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Diniego all´oblio nel caso di condanna per possesso di informazioni ritenute utili a commettere o preparare un atto terroristico

Amalia Pastore 

  1. Il caso

Il provvedimento in commento concerne il reclamo con cui il sig. X chiedeva al Garante per la protezione dei dati personali (da ora anche indicato come GPDP) di ordinare al fornitore del motore di ricerca online, Google LLCC, la rimozione di diciotto URL associati al proprio nominativo e, dunque, di vedersi riconoscere il diritto all’oblio. Il ricorrente sosteneva che tali URL erano tutti collegati ad articoli riguardanti una vicenda giudiziaria a cui era seguita una condanna a due anni di reclusione per possesso di informazioni ritenute utili a commettere o preparare un atto terroristico. X sosteneva di essere pregiudicato dalla presenza di tali informazioni online che gli impedivano di trovare un nuovo lavoro e di vivere una vita normale avendo ormai scontato la pena detentiva. Chiamato a presentare osservazioni in qualità di titolare del trattamento dei dati, Google LLCC dichiarava che undici degli URL indicati da X non riportavano alcuna associazione alla sua persona. I restanti sette, invece, non potevano essere rimossi stante l’interesse generale delle collettività alla reperibilità delle notizie per la gravità delle condotte criminose attuate da X e dal poco tempo trascorso dall’epoca degli eventi.

Rilevata la non sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di deindicizzazione degli URL, il Garante dichiarava il reclamo infondato.

 

  1. Le questioni giuridiche.

L’Autorità ha valutato il reclamo di X infondato considerando che undici dei diciotto URL indicati da X non risultavano in alcun modo collegati al suo nominativo non potendo, pertanto, costituire motivo di pregiudizio verso la sua persona. Per i restanti otto, invece, ha basato il proprio convincimento su due condizioni fondamentali quali: la gravità delle condotte attuate ed il poco tempo trascorso dalla conclusione della vicenda giudiziaria e dell’espiazione della pena.

Difatti, come richiamata dallo stesso Garante, il Regolamento dei dati personali (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 stabilisce all’art. 17 il “Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)” a norma del quale l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza giustificato ritardo. La disposizione stabilisce, inoltre, che il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare, senza ingiustificato ritardo, i dati personali qualora sussista uno dei motivi indicati dalla norma dal comma 1 lett. a) – f). Nel caso che ci occupa, come richiamato dall’Autorità, il motivo di riferimento è quello alla lett. c) e, cioè, il caso in cui l'interessato si opponga al trattamento ai sensi dell'art. 21, paragrafo 1, e non sussista alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento. Secondo il richiamato paragrafo 1 dell’art. 21, infatti, l'interessato ha il diritto di opporsi in qualsiasi momento, per motivi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento dei dati personali che lo riguardano. Nel caso in esame, l’indicizzazione operata da Google LLC avrebbe impedito a X di tornare ad una vita normale dopo aver scontato la pena detentiva a cui era stato condannato.

Ne consegue che, nella valutazione del trattamento dei dati, il titolare dei dati personali è tenuto ad attuare un bilanciamento tra il contenuto delle informazioni in proprio possesso e gli effetti che possono perpetrarsi sulla persona cui afferiscono. Difatti, come rilevato in via generale dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 (Causa C-131/12), i diritti dell’interessato prevalgono sull’interesse economico del motore di ricerca alla luce della potenziale gravità dell’impatto di tale trattamento sui diritti fondamentali alla privacy ed alla protezione dei dati. 

Tuttavia, nel caso di specie, l’Autorità ha evidenziato che, nella valutazione dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio è necessario fare riferimento ad ulteriori criteri individuati: dalla citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 (Causa C-131/12), peraltro richiamata nelle osservazioni di Google LLC, dalle successive Linee-guida adottate il 26 novembre 2014, sull’attuazione della richiamata sentenza della Corte di Giustizie e, in ultimo, delle “Linee Guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca, ai sensi del RGPD” adottate il 7 luglio 2020. 

In particolare, le Linee-guida del 2014 stabiliscono che nei casi in cui il dato si riferisce ad un reato, le Autorità di Protezione dei Dati, in linea di principio, «tendono a vedere con favore la deindicizzazione di risultati concernenti reati relativamente minori commessi in periodi molto risalenti; sarà meno probabile che valutino con favore la deindicizzazione di risultati relativi a reati più gravi e commessi in epoca più recente». Le recenti Linee-giuda del 2020 hanno chiarito ulteriormente che la richiesta di deindicizzazione si può fondare sulla «situazione particolare» dell’interessato, ad esempio, la circostanza per cui un risultato di ricerca arreca danno a un interessato nella ricerca di un impiego o mina la sua reputazione nella vita personale, «che sarà presa in considerazione nello stabilire il bilanciamento tra i diritti personali e il diritto all’informazione, in aggiunta ai criteri classici per gestire le richieste di deindicizzazione, quali: […] le informazioni si riferiscono a un reato di gravità relativamente minore commesso molto tempo prima e arrecano pregiudizio all’interessato.» Occorre, inoltre, valutare che sempre l’art. 21, paragrafo 1 prevede anche che il titolare del trattamento debba astenersi dal trattare ulteriormente i dati personali «salvo che egli dimostri l'esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell'interessato oppure per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria».

Difatti anche sulla base delle osservazioni riportare da Google LLC l’Autorità ha valutato la specificità del caso di X sostenendo che «il tempo trascorso dalla conclusione della vicenda e dalla espiazione della pena della reclusione risulta essere assai limitato, non potendosi perciò qualificare le informazioni relative come risalenti, né prive di persistente interesse per il pubblico». In aggiunta a tale criterio ha valutato la gravità del reato commesso da X per cui lo stesso era stato arrestato e condannato considerandolo «di particolare allarme sociale essendo legato al possesso di materiale pubblicato da Al Qaeda».

 

  1. Conclusioni.

In conclusione, il provvedimento dell’Autorità pone l’attenzione sulla valutazione dei criteri necessari al fine del riconoscimento del diritto all’oblio anche alla luce delle Linee-guida di recente attuazione. Le predette, infatti, hanno chiarito quanto sia importante il bilanciamento tra interessi della persona fisica e interessi della società anche in situazioni particolari come quella in esame. Ebbene, la valutazione non può prescindere dal livello e dall’attualità dell’allarme sociale come quello riscontrabile qualora il soggetto sia stato di recente condannato per possesso di materiale utile a commettere o preparare un atto terroristico. Proprio in virtù di tali considerazioni, il Garante ha legittimamente negato il diritto all’oblio.

Argomento: Privacy
Sezione:

(Prov. n. 204 del 17 maggio 2023)

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo 

“(…) VISTO il reclamo presentato al Garante, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, con il quale il sig. XX ha chiesto di ordinare a Google LLC la rimozione, dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo, di 18 URL collegati ad articoli riferiti ad una vicenda giudiziaria che ha visto lo stesso arrestato nel 2019 nel XX e lì detenuto, per un anno, dopo essere stato condannato a 2 anni di reclusione, con sentenza della XX del 16 ottobre 2020, per possesso di informazioni ritenute utili a commettere o preparare un atto terroristico; (…) VISTA la nota del 22 febbraio 2023, con la quale Google LLC ha rilevato: in merito agli Url indicati nel secondo elenco della propria memoria di risposta (dal n. 1 al n. 11), di non poter aderire alla richiesta di deindicizzazione, in quanto le relative pagine web non risultano essere visualizzate tra i risultati di ricerca di Google associati al nome del reclamante; con riferimento ai restanti Url, di non poter adottare alcun provvedimento in merito alla richiesta avanzata dall’interessato, in quanto vi è interesse generale alla reperibilità delle notizie a causa della gravità delle condotte criminose poste in essere dall’interessato; (…) che le Linee Guida adottate dal WP Art. 29 (Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali) il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (Causa C-131/12), hanno chiarito che “le autorità di protezione dei dati personali tendono a vedere con favore la deindicizzazione di risultati concernenti reati relativamente minori commessi in periodi molto risalenti; viceversa sarà meno probabile la deindicizzazione di risultati relativi a reati più gravi e commessi in epoca più recente”; nel caso di specie l’arresto è avvenuto nel 2020, mentre il suo rilascio e il conseguente rientro in Italia sarebbe avvenuto solo pochi mesi fa, alla fine del 2022, che si tratta di contenuti di tipo giornalistico e i relativi articoli sono stati pubblicati da fonti qualificate; CONSIDERATO, preliminarmente, che: nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di [continua ..]

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