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La libertà di manifestazione del pensiero – in specie quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – non incontra solo i limiti della violenza e dell´aggressività verbale: va attribuita pari rilevanza alla “continenza espressiva” dei contenuti, nel rispetto sia della normativa primaria e secondaria, che dei principi di prudenza e precauzione volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio e a garantirne la chiara corrispondenza al vero

Argomento: provvedimento amministrativo
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. Stato, sez. V, n. 362/2025)

stralcio a cura di Rossella Bartiromo

“Col secondo motivo (rubricato “Violazione dell’art. 21 Cost., violazione artt. 2, 3, 19 Cost., violazione artt. 9, 10 e 18 CEDU”) si richiamano l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la decisione della Corte EDU, sez. IV, 30 gennaio 2018, n. 69317/14, sulla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e sui limiti di ammissibilità delle azioni di rimozione o di censura della pubblicità da parte dell’amministrazione pubblica. Quanto all’ambito interno, si richiamano l’art. 21 della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale e penale sulla libertà di manifestazione del pensiero, nonché sulle relative limitazioni, da applicarsi “in modo attentissimo e secondo un criterio di interpretazione restrittiva”. 4.1. Da quanto sopra, l’appellante desume che la deliberazione impugnata realizzerebbe una forma di censura preventiva priva di una norma primaria legittimante e fondata sull’improprio richiamo di una norma secondaria, quale quella del Regolamento, così come modificato con deliberazione del C.C. n. 17 del 27 aprile 2017. Le motivazioni addotte dal Comune confermerebbero la censura di tipo contenutistico, in quanto riferite, appunto, al contenuto del messaggio oggetto della campagna pubblicitaria ed alla finalità di quest’ultima. Viene quindi censurata l’affermazione del T.a.r. secondo cui il contenuto dei manifesti risulta oggettivamente non veritiero e suscettibile di condizionare in modo fuorviante e ingannevole (equiparandolo a un veleno) l’utilizzo di un farmaco regolarmente approvato. Secondo l’appellante, le “dichiarazioni più evidenti sui manifesti corrispondevano in parte ad affermazioni fattuali, in parte a giudizi di valore”. 4.1.1. Sarebbe “oggettivamente vera” la frase “mette a rischio la salute e la vita della donna” (per le considerazioni e i riscontri di cui alle pagine 20-21-22 del ricorso in appello, al quale è sufficiente fare rinvio). L’affissione si sarebbe riferita ai rischi per la salute e la vita della madre, senza esplicitarne l’entità, “non solo sulla base della libertà d’opinione e dell’abbondante letteratura scientifica ma anche in virtù del pluralismo che esiste in materia nello stesso mondo scientifico”; quindi, non sarebbe [continua ..]

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