home / Archivio / 231 e Compliance raccolta del 2023 / La colpa di organizzazione dell´ente non coincide con la colpevolezza della persona fisica ..

indietro stampa contenuto leggi libro


La colpa di organizzazione dell´ente non coincide con la colpevolezza della persona fisica responsabile del reato e va rigorosamente provata

Francesco Martin

 

L'assenza del modello di organizzazione e di gestione, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente.

Infatti, per potere affermare che l'ente risponde per un fatto proprio colpevole, escludendo inammissibili profili di responsabilità oggettiva, è necessario che venga dimostrata la cosiddetta colpa di organizzazione dell'ente, basata sul non aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione del reato presupposto: è il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo dalla persona fisica (apicale o dipendente) che ha agito nell'interesse e/o a vantaggio dell'ente.

Grava in proposito sull'accusa l'onere di dimostrare l'illecito penale presupposto commesso da una persona qualificata nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso e di dimostrare la colpa di organizzazione dell'ente che ha reso possibile la commissione del reato.

Ed è solo la dimostrata ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, che giustifica il rimprovero e l'imputazione dell'illecito al soggetto collettivo.

 

Orbene, con riferimento alla responsabilità dell’ente, così come delineata dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sussistono due criteri d'imputazione oggettiva del fatto illecito all'ente in quanto tale, nel senso che l'illecito amministrativo a carico del soggetto collettivo si configura quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dell'ente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell'ente stesso (art. 5); si tratta di concetti alternativi e concorrenti tra loro, in quanto l'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito.

La struttura dell'illecito addebitato all'ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale intercorrente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno unicamente la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona un reato commesso sì da un soggetto incardinato nell'organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo.

 

Ciò consente di affermare che l'ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, ma non pone al riparo da possibili profili di responsabilità meramente oggettiva, sicché il giudice di legittimità ha affermato che: «la necessità che sussista la c.d. colpa di organizzazione dell'ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. Grava quindi sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell'interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende dall'individuo all'ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo».

Si tratta di un'interpretazione che attribuisce al requisito della colpa di organizzazione dell'ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione colpevole (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.

Proprio l'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7, D.Lgs. 231/2001, e all’art. 30 D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 81 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell'ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa.

Pertanto, l'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente.

Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l'ente (c.d. immedesimazione organica rafforzata), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due.

 

Nella sentenza impugnata, evidenzia la Corte, i giudici di merito fondano la responsabilità amministrativa della società sulla genericità ed inadeguatezza del modello organizzativo senza tuttavia fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una colpa di organizzazione dell'ente. Deve, invero, ricordarsi che la tipicità dell'illecito amministrativo imputabile all'ente costituisce, per così dire, un modo di essere colposo, specificamente individuato, proprio dell'organizzazione dell'ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all'ente di commettere il reato. In tale prospettiva, l'elemento finalistico della condotta dell'agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo negligente dell'impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo.

Ne consegue che, nell'indagine riguardante la configurabilità dell'illecito imputabile all'ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell'illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l'inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.

La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l'imputazione dell'illecito al soggetto collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l'ente risponde dell'illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui). Ciò rafforza l'esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell'ente) responsabile del reato.

 

In conclusione, non sussiste una motivazione inerente alla concreta configurabilità, nella vicenda in esame, di una colpa di organizzazione dell'ente, né ha stabilito se tale elemento abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto. I giudici di merito, invece, avrebbero dovuto approfondire anche e soprattutto l'aspetto relativo al concreto assetto organizzativo adottato dall'impresa in tema di prevenzione dei reati della specie di quello di cui ci si occupa, in maniera tale da evidenziare la sussistenza di eventuali deficit di cautela propri di tale assetto, causalmente collegati con il reato presupposto.

La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata e rinviato per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello.

Argomento: Responsabilità ente da reato (D.lgs. 231/2001)
Sezione:

(Cass. Pen., Sez. IV, 11 gennaio 2023, n. 570)

stralcio a cura di Annapia Biondi 

“(…) Ciò consente di affermare che l'ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, ma non pone al riparo da possibili profili di responsabilità meramente oggettiva, sicché il giudice di legittimità ha affermato "la necessità che sussista la c.d. 'colpa di organizzazione" dell'ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.” “(…) L'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell'ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa. Pertanto, l'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente. Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica' e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l'ente (c.d. immedesimazione organica "rafforzata"), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due (Sez. 4, n. 32899/2021).” “(…) Deve, invero, ricordarsi che la tipicità dell'illecito amministrativo imputabile all'ente costituisce, per così dire, un modo di essere "colposo", specificamente individuato, proprio dell'organizzazione dell'ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all'ente di commettere il reato. In tale prospettiva, l'elemento finalistico della condotta dell'agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo "negligente" dell'impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante [continua ..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login inizio