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L'inidoneità attitudinale sopravvenuta del dipendente della Polizia di Stato è causa di cessazione del rapporto di lavoro senza transito ad altri ruoli

Ginevra Gelsomini.

Il caso esaminato dall’Adunanza Plenaria riguarda un ricorso promosso da un assistente capo della Polizia di Stato che, dopo essere stato sospeso dal servizio per un periodo di cinque anni in via cautelare (ai sensi dell'art. 9, primo comma, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, poiché sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere), veniva sottoposto a rivalutazione ex art. 2 D.M. 30 giugno 2003 n. 198, giudicato “inidoneo” e per l’effetto dispensato in via definitiva dall’impiego pubblico per mancanza dei requisiti previsti dall’art. 25 comma 2 , Legge 1° aprile del 1981, n. 121.

L’interessato sosteneva in giudizio che l’esito negativo di un giudizio di sopravvenuta inidoneità potesse al più determinare il passaggio ad altri ruoli ma non condurre alla cessazione dell’impiego pubblico, in quanto tale eventualità non era espressamente contemplata tra le cause di cessazione del servizio di cui all’art. 58 D.P.R. 335 del 1982 (che a sua volta rinvia a quelle previste al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e al D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092).

Per tale ragione impugnava il provvedimento di interruzione del rapporto di lavoro.

In seguito all’accoglimento del ricorso in primo grado, la questione approdava in seno alla seconda sezione del Consiglio di Stato che rimetteva alla Plenaria di chiarire, anzitutto, se l’inidoneità attitudinale potesse considerarsi quale species della inidoneità psicologica con l’effetto di comportare non tanto la cessazione del rapporto di lavoro quanto un mero trasferimento nei ruoli all’interno della stessa o di una diversa PA; in caso di risposta affermativa, se la richiesta di transito fosse da riconoscersi al dipendente quale vero e proprio diritto soggettivo ovvero fosse rimessa a una valutazione discrezionale della PA di appartenenza; viceversa, in caso di risposta negativa, se il regime giuridico di favore previsto per la mancanza del più grave requisito della idoneità psicologica non si ponesse in contrasto con il principio di non discriminazione in ambito lavorativo di cui all’art. 3 della Costituzione nonché con i principi derivanti dal diritto comunitario (in particolare la direttiva 2000/78/CE che individua un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

Ebbene, l’Adunanza Plenaria statuisce che la mancanza dei requisiti attitudinali non può che determinare il venir meno del rapporto di impiego pubblico, a differenza del venire dei requisiti psico-fisici. Giunge a tale conclusione valorizzando sia la lettera della legge sia, da un punto di vista squisitamente teleologico, le differenze che caratterizzano i requisiti psicofisici, da un lato, e quelli attitudinali, dall’altro, anche in armonia ai dettami costituzionali.

Dal punto di vista letterale, l’Adunanza Plenaria evidenzia come l’art. 1 del D.P.R. 24 aprile del 1983 n. 339, attuativo dell’art. 36 della L. 1° aprile 1981 n. 121 (recante l’ordinamento del personale della amministrazione di pubblica sicurezza), dispone che il trasferimento dell’agente pubblico in altri ruoli è consentito solo in caso in caso di particolare infermità e che pertanto, tale norma, si riferisce espressamente ed esclusivamente alla inidoneità psicofisica del dipendente accertata da apposita commissione medica e non anche alla perdita dei requisiti attitudinali che, per i dipendenti della polizia di stato rappresentano conditio sine qua non per l’instaurazione e la prosecuzione del rapporto di lavoro, pena la violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Viene osservato, in particolare, che di fronte al chiaro significato testuale delle parole utilizzate, è precluso all’interprete richiamare altri criteri intrepretativi diverso da quello letterale.

In effetti, la norma richiama il concetto di “invalidità” e, dunque, si riferisce alla presenza di patologia che incide sulla capacità materiale di fare qualcosa; diversamente l’“attitudine” attiene alla idoneità soggettiva a svolgere bene ed in sicurezza una certa attività o funzione. 

Da un punto di vista sistematico, si ribadisce la diversa funzione svolta dai requisiti psicofisici, da un lato, e attitudinali, dall’atro, circostanza che preclude una applicazione analogica delle disposizioni relative ai primi anche ai secondi. La attitudine è la propensione a svolgere una certa attività che richiede doti non comuni. È richiesta ad esempio per il particolare ruolo rivestito dai dipendenti pubblici cui lo Stato affida l’uso della forza. I requisiti psicofisici attengono a profili che incidono sulla salute del dipendente e afferisce al piano dei requisiti “generali”, tanto che sono richiesti non solo ai dipendenti delle forze armate e di polizia, ma ad ogni dipendente pubblico.

Ciò è confermato anche dal differente modo con cui avviene l’accertamento dei requisiti di cui si discute. La verifica circa la capacità attitudinale al servizio è demandata dal legislatore a un organo tecnico composto da personale con specializzazione psicologica; diversamente, il requisito psico-fisico è accertato da commissioni di verifica composte esclusivamente da personale sanitario.

Ebbene alla luce delle caratteristiche peculiari che connotano la capacità attitudinale, la Adunanza Plenaria evidenzia come questa non possa essere graduata distinguendo tra perdita parziale o totale dei requisiti (come accade invece per i requisiti psicofisici). In sostanza, la capacità attitudinale può venir meno soltanto interamente, senza gradazioni. In tale ipotesi l’unico effetto possibile non può che essere la cessazione del rapporto di lavoro, essendo venuto meno un requisito necessario alla sua prosecuzione. In tal caso non è consentita la continuazione del rapporto di lavoro in altri ruoli poiché, per quell’ordinamento settoriale, il possesso dei requisiti attitudinali è richiesto per tutti i ruoli nei quali si articola la struttura.

L’unica possibilità potenzialmente valutabile potrebbe essere il transito del dipendente presso ruoli di altre amministrazioni che non richiedano il requisito attitudinale per l’insaturazione e la prosecuzione del rapporto pubblico, ma tale eventualità non è contemplata dal legislatore cui è rimessa la relativa insindacabile valutazione politica.

Infine, l’Adunanza Plenaria evidenzia la coerenza di tali conclusioni con il principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione.

Si evidenzia come non sia irragionevole la scelta del legislatore di disporre la cessazione del rapporto di lavoro per il dipendente delle forze di polizia soltanto in caso di perdita del requisito attitudinale e non anche di perdita parziale del requisito psicofisico, per l’ovvia considerazione che, come sopra evidenziato, la prima non può che avvenire integralmente.

L'oggettiva differenza sopra evidenziata tra l'idoneità psicofisica e quella attitudinale esclude poi il contrasto con il principio di uguaglianza, non predicabile con riferimento a situazioni e condizioni oggettivamente difformi.

Tale ontologica differenza tra due situazioni inabilitanti porta, infine, ad escludere anche la contrarietà della disciplina in esame con il diritto dell'Unione europea e, in particolare, con la direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Riguardo a tale aspetto, l'Adunanza Plenaria precisa che i profili di possibile discriminazione dei lavoratori indicati nella direttiva (religione, convinzioni personali, handicap, età, tendenze sessuali) individuano caratteristiche della persona ben diverse dal requisito attitudinale (la cui perdita, appunto, determina la cessazione del rapporto di lavoro dell'appartenente alla forza di polizia).

Conclude la sentenza in rassegna «Se, infatti, si può ipotizzare pari idoneità lavorativa tra chi professi diverse religioni, abbia varie convinzioni personali, sia portatore di handicap, abbia diverse età o tendenza sessuali, a profili attitudinali diversi non possono che corrispondono differenti capacità di esecuzione di una prestazione lavorativa».

Argomento: Pubblico impiego
Sezione: Adunanza Plenaria

(Cons. St., Ad. Plen., 29 marzo 2023, n. 12)

stralcio a cura di Davide Gambetta

1. Con ricorso […] l’appellato, assistente capo della Polizia di Stato, impugnava i provvedimenti dell’amministrazione di pubblica sicurezza che disponevano la sua cessazione dal servizio per perdita del requisito attitudinale. 1.1. Il ricorrente è stato sospeso in via cautelare dal servizio […] poiché sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere, e poi è stato condannato […] in quanto ritenuto colpevole dei reati di rapina, lesioni aggravate e sequestro di persona. […] 1.2. Decorso il periodo quinquennale di sospensione cautelare dal servizio, egli è stato riammesso in servizio […]; […] la Questura […] ha avviato il procedimento per la verifica dei requisiti psicofisici e attitudinali di cui all’art. 2 del d.m. 30 giugno 2003, n. 198. Con verbale […] la commissione per l’accertamento delle qualità attitudinali esprimeva la sua valutazione definitiva […]. […] Con decreto […] il Ministero dell’Interno, preso atto della valutazione di non idoneità espressa dalla commissione, ha disposto la cessazione dell’interessato dal servizio […]. […] 2. Col ricorso di primo grado, il ricorrente ha contestato tali provvedimenti […]. 2.1. In sintesi, egli ha lamentato di essere stato sottoposto a rivalutazione dell’idoneità al servizio per il solo fatto di essere stato “assente” per lungo periodo, e, comunque, illegittimamente (ri)valutato anche in relazione al profilo attitudinale, non solo per quello psicofisico, e per giunta sulla base di test utilizzati per la valutazione dei candidati all’accesso ai ruoli della Polizia. […] 2.3. Il Tar […] ha accolto il quinto motivo del ricorso, rilevando che l’Amministrazione - pur potendo sottoporre a rivalutazione di idoneità attitudinale al servizio il dipendente assente per un periodo non limitato - non potrebbe, però, disporne la cessazione dal servizio nel caso in cui l’accertamento dia esito negativo, dovendo, invece, essa rimettere alla commissione medica la valutazione di impiegabilità nei ruoli civili […]. 2.4. Con l’appello in esame, la sentenza è stata impugnata dal Ministero […]. […] 3. Con l’ordinanza […] la Sezione seconda ha rimesso all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti: a) se la [continua ..]

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