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L´adozione del MOG non basta per l´ottenimento del controllo giudiziario se manca la prognosi favorevole circa l´assenza di condizionamenti mafiosi dell´impresa
Amalia Pastore
Il caso
La sentenza in commento si occupa della vicenda giudiziaria riguardante una S.r.l. destinataria di un’informazione interdittiva antimafia emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4 del D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 – rubricato “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136” – il c.d. codice antimafia.
Il legale rappresentante della S.r.l. aveva presentato al Tribunale di Catanzaro un’istanza di ammissione al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, del D.Lgs. n. 159/2011. Con decreto del 21 dicembre 2021, il Tribunale rigettava l’istanza ponendo a fondamento della propria decisione elementi desunti dal noto procedimento penale “Imponimento”. Nel processo, infatti, era stata ricostruita la storia e l’operatività nel territorio della ‘ndrangheta arrivando ad individuare un legame stabile tra il legale rappresentante e le cosche mafiose.
Il provvedimento veniva impugnato innanzi alla Corte di Appello di Catanzaro che, con decreto dell’8 luglio 2022, confermava la decisione del Tribunale evidenziando che la ratio del controllo giudiziario è quella di consentire un risanamento dell’attività dell’impresa realizzabile solo in assenza di influenze esterne indebite. In tale caso, come era emerso dal processo “Imponimento”, il legale rappresentante era ritenuto fortemente indiziato del delitto di illecita concorrenza con minaccia o violenza di cui all’art. 513-bis c.p. La S.r.l., inoltre, per due episodi di cui uno risalente al 2006 e uno al 2016, era stata compresa tra le imprese del territorio che avevano ottenuto appalti e commesse perché aiutate dal clan mafiosi.
Avverso il decreto della Corte di Appello di Catanzaro, il legale rappresentante proponeva ricorso in Cassazione con cinque motivi così riassumibili: violazione dell’art. 34-bis del D.Lgs. 159/2011 per avere erroneamente interpretato la norma individuando una categoria normativa ulteriore rispetto a quelle del rapporto stabile o occasionale ivi indicate; motivazione meramente apparente o inesistente per avere posto a fondamento della propria decisione gli eventi del 2011 e 2016 quali sintomo della permanente influenza dei clan nell’attività dell’azienda che, al contrario, secondo il ricorrente, erano sintomo di mera occasionalità dell’infiltrazione mafiosa; violazione dell’art. 7, 20 e 34-bis codice antimafia per avere fondato la decisione sulla pendenza del procedimento “Imponimento” e non anche su quanto emerso nel giudizio cautelare ove sarebbe stato escluso l’asservimento al clan; motivazione inesistente circa l’inidoneità del controllo giudiziario – di cui all’art. 34-bis, comma 4 codice antimafia – a riqualificare l’attività d’impresa della S.r.l. nonché circa la violazione della normativa in tema di “Responsabilità amministrativa da reato” degli Enti – di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 – per non avere considerato la procedura di self cleaning adottata dall’azienda a seguito degli eventi e come presa di distanza da possibili infiltrazioni indebite.
La Cassazione giudicava il ricorso inammissibile.
1. Le questioni giuridiche.
La Cassazione circoscrive il giudizio di legittimità del decreto impugnato esclusivamente alla valutazione riguardante illegittimità del procedimento ex art 34-bis codice antimafia ovvero della errata valutazione della sussistenza dei presupposti di legge richiesti per il controllo giudiziario.
La Corte attua un’analisi delle diverse fattispecie richiamate dalla parte ricorrente per giungere al giudizio di inammissibilità del ricorso.
Presupposto fondamentale per il giudice è che la società ricorrente fosse destinataria, ai sensi dell’art. 84, comma 4, Codice antimafia dell’informazione antimafia interdittiva, e cioè dell’attestazione della sussistenza di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della stessa impresa.
Ebbene, a norma dell’art. 34-bis, comma 1, del D.Lgs. 159/2011, quando il libero esercizio di certe attività può agevolare l’azione di persone coinvolte in determinati fatti illeciti, e la predetta agevolazione è occasionale, il tribunale dispone anche d’ufficio, il controllo giudiziario di tali imprese se sussistono le circostanze fattuali da cui ricavarsi il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose capaci di condizionare le attività dell’impresa. Il successivo comma 6 dell’art. 34-bis codice antimafia prevede che le società, che abbiano proposto l'impugnazione presso il Tar dell’informazione interdittiva antimafia, possano richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario al tribunale che nomina un giudice delegato e un amministratore giudiziario. Qualora la richiesta venga accolta, in un secondo momento, il tribunale può revocare il controllo giudiziario e, qualora ricorrano i presupposti, dispone altre misure di prevenzione patrimoniali. Il comma 6 in parola, osserva il giudice di legittimità, non fa alcun riferimento al comma 1 dell’art. 34-bis che prevede la condizione dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa stabilendo, come detto, che il tribunale dispone, anche d’ufficio, il controllo giudiziario delle società. Il comma 6, infatti, attua un rinvio al diverso comma 2 dell’art. 34-bis che disciplina la modalità dell’esecuzione del controllo, più rigida di quella prevista per le imprese a cui si applica la previsione al comma 1, poiché l’impresa – che scelga volontariamente di essere sottoposta al controllo – ha l’obbligo sia di comunicare lo svolgimento delle attività di cui alla lett. a) dell’art. 34-bis, sia di attivare un controllo sulla propria attività di gestione da parte dell’amministratore giudiziario e del giudice delegato.
La Corte evidenzia, inoltre, che la “occasionalità” di cui al comma 1 dell’art. 34-bis della legge citata, attraverso il richiamo effettuato all’art. 34, fa riferimento a soggetti non direttamente mafiosi, ma a soggetti “infiltrati” che possono agevolare gli interessi di persone appartenenti ai clan mafiosi. Ecco perché, sottolinea il giudice, la norma parla di agevolazione solo “occasionale” a cui il legislatore ha voluto destinare una sorveglianza non incidente sulla libertà dell’attività economica dell'impresa.
Il comma 6 dell’art. 34-bis, invece, fa esclusivo riferimento alle imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva che abbiano proposto impugnazione avverso la stessa e ove l’ingerenza mafiosa sia stata ben più forte, stabile e, dunque, non occasionale. Il giudizio che viene attuato, invero, è un giudizio prognostico sulla possibilità di avere in futuro un’impresa che eserciti la propria attività senza il condizionamento mafioso. Difatti, all’adozione del provvedimento del controllo giudiziario fa automaticamente seguito la sospensione degli effetti delle informazioni del Prefetto. La Cassazione conclude affermando la mancata violazione della legge da parte del provvedimento impugnato poiché la Corte d’Appello non ha applicato al caso della S.r.l. il criterio dell’occasionalità dell’infiltrazione ex art. 34-bis codice antimafia. Ha, invece, valutato i presupposti di cui all’art. 84, comma 4, Codice antimafia in relazione al comma 6 dell’art. 34-bis ritenendo che la S.r.l. fosse connessa all’organizzazione mafiosa in modo stabile, radicato e non risolvibile.
Il Giudice di legittimità ha, infatti, evidenziato l’irrilevanza nel caso di specie dei presupposti dell’occasionalità dovendo, invece, attuarsi una vera e propria valutazione futura dell’ingerenza mafiosa nell’assetto organizzativo dell’azienda. A tale riguardo per la Corte, la circostanza che il rappresentante legale della S.r.l. sia stato, infine, rinviato a giudizio per il delitto di illecita concorrenza con minaccia o violenza che per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, basta a corroborare che la S.r.l. continui a tenere i rapporti con i clan mafiosi. A maggior ragione per il fatto che la compagine societaria non risultava essere stata modificata a seguito degli eventi criminali. Per la Cassazione il fatto che la S.r.l. si sia dotata di un modello organizzativo di cui al D.Lgs. 231/2001 non cambia tale valutazione anche sull’assunto che dell’attuazione di tale modello «nell’ottica prevenzionale, non è stata data idonea dimostrazione» non permettendo di formulare una «prognosi favorele di bonifica e radicale risanamento».
2. Conclusioni
In conclusione, con la pronuncia in oggetto, la Corte di Cassazione ha fornito un’analisi delle diverse disposizioni previste dal Codice antimafia all’art. 34-bis. Oltre al chiarimento attuato dalla sentenza circa l’occasionalità dell’agevolazione di cui al comma 1 della norma citata, il giudice di legittimità dona una cristallina definizione delle imprese per cui non è possibile pervenire ad un giudizio prognostico favorevole di privazione dell’infiltrazione mafiosa con applicazione delle conseguenze previste dalla legge. Precisa che l’adozione di un modello organizzativo della società, senza che venga dimostrata l’efficacia prevenzionale dello stesso, non basta all’ottenimento del controllo giudiziario qualora la prognosi di bonifica e radicale sanamento non abbia esito positivo.
Sezione:
(Cass. Pen., Sez. II, 16 marzo 2023, n. 11326)
Stralcio a cura di Lorenzo Litterio
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