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Diffusione di notizie segrete e violazione della libertà di espressione

Mariarita Cupersito 

 

La Grande Camera della Corte Europea per i diritti dell'uomo ha stabilito con la sentenza Halet contro Lussemburgo, ricorso 21884/2018, depositata il 14 febbraio 2023, il principio che estende la tutela riconosciuta dall'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo al whistleblower (segnalatore di illeciti) che diffonde informazioni fiscali di cui è in possesso in ragione dell’attività lavorativa svolta, motivando tale estensione con la scelta di favorire l’interesse pubblico su notizie di carattere generale rispetto agli obblighi di riservatezza.

La pronuncia scaturisce da un ricorso presentato alla CEDU ai sensi dell'art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali da un cittadino francese, che all’epoca dei fatti lavorava per una società che fornisce servizi di consulenza fiscale, revisione contabile e gestione aziendale, avverso la condanna penale subita a seguito di divulgazione a un giornalista di documenti fiscali relativi ad alcuni clienti e soggetti a segreto professionale.

I giudici nazionali hanno escluso la qualificazione del ricorrente quale whistleblower in considerazione del danno spropositato causato al datore di lavoro con la divulgazione di documenti riservati che ha colpito in particolare la reputazione dell’azienda, con conseguente perdita di fiducia negli accordi di sicurezza interni da parte dei clienti, non adeguatamente controbilanciato dall’interesse pubblico alla diffusione di tali informazioni; in sede d’appello è stata inflitta una condanna al pagamento della somma di 1.000 euro, argomentando che i documenti divulgati dal ricorrente non fossero di interesse sufficiente per giustificarne l’assoluzione e tuttavia non  trascurando l’attenuante della “natura disinteressata” delle azioni del ricorrente, comminando una sanzione, poi confermata in Cassazione, la cui modesta entità non possa considerarsi idonea ad inibire l'esercizio della libertà dei dipendenti.

Il ricorrente si è dunque rivolto ai giudici della CEDU sostenendo che tale condanna costituiva invece un’interferenza sproporzionata nell’ambito della sua libertà di espressione.

La Corte ha innanzi tutto precisato che l’art. 10 della Convenzione, il quale tutela il diritto di ogni persona alla libertà di espressione inclusa la libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche, si estende alla sfera professionale anche nei casi in cui il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore è disciplinato dal diritto privato.

La Corte osserva come i giudici nazionali abbiano preso in considerazione esclusivamente il pregiudizio arrecato al datore di lavoro; considerata, invece, l’importanza del dibattito pubblico sulle pratiche fiscali delle società multinazionali sia a livello nazionale che europeo, a cui le informazioni diffuse dal ricorrente avevano dato un importante contributo, Strasburgo ha ritenuto che l’interesse pubblico alla divulgazione di tali informazioni prevalesse sugli effetti dannosi derivati, tra cui la violazione del segreto professionale, il furto di dati e il pregiudizio agli interessi privati dei clienti del datore di lavoro.

Quanto all’importanza, sia a livello nazionale che europeo, del pubblico dibattito sulle pratiche fiscali delle multinazionali al quale le informazioni divulgate dal richiedente hanno dato un contributo essenziale, La Corte ritiene che vi sia un interesse pubblico alla divulgazione di tali informazioni che supera tutti gli effetti dannosi”, si legge nella pronuncia.

I giudici di Strasburgo precisano che, in alcuni casi, l’interesse del pubblico verso alcune informazioni può prevalere anche su un dovere di riservatezza imposto dalla legge. In tali circostanze, permettere l’accesso del pubblico ai documenti ufficiali, inclusi i dati fiscali, è stata ritenuta un’attività orientata a garantire la disponibilità di informazioni così da consentire un confronto su tematiche di interesse pubblico. Potendo considerare sia la lotta all’evasione che l’obiettivo dell’equità fiscale come questioni di interesse pubblico, il whistleblower che diffonde informazioni fiscali di cui sia in possesso per il lavoro da lui svolto beneficia della protezione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo anche nel caso in cui consegni a un giornalista documenti su cui era tenuto al segreto professionale. L’interesse pubblico su notizie di portata generale, come quelle relative a pratiche fiscali delle società multinazionali, deve infatti considerarsi prevalente sugli obblighi di confidenzialità.

Dopo aver ponderato i vari interessi in gioco e tenendo conto della natura, della gravità e dell’effetto dissuasivo della condanna penale del ricorrente, i Giudici hanno ritenuto che tale condanna integri effettivamente una violazione dell’articolo 10 della Convenzione e costituisca un’ingerenza “non necessaria in una società democratica” da parte dei giudici lussemburghesi nell’esercizio del diritto del ricorrente alla libertà di espressione.

Scopo del whistleblowing, conclude la Corte, “non è solo quello di scoprire e attirare l’attenzione su informazioni di interesse pubblico, ma anche di provocare un cambiamento nella situazione a cui tali informazioni si riferiscono, se del caso, assicurando un’azione correttiva da parte delle autorità pubbliche competenti o dei privati interessati, come le imprese”.

Argomento: Whistleblowing
Sezione:

(CEDU, 14 febbraio 2023, ricorso n. 21884/18, Caso Halet c. Lussemburgo)

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo 

“(…) Come le parti, per le quali questo punto era indiscusso, la Corte ritiene che la condanna del ricorrente abbia costituito un'ingerenza nell'esercizio del suo diritto alla libertà di espressione, tutelato dall'articolo 10 della Convenzione. Riconosce inoltre - pur rilevando che le parti non hanno sollevato questo punto - che l'ingerenza era prevista dalla legge e che perseguiva almeno uno degli scopi legittimi elencati nell'articolo 10 § 2 della Convenzione, vale a dire la protezione della reputazione o dei diritti altrui, in particolare la protezione della reputazione e dei diritti di PwC. La questione che rimane da affrontare è se l'interferenza fosse "necessaria in una società democratica". (…) "La libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e una delle condizioni di base per il suo progresso e per l'autorealizzazione di ciascun individuo‑. Fatto salvo il paragrafo 2 dell'articolo 10, essa si applica non solo alle "informazioni" o alle "idee" che sono accolte favorevolmente o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche a quelle che offendono, scioccano o disturbano. Sono queste le esigenze di pluralismo, tolleranza e ampiezza di vedute senza le quali non esiste una "società democratica". Come stabilito dall'articolo 10, questa libertà è soggetta a eccezioni che... devono essere interpretate in modo rigoroso e la necessità di eventuali restrizioni deve essere dimostrata in modo convincente... L'aggettivo "necessario", ai sensi dell'articolo 10 § 2, implica l'esistenza di una "necessità sociale pressante". In generale, la "necessità" di un'interferenza con l'esercizio della libertà di espressione deve essere stabilita in modo convincente. Certo, spetta in primo luogo alle autorità nazionali valutare se esiste una tale necessità in grado di giustificare l'ingerenza e, a tal fine, esse godono di un certo margine di apprezzamento. Tuttavia, il margine di apprezzamento va di pari passo con la supervisione europea, comprendendo sia la legge che le decisioni che la applicano. Nell'esercizio della sua giurisdizione di vigilanza, la Corte deve esaminare l'ingerenza alla luce del caso nel suo complesso, compreso il contenuto delle dichiarazioni contestate e il contesto in cui sono state rilasciate. In particolare, deve stabilire se l'ingerenza in questione sia [continua ..]

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