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La figlia trentenne “quasi avvocato” non ha diritto al mantenimento

Argomento: Affidamento e mantenimento dei figli
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 23 gennaio 2024, n. 2259)

stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco

“(…) 7. - Riguardo al primo motivo, che riguarda il contributo di mantenimento per la figlia maggiorenne, secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, compete al giudice di merito: a) verificare la sussistenza del prerequisito della non autosufficienza economica, con opportuno bilanciamento rispetto ai doveri di auto responsabilità che incombono sul figlio; b) modulare e calibrare la protezione in relazione alle peculiarità del caso concreto, nel rispetto del principio della proporzionalità; c) stabilire il contenuto e la durata dell’obbligo di mantenimento. In particolare, l’età è un parametro importante di riferimento e la valutazione deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, benché non possa ritenersi automaticamente cessato con il raggiungimento della maggiore età. È stato altresì precisato che, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento e a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio e neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’auto - responsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (cfr. da ultimo Cass. 26875/2023; Cass. 29264/2022). La Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi, richiamati nel decreto impugnato, mentre la doglianza non solo non si confronta con il percorso argomentativo svolto in punto di diritto dalla Corte territoriale, ma soprattutto involge totalmente valutazioni meritali e sollecita impropriamente il riesame dei fatti. (…)”  

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