. 89 d.P.R. n° 396/2000 secondo il quale la Pubblica Amministrazione (id est il Prefetto al quale il soggetto interessato al mutamento del nome presenta l’istanza), gode di un ampio potere discrezionale, dovendo stabilire se l’interesse dell’istante possa ritenersi prevalente sull’interesse pubblico alla certezza e alla stabilità dei rapporti giuridici.

Sul punto, è intervenuta più volte la giurisprudenza che si è consolidata nel ritenere che la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio del cognome abbia natura di interesse legittimo e che la P.A. goda di un potere discrezionale nella valutazione dell’istanza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 26 settembre 2019, n. 6462).

In buona sostanza, lo schema normativo previsto dal Legislatore, ovvero l’art. 89 innanzi richiamato, non consente all’istante di scegliere autonomamente il proprio cognome, se non sulla base di una comprovata motivazione, altrimenti verificandosi un evidente vulnus nella certezza dei rapporti giuridici.

Chiarita l’entità del procedimento prefettizio volto al mutamento del cognome, l’appellante ha dedotto che nel caso di specie non vi fossero motivi sufficientemente validi per ottenere il cambio desiderato, censurando, per l’effetto, la sentenza impugnata per non aver considerato tale profilo.

Nello specifico, l’istanza presentata dal privato faceva perno sulla volontà di recidere qualsivoglia rapporto con la figura paterna, stante l’asperrima criticità dei rapporti con esso intrattenuti durante brevi periodi dell’infanzia e l’assenza di qualsivoglia rapporto nell’età più adulta. In particolare, ha significato l’istante che il mantenimento del cognome paterno, ritenuto ad essa estraneo e ridicolo, era diventata causa di forte disagio.

Il tutto suffragato da ampia dichiarazione resa per iscritto dalla madre.

Il Consiglio di Stato ha quindi confermato la statuizione del giudice di primo grado, ritenendo che il Prefetto non si fosse attenuto ad una precisa disamina degli elementi offerti dall’istante, ritenendo, apoditticamente, che, in applicazione dell’art. 6 c.c., non si potessero accordare richieste di mutamento dei dati connotativi della persona umana per mera volontà personale.

Il Consiglio di Stato ha argomentato la possibilità di ottenere il cognome materno facendo leva sulla giurisprudenza costituzionale in materia, ferma restando la natura di interesse legittimo della pretesa.

Ed invero, sebbene il cognome appaia come strumento per individuare l’appartenenza della persona ad un determinato gruppo familiare (secondo la concezione della giurisprudenza del XIX secolo, cfr. Corte Costituzionale, ordinanze nn. 176/1988 e 586/1988), più di recente si è passati ad un processo di valorizzazione dell’identità personale, in virtù del quale il cognome assurge ad espressione di identità del singolo.

Per siffatti profili, è stata superata l’originaria procedura di attribuzione “automatica” del cognome paterno alla nascita, mero retaggio di una concezione patriarcale della famiglia radicata nel diritto di famiglia romanistico.

Non bisogna trascurare, dunque, che nell’ultimo decennio la giurisprudenza ha fatto emergere una particolare sensibilità sul tema del cognome, come testimonianza del legame del figlio con entrambi i genitori, conseguentemente ritenendo che l’assegnazione del cognome vada intesa come funzionale alla migliore costruzione dell’identità dell’individuo.

In altri termini, il superamento della rigida concezione patriarcale dell’attribuzione del cognome deve oggi essere corroborato dalla possibile divergenza tra l’identità personale dell’individuo ed il cognome che gli è stato automaticamente attribuito che può essere significativo di un vincolo familiare del tutto assente nella realtà e fonte di sconforto.

In buona sostanza, sebbene il cambio del cognome non assurga a diritto fondamentale, alla luce degli arresti della Corte Costituzionale dell’ultimo decennio, diviene lo strumento per recidere un legame solo di forma, imposto per legge e che negli anni ha pesato sulla condizione personale dell’individuo.

Non è, dunque, obbligatorio per la pubblica amministrazione accordare il cambio del cognome, ma, sebbene si ricada in attività pienamente discrezionale, si ritiene che vi sia un onere motivazionale “innalzato”, dovendo la P.A. svolgere un’istruttoria consistente.

A supporto di siffatta configurazione del meccanismo valutativo delle domande di mutamento del cognome, il Supremo Consesso ha richiamato la circolare del Ministero dell’Interno n. 14 del 21.05.2012 che ha ben chiarito la necessità di un attento giudizio di ponderazione del Prefetto, dovendosi esso muovere con “estrema cautela” (Circolare del Ministero dell’Interno n° 14 del 21.05.2012) ed adottando un provvedimento finale accompagnato da una motivazione analitica in grado di esprimere il processo argomentativo posto alla base.

Sulla scorta di tali profili, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo illegittimo il diniego opposto dalla P.A. alla domanda di mutamento del cognome, qualora motivato solo sulla base della eccezionalità del cambiamento stesso e non valorizzando la migliore costruzione dell’identità del figlio, men che meno valorizzando specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza.

Argomento: provvedimento amministrativo
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. di Stato, sez. III, 19 settembre 2023, n. 8422)

Stralcio a cura di Davide Gambetta

1.- Con ricorso di primo grado […] la ricorrente ha impugnato il decreto della Prefettura […] con cui è stata respinta la sua istanza diretta ad ottenere il cambio del cognome da “[…]” (cognome paterno) a “[…]” (cognome materno). Nell’istanza, la ricorrente aveva motivato tale richiesta sostenendo che il padre, dopo la separazione ed il divorzio dalla madre, non si sarebbe mai preoccupato del suo sostentamento, né avrebbe avuto interesse ad instaurare con lei un rapporto di tipo affettivo, quale dovrebbe essere quello tra genitore e figlia;  […] la ricorrente aveva quindi sottolineato che la decisione di assumere il cognome della madre sarebbe maturata da tempo e si sarebbe consolidata negli anni, divenendo “ponderata e certa”, “per onorare l’impegno e la forza con cui la figura materna ha saputo compensare un vuoto e una ferita che avrebbero potuto causare conseguenze assai più dannose e cicatrici più profonde sulla mia persona e dentro di me”. L’Amministrazione intimata […] dopo aver esaminato quanto prodotto dall’interessata in sede procedimentale, aveva rigettato la richiesta sulla base della seguente motivazione: […] - “la modificazione del nome e del cognome rivestono carattere oggettivamente rilevanti e può essere ammessa solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata e pregnante documentazione e da solide e significative motivazioni;” […] 3. - Con sentenza […] il TAR ha accolto il ricorso ritenendo il provvedimento impugnato carente nella motivazione. […] 8. - Prima di procedere alla disamina della fattispecie concreta è opportuno svolgere alcune considerazioni preliminari. L’art. 89 del d.P.R. n. 396/2000, dispone che: “1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento [continua ..]

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